Donne più brave a scuola ma il lavoro le penalizza. Più penalizzate le lavoratrici con figli, ovviamente. Il prossimo politico che lancia l'allarme sulla denatalità gli tiro un pomodoro [Le ultime 2 frasi del titolo sono dal Profilo FB dell’autrice], di Monica Ricci Sargentini
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Riprendiamo da Il Corriere della Sera del 7/3/2020 un articolo di Monica Ricci Sargentini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Diritti umani.
Il Centro culturale Gli scritti (15/3/2020)
Domani sarà l’8 marzo e per le donne, ancora una volta, non c’è nulla da festeggiare. Le ragazze studiano di più, hanno più interessi e voti più alti ma nel lavoro hanno retribuzioni inferiori e sono penalizzate se hanno figli. Lo dimostrano i dati delle indagini AlmaDiploma e AlmaLaurea che vanno ad aggiungersi al rapporto Onu in cui si evidenzia che il 90% del mondo ha pregiudizi sulle donne.
I diplomati
Il Rapporto 2019 sul Profilo dei Diplomati mostra che il 39,1% delle ragazze alla scuola media inferiore ottiene un voto d’esame superiore o uguale a 9 (percentuale pari al 29,8% tra i ragazzi) e quando arrivano sui banchi delle superiori, che siano quelli di un liceo, un istituto tecnico o un professionale, raggiungono ottimi risultati.
Il 92,3% delle studentesse non fa ripetenze (è l’87,7% per ragazzi) e conclude la scuola secondaria superiore con un voto medio di diploma pari a 78,7 su cento (è 75,2 per i ragazzi).
I laureati
Il Rapporto 2019 sul Profilo dei laureati mostra che tra i laureati del 2018, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (58,7%), la quota delle donne che si laureano in corso è pari al 55,5% (è 50,9% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 103,7 su 110 (è 101,9 per gli uomini); occorre sottolineare che ciò è frutto anche dei diversi percorsi formativi intrapresi.
Le donne si iscrivono all’università spinte da forti motivazioni culturali (32,2% rispetto al 28,2% degli uomini) e hanno svolto un buon numero di tirocini e stage riconosciuti dal proprio corso di laurea, il 62,8% delle donne rispetto al 54,2% degli uomini.
Il lavoro
Ma la situazione si inverte quando si entra nel mercato del lavoro.
“Tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 6,0 punti percentuali in termini occupazionali: il tasso di occupazione è pari all’83,0% per le donne e all’89,0% per gli uomini” si legge nel rapporto di AlmaLaurea.
A dieci anni dalla laura il 63% degli uomini ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 52,6% delle donne.
I salari
A parità di mansioni le donne sono pagate meno degli uomini. Accade ovunque nel mondo. Sicuramente esiste anche una nostra difficoltà a trattare le questioni economiche. Comunque i dati AlmaLaurea confermano questa tendenza.
“Tra i laureati magistrali biennali che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 16,9% a favore degli uomini: 1.688 euro netti mensili rispetto ai 1.444 euro delle donne”.
Non è un Paese per madri
E veniamo alle lavoratrici con figli. In una nazione che ogni due mesi si dispera per il calo demografico e lancia allarmi sulla nostra prossima estinzione fa arrabbiare vedere, dati alla mano, come le donne che decidono di riprodursi vengano penalizzate sul posto di lavoro. A differenza di altri Paesi europei, la Francia in primis, nel Belpaese se fai un figlio sono affari tuoi. Mi ricordo un proverbio che mia madre ripeteva quando ero piccola: “Trulli trulli chi li fa se li trastulli”.
“Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale addirittura a 27,3 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari all’89,7% per gli uomini, rispetto al 62,4% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’83,7%, con un differenziale di 21,3 punti percentuali rispetto alle donne con figli”.