L’uomo ridotto al “nulla” dal coronavirus, ma un nulla che non è tale!, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Cristianesimo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (20/3/2020)
Anche come introduzione ad un corso che comincerò on-line lunedì sulla fede cristiana, alla ricerca dell’essenziale
Carissimi, il virus che sta devastando alcune regione del nord, è ormai sempre più diffuso anche al centro e al sud della penisola. Il cerchio si sta stringendo. Se non fossimo tutti nelle case, avremmo forse a Roma già 30.000 contagiati.
Dobbiamo renderci conto che in questo momento niente è come prima. Non importa cosa sarà dopo, importa adesso.
Vi allego un post di una dirigente scolastica del nord:
«Scusate. A me la didattica a distanza si è inceppata, avvitandosi su se stessa dopo un'iniziale e scoppiettante partenza. Non sono stati problemi tecnici a farla implodere, e nemmeno forse quelli legati ai limiti culturali o strumentali di alcune famiglie. È stato proprio il virus. Un virus che qua ... ha falciato nonni, madri e padri in quasi tutte le famiglie dei miei studenti e dei miei docenti. Un'ecatombe. Da qui il crollo psicologico, il dolore chiuso dentro le case che rimbalza senza poter uscire, nemmeno via web. Un dolore che annulla ogni voglia di pensare al "dopo". Qui nessuno canta sul balcone. Qui nessuno si sente tra i "salvati". Insomma, il terrore, la depressione, lo smarrimento hanno fortemente influenzato l'iniziale slancio didattico e tutta la buona volontà degli insegnanti e degli alunni. Dovrò lavorare su questo, adesso, e non sui device o sugli aspetti tecnici. E non so da che parte cominciare... perché non ne sono capace».
Ognuno di noi riceve già ogni giorno messaggi di notizie su persone che sono gravi in ospedale, come di medici e infermieri che già sono contagiati anche negli ospedali romani e non possono più recarsi al lavoro.
In questo momento cadono tante cose, eccome se cadono. Il Grande Fratello VIP chiuderà in anticipo – e non è poco – non c’è la Formula 1, non ci sono le partite di calcio, i centri commerciali – i centri commerciali! – sono chiusi, l’economia è in crisi e pure Internet dopo un po’ ci stufa, sono state chiuse le Slot Machine (non c’erano riuscite a farlo decine e decine di proteste contro la dipendenza che crea l’azzardo e ora, in un attimo, è compiuto), i supermercati sono chiusi di domenica (che cosa buona!): è la vita che è in pericolo oggi e tutto ciò che è meno vita vacilla e barcolla. Diciamolo. Poi ce lo dimenticheremo,. Ma almeno diciamolo adesso: è la vita che è in pericolo oggi e le altre cose non contano nulla o contano poco.
È quello che un tempo si chiamava Memento mori (ricordati che morirai) che giaceva come sotterrato nel dimenticatoio.
Tutto frana, tutto si dimostra non saldo. Noi lo sappiamo da sempre questo: oggi è la vita a dircelo e non ce lo dicono solo i nostri libri o i nostri pensieri.
Noi amiamo la nostra vita e la vita delle altre persone ed è di questo che siamo preoccupati.
Tutto questo dice l’infinita piccolezza dell’uomo, che è messo in scacco da un virus. Addirittura i medici discutono se un virus sia vita o no, nemmeno questo è chiaro, eppure basta a dare la morte. L’infinitesimamente piccolo dice che noi non siamo nulla!
Non siamo nulla non solo come singoli, ma anche come specie tutta intera. Tutto il pianeta è nel caos, tutto il pianeta è paralizzato.
Eppure proprio questa è la questione. A noi non basta che vada avanti la specie, se muoiono le persone. Quando si proclama “Tutto andrà bene”, ma bene per chi? Certo la specie proseguirà, ma quando io morirò? Mi basta che prosegua la specie, proprio oggi che nessuno vuole far più bambini?
Ben diversa è la domanda sulla persona e non sulla specie, poiché se si parla della specie e della pura selezione naturale, noi siamo nulla come persone, come io e te, anche se la specie certamente continuerà (anzi, dal punto di vista della selezione naturale la specie stessa si estinguerà a favore di una nuova specie più adatta all'ambiente ormai modificatosi).
Ecco perché questo tempo ci obbliga all’essenziale. Non sono maestri di morale, di fede o di pensiero, non sono giornalisti o uomini di cinema, ad obbligarci a concentrarci sull’essenziale, è la vita che bussa alla porta e ce lo chiede.
Ci obbliga a dire cosa è questo nulla che siamo noi. Cosa fare di questo nulla.
Al contempo ci obbliga al concreto. A vivere cose concrete, a prendere decisioni in ogni momento su cose concrete, a fare scelte ogni istante anche nelle nostre case, su cosa fare, cosa dire, con chi parlare, cosa dire, come pregare o non pregare, come credere o non credere, come aiutare o fregarsene, come far finta di niente e tirare avanti.
Noi giovani e adulti, universitari e docenti, non dobbiamo rispondere solo per noi stessi, ma sentiamo di dover testimoniare oggi, come sempre, che cosa è la vita. Non ci interessa solo rispondere per noi, ma anche per le nostre famiglie, per i nostri amici, per i nostri studenti, perché tutti abbiamo una responsabilità.
Già ammettere che questo momento presente non è così facile - che la vita non è così facile -, che non bastano consigli da quattro soldi, ma che oggi si pone la questione della vita in tutta la sua serietà, è un passo avanti importante. E che passo!
Noi avevamo sentito parlare della guerra, pur non avendola vissuta. Ma non avevamo mai sentito parlare dai nostri nonni della peste, se non dai libri o da persone di altri continenti. In nessuna delle nostre famiglie era chiaro prima di oggi cosa fosse un’epidemia. Ora, invece, questo è reale.
Come già ha scritto un amico: “I padri educano con le parole e con l’esempio, la vita educa a mazzate”.
Come confortare, allora, oggi e trasmettere serenità, se siamo nulla? Come confortare in maniera vera, autentica, non con ricettine da quattro soldi? Non sapremmo cosa farcene di una serenità costruita su di un mondo che non esiste più ora (poiché si è rivelata la fragilità di ciò che tutti volevano farci credere fosse saldo).
Dinanzi a questo” nulla” che noi siamo, due sono le ipotesi possibili. L’una è che siamo nulla e basta. È il nihilismo. Sono nulla, perché sono nulla e, quindi, non resta che la specie, anzi nemmeno la specie, perché il Big Crunch, ad un certo punto , cancellerà l’intera umanità. Che gli studiosi di ecologia riescano ad ottenere l’attenzione dei potenti o meno, comunque tutto si perde nel nulla. Che gli amanti della solidarietà si impegnino o meno, tanto tutti i poveri sono destinati al nulla.
Oppure il nulla che noi siamo è prezioso agli occhi dell’infinito. Il nulla che siamo è amato e voluto. Ha un destino buono. Non un destino della sola specie, ma un destino di me e di te.
Il “nulla” non può avere senso in se stesso. Lo ha in colui che lo sostiene, lo ha nell’infinito che lo pensa e lo vuole.
Ecco la nostra pace, quella pace che ha una duplice fiducia. Duplice, ma che, in fondo, è una e la stessa. Fiducia che è messa alla prova oggi, ma che è la nostra fiducia.
In primo luogo è la fiducia che noi abbiamo un destino eterno. Lo abbiamo perché siamo stati creati, perché siamo figli, perché non siamo nati per caso. Lo sappiamo non per paura della morte, non per il rifiuto della “nera signora”. Lo sappiamo perché ogni volta che abbiamo visto nascere un bambino ci siamo sentiti dire dai genitori: “Come è possibile che lo abbiamo fatto solo noi!”. Lo sappiamo perché nel battesimo siamo stati chiamati “figli”, come Gesù. Per questo lui è venuto nel mondo, per il nostro battesimo. Senza il nostro battesimo, Cristo non avrebbe alcun significato.
Ma la nostra fiducia è anche che proprio il giorno di oggi ha un significato. Che siamo “figli” e, quindi, oggi dobbiamo vivere serenamente questo momento, questa prova, anche se nessuno fino ad ieri se la sarebbe mai immaginata.
È incredibile rendersi conto proprio oggi che la chiesa non ha mai guardato alla vita eterna in maniera da dimenticarsi la quotidianità. I cristiani nei secoli non hanno mai vissuto il Memento mori e l’attesa della fine del mondo e della salvezza, senza contemporaneamente costruire cattedrali, fondare università, scrivere libri, comporre musica, mangiare spaghetti alla carbonara e bere birra.
Perché? Perché noi cristiani sappiamo che ogni gesto compiuto in questo tempo, ogni gesto d’amore, ogni pagina di libro studiata per costruire il paese, ogni telefonata fatta ad un amico, ogni momento di servizio in famiglia, tutto questo è eterno, anche se questo mondo dovesse finire domani.
Un santo diceva che se fosse giunto l’annuncio del giudizio universale ormai imminente, mentre egli stava giocando a pallone in oratorio con i suoi ragazzi, avrebbe continuato a giocare a pallone con loro, perché quel giocare insieme era anticipo di eternità. Questo annuncio di eternità in ciò che passa è ciò che dobbiamo riscoprire oggi.
Dobbiamo riscoprire oggi che, nella fede, ciò che noi facciamo ogni giorno non è un “nulla” dinanzi all’eterno. Bensì è promessa di eternità.
Quel “nulla” che noi compiamo oggi, quella telefonata, quella pagina di manuale studiato, quell’articolo scritto o quel video girato, quel pensiero e quella preghiera, quel cibo condiviso, quell’attenzione nelle case, tutto questo è un “nulla” amato e voluto. Ecco perché non solo non si arresta dinanzi all’abisso, ma anzi si intensifica: ognuno si impegna sempre più in quel concreto che gli è assegnato per vocazione.
Torno a meditare sempre di nuovo la preghiera Guidami tu, Luce gentile del cardinal Newman. Noi alla Luce gentile – espressione meravigliosa per dire Dio – non chiediamo oggi di vedere la fine della pestilenza e nemmeno solo la fine della vita terrena nella vita eterna.
No, noi chiediamo che questa Luce gentile ci illumini sul prossimo passo da compiere. Sappiamo che quel passo ci avvicinerà alla luce, che quel passo è già luce, che quel passo conduce alla meta, anche se ancora non la vediamo questa benedetta meta.
Così pregava Newman e noi con lui:
Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
l’orizzonte che mi attende,
mi basta vedere il passo successivo che debbo compiere.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere per mio conto e decidere del mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!
Amavo ciò che era abbagliante, e malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell’orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte passerà;
e con l’apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amo
e per poco avevo perduto.
In mare, 16 giugno 1833[1]
Appendice. La lettera del vescovo di Brescia mons. Tremolada
Anche la lettera del vescovo di Brescia, con una importante riflessione sui morti che muoiono soli in ospedale, poiché a nessuno è dato di assisterli, è illuminante. Scrive così mons. Tremolada (in nota la lettera integrale)[2]:
« Il mio pensiero va anzitutto ai nostri fratelli e sorelle che a causa del contagio versano in gravi condizioni nei nostri ospedali, che non possono essere accompagnati dai loro cari negli ultimi istanti della loro vita e che non possono ricevere i conforti religiosi. Vorrei tanto che non si sentissero soli, che potessero avere un segno della amorevole presenza del Signore, della sua potenza di salvezza e della sua misericordia. Mi rivolgo allora a voi cari medici e infermieri che credete nel Signore: siate voi ministri di consolazione per questi nostri fratelli e sorelle, nel rispetto della libertà loro e dei loro parenti. Aggiungete all’ammirevole cura che state dimostrando anche questo gesto: quando li vedete in particolare difficoltà o ormai alla fine della loro vita terrena, affidateli al Signore con una semplice preghiera silenziosa e se i loro cari vi esprimeranno il desiderio di saperli accompagnati dai conforti cristiani, tracciate voi sulla loro fronte una piccola croce. Fatelo a nome loro e a anche a nome mio, a nome dell’intera nostra Chiesa. Avete piena dignità di farlo in forza del vostro sacerdozio battesimale. Ai cappellani dei presidi ospedalieri e ai loro collaboratori pastorali – la cui presenza in questo momento è ancora più preziosa – ho raccomandato di sostenervi in questo vostro ministero. […] A tutti vorrei poi ricordare che in momenti di particolare gravità, quando non vi siano le condizioni per accostarsi al Sacramento della Penitenza nella forma consueta della confessione personale, la Chiesa stessa prevede la possibilità di ricevere il perdono del Signore nella forma del Votum Sacramenti, cioè esprimendo il desiderio di ricevere il Sacramento della Riconciliazione e proponendosi di celebrarlo successivamente. L’attuale situazione impedisce a tanti di noi – fedeli e ministri – di ricevere l’assoluzione sacramentale, stante le indicazioni dell’ultimo decreto ministeri».
Note al testo
[1] Qui il link ad una versione per canto liturgico con audio della preghiera: https://soundcloud.com/gliscritti/traccia-6
[2] Messaggio ai fedeli della Diocesi di Brescia a conclusione del secondo Quaresimale presso la chiesa cattedrale
Carissimi tutti, fratelli e sorelle nel Signore, abbiamo insieme contemplato e meditato in questo secondo Quaresimale il mistero della Passione del Signore. Abbiamo fissato lo sguardo sull’Uomo dei dolori, sull’Agnello di Dio che per noi ha sofferto fino al sacrificio supremo della vita. Abbiamo sentito annunciare la sua vittoria, che si è trasformata per noi in una intercessione onnipotente (Is 52,13-53,12). Ci sentiamo profondamente uniti a lui in questo momento di dolore e di turbamento. In lui poniamo tutta la nostra speranza. Il mio pensiero va anzitutto ai nostri fratelli e sorelle che a causa del contagio versano in gravi condizioni nei nostri ospedali, che non possono essere accompagnati dai loro cari negli ultimi istanti della loro vita e che non possono ricevere i conforti religiosi. Vorrei tanto che non si sentissero soli, che potessero avere un segno della amorevole presenza del Signore, della sua potenza di salvezza e della sua misericordia. Mi rivolgo allora a voi cari medici e infermieri che credete nel Signore: siate voi ministri di consolazione per questi nostri fratelli e sorelle, nel rispetto della libertà loro e dei loro parenti. Aggiungete all’ammirevole cura che state dimostrando anche questo gesto: quando li vedete in particolare difficoltà o ormai alla fine della loro vita terrena, affidateli al Signore con una semplice preghiera silenziosa e se i loro cari vi esprimeranno il desiderio di saperli accompagnati dai conforti cristiani, tracciate voi sulla loro fronte una piccola croce. Fatelo a nome loro e a anche a nome mio, a nome dell’intera nostra Chiesa. Avete piena dignità di farlo in forza del vostro sacerdozio battesimale. Ai cappellani dei presidi ospedalieri e ai loro collaboratori pastorali – la cui presenza in questo momento è ancora più preziosa – ho raccomandato di sostenervi in questo vostro ministero. Noi ricorderemo tutti i nostri malati e tutti i nostri defunti la sera di ogni giorno nel santo rosario delle ore 20.30. A tutti vorrei poi ricordare che in momenti di particolare gravità, quando non vi siano le condizioni per accostarsi al Sacramento della Penitenza nella forma consueta della confessione personale, la Chiesa stessa prevede la possibilità di ricevere il perdono del Signore nella forma del Votum Sacramenti, cioè esprimendo il desiderio di ricevere il Sacramento della Riconciliazione e proponendosi di celebrarlo successivamente. L’attuale situazione impedisce a tanti di noi – fedeli e ministri – di ricevere l’assoluzione sacramentale, stante le indicazioni dell’ultimo decreto ministeriale circa il contatto tra le persone, indicazioni che raccomando di osservare con assoluto rigore. Pertanto la forma ordinaria della confessione individuale in questo tempo di emergenza viene sostituita per tutti da quella del Votum Sacramenti. Tutti abbiamo bisogno del perdono del Signore. Domandiamolo dunque con fede, con un atto di sincera contrizione, esprimendo questo desiderio del perdono attraverso una supplica confidente, o con una formula di preghiera liturgica o tradizionale (Confesso a Dio Onnipotente, “O Gesù d’amore acceso”, Atto di dolore) o con parole nostre, e compiendo se possibile un gesto penitenziale (digiuno, veglia di preghiera o elemosina). Nel tempo che abbiamo davanti – il Signore solo ne conosce la durata – rinnoviamo questo Votum Sacramenti ogni volta che in coscienza riteniamo di averne bisogno, fi no alla futura celebrazione del Sacramento nella sua forma consueta. Riscopriamo anche il valore delle diverse pratiche penitenziali, che la Chiesa da sempre ha raccomandato. Vorrei infine invitare tutti i sacerdoti e in particolare i parroci a mantenere aperte le porte delle chiese – sarà un segno importante per tutti anche se non dovesse entrare nessuno – e a vivere ogni giorno, se possibile dalle ore 16.00 alle ore 17.00, un momento di adorazione personale davanti all’Eucaristia esposta, senza alcuna convocazione dei fedeli. Anch’io lo farò allo stesso modo nella chiesa cattedrale. Tutto il popolo di Dio sappia che il suo vescovo e i suoi sacerdoti ogni giorno celebrano l’Eucaristia e ogni giorno la adorano, invocando su tutta la diocesi e su tutte le comunità parrocchiali la protezione del Signore. La nostra Chiesa bresciana ha da poco inaugurato il Giubileo delle Sante Croci: sentendoci ai piedi della sua croce in comunione con la Beata Vergine Addolorata, affidiamo al cuore trafitto di Gesù, nostro amato redentore, il cammino di questi giorni e ripetiamo le parole del Salmo: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Ci accompagni e ci sostenga la benedizione di Dio, che ora con fiducia imploriamo.
+ Pierantonio Tremolada, Vescovo
Brescia 13 marzo 2020