Sei questioni nuove e decisive sollevate dal Rapporto Caritas sulle povertà di Roma 2019. I problemi economici causati dalla dissoluzione di molte famiglie e dal crescere delle percentuali degli anziani per la denatalità, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Nelle nostre città.
Il Centro culturale Gli scritti (22/3/2020)
Mentre la maggior parte dei media e degli “intellettuali” continuano a dipingere la città di Roma come se i problemi principali della popolazione fossero quelli del razzismo o delle diverse intolleranze fobiche, il nuovo Rapporto Caritas 2019 precisa con ben altri toni 6 questioni decisive, che raramente vengono enunciate con la stessa chiarezza in altre analisi (e che ovviamente incidono nelle ipotesi di soluzione dei casi più gravi di povertà che sono sotto gli occhi di tutti).
1/ L’indice di vecchiaia e il crescere della povertà più diffusa: l’essere anziani
L’“indice di vecchiaia” è un’espressione con la quale si indica il grado di invecchiamento di una popolazione ed è precisamente il rapporto percentuale tra il numero degli ultra 65enni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni. Nel 2019 l'indice di vecchiaia per il comune di Roma è del 170,2 cioè ci sono 170,0 anziani ogni 100 giovani. Nel 2002 era di 148, cioè è salito di 22 punti in 18 anni.
Questo dato fa ben capire che l’età anziana, quella che, in percentuale, ha bisogno di maggiori cure e attenzioni è in un crescendo proporzionale che si svilupperà negli anni a venire in maniera esponenziale.
Ogni progettazione di un’azione di carità dovrà tenere conto della crescente povertà data semplicemente dal crescere dell’età e dal diminuire delle forse.
È stupido continuare ad affermare che le nostre parrocchie sono piene di anziani, quando i giovani sono sempre meno e gli anziani, nuovi poveri, trovano proprio nelle parrocchie il luogo dove essere accolti e trattati con tenerezza. Ovviamente è da ipotizzare non un servizio che li lasci passivamente ad essere coccolati, bensì dove essi possano ritrovare il senso della vita, rendendosi utili agli altri, come il Signore desidera (si pensi solo al caso delle vedove nel Nuovo Testamento, che divennero un vero e proprio ordo ministeriale).
2/ Il crescere di persone che, pur appartenendo fino ad ora ad un ceto medio, hanno ormai problemi a giungere alla fine del mese: gli “equilibristi” della povertà
Un secondo elemento assolutamente nuovo è la diffusione di un crescente grado di malessere economico e di difficoltà a giungere alla fine del mese anche presso le persone del ceto medio. Così afferma il sito della Caritas in occasione della presentazione del terzo Rapporto “Povertà a Roma: un punto di vista”, realizzato dalla Caritas di Roma al termine del 2019:
«Gli “equilibristi della povertà” sono le persone che hanno un reddito sufficiente a pagare un affitto o anche un mutuo, ma che riescono a malapena a pagarsi di che mangiare o a pagare le utenze. Una vulnerabilità che li fa camminare costantemente sull’orlo del precipizio della povertà vera e propria, in cui cadono di fronte a imprevisti anche minimi».
3/ La stragrande maggioranza dei poveri lo sono a motivo di un fallimento familiare e del conseguente divorzio
Un terzo elemento rilevato dalla Caritas è la crescente rilevanza dei fallimenti familiari (divorzio/separazione) come causa di povertà economica e non solo di disagio psichico. Così i commenti al Rapporto Caritas 2019:
«In Italia cambia il quadro delle persone che chiedono aiuto a Caritas. Se fino a qualche anno fa si trattava per lo più di immigrati e anziani oggi la povertà arriva dopo la rottura dei rapporti coniugali, visto che il 66,1% dei separati che si rivolgono alla Caritas dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Prima della separazione erano solo il 23,7 per cento. […] Altre conseguenze della separazione: aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici (66,7% accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli: il 68% dei padri (46,3% delle donne) intervistati riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che riconoscono un cambiamento il 58,2% denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti (le madri al contrario riconoscono per lo più un miglioramento)».
Anche questo dato è sottostimato dagli “intellettuali”, mentre, analizzandolo, ci si rende conto che solo una maggiore “riuscita” delle famiglie può essere garanzia nella lotta contro la povertà.
4/ Il secondo bisogno più registrato dai centri di ascolto parrocchiali Caritas è quello di essere ascoltati
Estremamente interessante è che nei questionari rivolti ai centri d’ascolto Caritas fra le richieste primarie emerga quello dell’ascolto. Spesso non si chiede agli operatori dei Centri la soluzione di un qualche problema, anche perché si ha coscienza che taluni problemi sono irrisolvibili, bensì l’ascolto. Il desiderio di essere ascoltati, di poter parlare, di poter raccontare, dice il cuore a cuore della carità, dice il bisogno di essere riconosciuti.
Ebbene, il desiderio di essere ascoltati è il secondo, dopo quello del cibo, dato assolutamente straordinario e poco riconosciuto.
Chi conosce i senza fissa dimora sa quanto problemi psicologici e psichiatrici siano fra le cause della situazione di disagio di chi si trova in quelle condizioni. Talvolta i problemi di difficoltà di rapporti hanno preceduto l’emarginazione, talvolta ne sono la conseguenza, ma certo essi sono ora lì, come macigni, rendendo difficile – e a volte quasi impossibile – un reinserimento. L’ascolto ha il potere di restaurare rapporti, di reinserire in circoli di vita, anche se il problema concreto fosse non più risolvibile.
Nei dati al primo pasto sta la richiesta di una mensa (22,7% ), al secondo dell’ascolto (19.1% ), al terzo delle cure mediche (12,5 %).
5/ Ormai quasi metà della popolazione vive sola ed anche la metà dei genitori si trova ad educare ormai da sola i propri figli
Un altro dato impressionante dell’analisi Caritas 2019 è quello relativo alla condizione di dissoluzione di legami familiari in persone di media borghesia e non solo in persone di ceto sociale più basso (anzi qui i dati possono talvolta essere migliori).
La cultura degli ultimi decenni ha come decostruito l’istituto familiare e le esigenze del lavoro portano ad una vita sempre più spesa per mantenere un posto di lavoro a spese dei legami. Da ciò risulta che ormai quasi la metà degli italiani viva da solo, senza una famiglia cui fare riferimento. E anche fra chi è padre e madre, risulta ormai che la metà della popolazione viva separata dall’altro genitore, di modo che i figli, nel 50% quasi dei casi, si trovano a vivere con uno solo dei due genitori.
Non che l’altro, in percentuale, se ne disinteressi, ma certo, d’abitudine, i figli si trovano a vivere con uno solo dei loro due genitori.
Così il rapporto Caritas 2019:
«In sintesi se si sommano i valori percentuali delle famiglie monocomponenti (cioè quelle formate da una sola persona) e quelli relativi alle famiglie con figli ed un solo genitore convivente essi superano in tutti i Municipi il 50% dei casi. Ma c’è di più. Ragionando sui valori medi risulta che a Roma solo il 41,9% dei nuclei familiari vede la presenza di due adulti; ciò sta a significare che la maggioranza delle condizioni familiari si sostanzia o nel caso di un adulto solo (spesso anziano dato l’innalzamento dell’aspettativa di vita) o in quello di un adulto solo con figli. Emerge in qualche modo una tendenza verso forme che in parte si sostanziano nella solitudine della sfera privata, per molti non più luogo del ritrovo tra persone care ma tutt’al più di ritrovo con l’animale domestico. La fragilità che l’istituzione famiglia patisce, l’indebolimento della stabilità del patto di sostegno reciproco tra persone, la modificazione della sua stessa struttura con il prevalere di modelli meno pro-sociali; ebbene tutto questo sta rimodulando la visione stessa del “vivere insieme e in società” con effetti da monitorare con attenzione, soprattutto in termini di felicità e realizzazione soddisfacente dell’esistenza. In effetti la fondamentalità della famiglia per i dinamismi di sviluppo della “communitas” era affermata sin già dall’antichità. Se l’uomo è “un animale sociale” come insegna la tradizione filosofica greca, come si concilia questa sua naturale tendenza con i fenomeni che stiamo descrivendo? Si affaccia l’ipotesi che la volontà, la libertà e la cultura possano modificare tendenze in sé positive e che l’impegno formativo della sociabilità non possa prescindere da una parte dall’esistenza di modelli di riferimento solidi e dall’altra dalla predisposizione di contesti che agevolino il con-vivere (soprattutto per chi non può contare su reti sociali)».
6/ La questione del lavoro
Enorme è la difficoltà a trovare lavoro. Soprattutto per le nuove generazioni e per gli ultra 50enni che lo hanno perso. Le persone chiedono non denaro o sussidi, ma vorrebbero essere indipendenti, poiché in grado di lavorare.
Anche la questione migranti sembra tralasciare spesso nei media tale questione, quasi che le nuove persone giunte nel nostro paese avessero bisogno innanzitutto di case o di sussidi.
La vera mancanza sta, invece, nella possibilità di trovare un’occupazione non sottoposta alla malavita, che permetta di affittare una casa e di mantenersi da soli. Senza lavoro non è possibile alcuna vera integrazione: la questione lavorativa risulta essere quella determinante nell’accoglienza e nell’integrazione dei profughi e dei migranti.
Dove non si generano occasioni lavorative la persona si trova a vivere in Italia in una condizione peggiore d quella in cui viveva nel suo paese d’origine.