La commozione di leggere Primo Levi che cerca di ricordare Dante ad Auschwitz e di spiegarlo a Pikolo, suo compagno di prigionia. Breve nota di Andrea Lonardo con il testo da Se questo è un uomo
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Letteratura e Voci dalla Shoah.
Il Centro culturale Gli scritti (26/3/2020)
Commovente è che Primo Levi cerchi di ricordare Dante ad Auschwitz. Che si senta in pena perché non ricorda tutto il canto, ma solo alcuni versi e non le parti intermedie. Commozione che ci porta a domandarci cosa noi ricordiamo di ciò che abbiamo vissuto e studiato.
Commovente è che non gli basti il senso più generale del testo, ma che desideri, anche nell’inferno del lager, ripetersi quelle parole in poesia, poiché esse non possono essere che come sono state scritte da Dante stesso.
Commovente è che voglia spiegare Dante e la Commedia a Jean, , detenuto come lui, in francese, sapendo di non potervi riuscire per la difficoltà nel padroneggiare quella lingua.
Commovente è come avverta che Dante sia capace, anche a distanza di secoli, di interpretare la situazione umana, l’essere schiacciati dal male insieme con l’anelito alla verità.
Commovente è che quei versi gli abbiano fatto dimenticare “chi sono e dove sono”, o forse gli abbiano permesso per un attimo di ritrovare chi era e dove era.
Così andrebbe insegnato Dante nelle scuole.
Queste le parole di Primo Levi:
Da Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einuadi, 1989, pp. 100-103 (capitolo Il canto di Ulisse).
Jean, di cui Levi racconta, era un detenuto francese, che sopravvise al campo, autore a sua volta di una memoria, ed era il Pikolo, cioè il fattorino-scritturale del Kommando cui era stato assegnato anche Primo Levi - Jean Samuel il suo vero nome.
... Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è piú un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.
... Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento affatica.
Indi, la cima in qua e in là menando
Come fosse la lingua che parlasse
Mise fuori la voce, e disse: Quando...
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica».
E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria. «Prima che sí Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: «... la piéta Del vecchio padre, né ’l debito amore Che doveva Penelope far lieta...» sarà poi esatto?
... Ma misi me per l’alto mare aperto.
Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto piú forte e piú audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso.
L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati al Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori della trincea. Mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giú di morale, non parla mai di mangiare.
«Mare aperto». «Mare aperto». So che rima con «diserto» : « ... quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto», ma non rammento piú se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:
... Acciò che l’uom piú oltre non si metta.
«Si metta» : dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di piú: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
Li miei compagni fec’io sí acuti...
… e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. « ... Lo lume era di sotto della luna » o qualcosa di simile ; ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
- Ça ne fait rien, vas-y tout de même.
... Quando mi apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto
Che mai veduta non ne avevo alcuna.
Sí, sí, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano... le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi : « ... la terra lagrimosa diede vento... » no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
Alla quarta levar la poppa in suso
E la prora ire in giú, come altrui piacque...
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda che questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui …
Siamo ormai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. – Kraut und Rüben? - Kraut und Rüben -. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: - Choux et nevets. – Káposzta és répak.
Infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.