Per scuole di politica aderenti al reale. Note sulla crisi siriana e l’emergenza profughi al confine turco-greco, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /03 /2020 - 16:34 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Per la pace contro la guerra e Immigrazione e integrazione.

Il Centro culturale Gli scritti (8/3/2020)

Le lacrime di coccodrillo che la stampa versa per la situazione dei profughi siriani al confine turco-greco obbliga a verificare quali lumi abbia la politica italiana, ma anche cosa stiano facendo le scuole di formazione alla politica presenti oggi in Italia nel mondo cattolico e in quello non cattolico.

Soprattutto obbliga a verificare cosa si propone in politica e cosa si insegna in tali scuole in merito alla politica estera che, a nostro avviso, è ben più importante della politica interna; in un mondo globalizzato, un paese che non abbia una chiara e propositiva politica estera non avrà alcuna reale possibilità di far crescere il paese e di renderlo protagonista di giustizia nel mondo.

Ecco alcune chiavi di lettura sulle quali verificare il cammino percorso.

***

1/ I migranti che bussano alle porte della Grecia, dopo che la Turchia li ha volutamente sposati ai confini greci, non fuggono da Assad, bensì dai jihadisti, i cui ultimi combattenti sono asserragliati a Idlib: sono fuggiaschi ormai da anni a causa della guerra condotta dai guerriglieri islamisti di al-Nusra.

Ebbene anche questo evento, come gli altri più o meno recenti eventi mediorientali, hanno insegnato che le rivoluzioni e le rivolte, così come l’armare truppe contro i dittatori, sono avventure spesso disastrose.

Se si guarda al caso dell’Iran pre-khomeinista, ci si accorge facilmente che l’aver soffiato a favore della fine del regime dello Scià, pur effettivamente tirannico, ha fatto precipitare l’Iran in una spirale senza fine di integralismo.

Il sostegno dato dalla stampa occidentale di sinistra e di destra alla rivolta khomeinista come evento di libertà si è rivelato un errore storico clamoroso.

Similmente l’utilizzo della forza militare contro Saddam Hussein e contro Gheddafi si è rivelato un colossale errore. La stampa non ne ha però tratto alcuna lezione utile e, dopo aver contestato l’offensiva USA contro l’Iraq, ha invece plaudito alle azioni della guerriglia islamista contro Assad, presidente-dittatore certamente meno tiranno dei suddetti Hussein e Gheddafi.

Chi si esprime a favore della guerriglia anti-Assad è simile a chi ha plaudito all’intervento di Bush in Iraq: non c’è differenza. Dobbiamo uscire da questa schizofrenia di chi contestò quell’intervento e ora inneggia ad un eliminazione armata del presidente siriano.

Si noti bene: non che questo voglia dire un plauso a quest’ultimo! L’appoggio è, invece, sempre e comunque alla stabilità politica del medio-oriente. Un’azione politica diplomatica intelligente potrebbe ad esempio affermare: "Voi di Idlib dovete consegnare le armi e finire in prigione. Voi dovete arrendervi, anche l'Europa ve lo chiede. Ma noi garantiamo che i civili che sono con voi avranno libertà e benessere". Un’azione diplomatica deve appoggiare il presidente siriano e non favorire la destabilizzazione e, al contempo, schierarsi a favore dei civili.

Errato è, invece, usare i civili uccisi per attaccare Assad. Errato, perché lo destabilizza e destabilizza l’unica possibilità di pacificazione esistente nel territorio. Se, infatti, fossero state le milizie jihadiste, che ora sono asserragliate in Idlib, a prendere il potere la Siria vedrebbe l’uccisione sistematica delle adultere, degli omosessuali, dei liberi pensatori e così via, perché questo è avvenuto nelle città dove al-Nusra ha preso il potere in Siria, eliminando i diritti civili infinitamente di più di quanto fa Assad.

Una formazione alla politica deve denunciare le lacrime di coccodrillo che portano gli “intellettuali”, che hanno plaudito alla rivolta che ha causato le migrazioni, a stracciarsi oggi le vesti dinanzi alle porte chiuse della Grecia ai profughi siriani, spinti a forza dai turchi contro l’Europa, invece che fare un mea culpa sulla propria presa di posizione contro Assad.

Dagli eventi storici precedenti gli “intellettuali “ di sinistra e di destra, così come i formatori alla politica, dovrebbero imparare che, nei paesi del Medio Oriente, non è eliminando un dittatore che si risolvono i problemi, anzi lo scoperchiare la pentola dà adito alle forze più integraliste di scendere in campo.

Solo una posizione che, pur non condividendo interamente la politica del presidente siriano, si schieri a favore del ripristino della piena sovranità sul territorio, con la sottrazione di ogni potere agli insorti, favorisce veramente i profughi. Non si può volere il benessere dei profughi e la presenza dei terroristi a Idlib. Si è dinanzi ad un aut aut.

Dove sussista ambiguità su tale questione di politica estera, con uno schierarsi che tende l’occhiolino all’asse Turchia-Arabia Saudita-USA-islamisti, nessuna politica interna seria in Italia è possibile.

***

2/ L’idea di Europa che si ha in mente non può essere disgiunta da tale questione. L’appellarsi all’essere europeisti, senza definire cosa sia L’Europa e quali le sue prospettive di politica estera, è un bluff.

Se essere europeisti, ad esempio, vuol dire avere a cuore la questione dei profughi questo implica sostenere una Siria pacificata, con la resa delle milizie jihadiste e l’abbandono delle armi. Se essere europeisti vuol dire, invece, fomentare la rivolta in Siria e poi piangere lacrime di coccodrillo quando i profughi bussano alle porte dell’Europa, è tutta un’altra cosa.

L’attuale leadership europea è gravemente responsabile della crisi internazionale dei profughi, ma riversa poi sulle singole nazioni la condanna per il rifiuto ad accogliere quei profughi che la leadership di Bruxelles non ha sostenuto nei loro paesi di origine, sostenendo quella situazione che li costringe ad emigrare.

Si noti bene, ciò non vuol dire che l'Europa sia il colpevole per eccellenza. Anche questo dovrebbe essere messo a tema in una scuola di politica. La politica estera oggi è così cambiata rispetto al passato che una decisione del mondo sciita o di quello sunnita, del mondo arabo o della Cina, dell’Africa o dell’India, dell’islam integralista come dell’induismo, determina il panorama internazionale ben più di quanto l’Europa possa farlo.

Le colpe della Turchia, dell’Arabia Saudita, del mondo arabo, degli USA, dell’Iran, sono gravissime nella crisi siriana, ben più gravi di quelle europee. Sarebbe da domandarsi se essere europeisti vuol dire parlar sempre male dell’Europa e addossarsi colpe non proprie.

Ma è altrettanto vero che non ci si può foderare gli occhi di prosciutto e non accorgersi che il fatto che l’Europa non si è schierata con Assad ed anzi ha favorito i suoi nemici, dalla Turchia all’Arabia Saudita, ha aggravato una situazione ingenerata da altri. Allo stesso modo, solo per fare un altro esempio, una mancata seria politica europea nei confronti dell’Eritrea o della Nigeria, così come dei paesi del Sahel o del Maghreb, ha aggravato la situazione generata dalle grandi responsabilità che queste nazioni hanno.

Se si comprende quanto l’attuale leadership di Bruxelles sia oggi ambigua, si capisce anche come non si tratti di essere pro o contro l’Europa, anzi di come la bandiera dell’europeismo sia un bluff.

Si tratta, invece, di domandarsi a favore di quale Europa si intenda essere, se i suoi attuali governanti a Bruxelles sono più preoccupati di portare avanti una loro visione ideologica dell’uomo e dei diritti, trascurando una seria politica estera adeguata e incisiva.

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3/ Si tratta, con ciò, di uscire da una visione moralistica delle grandi questioni come il pretendere, ad esempio, che sia decisivo lo schierarsi a parole a favore o contro l’immigrazione, quasi che la vera questione sia oggi quella del razzismo.

No, la vera questione è quella della politica internazionale che deve essere affrontata con le giuste risorse, la giusta incisività, le giuste alleanza, per venire realmente incontro alle popolazioni in difficoltà. Ogni errore nei rapporti internazionali viene pagato dalla povera gente e si trasforma quindi in migrazioni forzate.

Gli attuali governanti di Bruxelles debbono essere richiamati alla loro responsabilità e obbligati a dare pubblico conto di cosa hanno fatto per risolvere il dramma migratorio alle radici, con adeguate alleanze con i diversi paesi di origine dei profughi.

L’espressione “aiutiamoli a casa loro” è servita a mascherare l’inesistenza di una politica nei confronti di Assad o dell’Eritrea, del Sahel o della Nigeria. Il primo diritto dei cittadini di ogni stato è quello di non dover esser obbligati ad emigrare e solo un’Europa che lavori allo spasimo per questo ha diritto di chiedere ai suoi cittadini di essere europeisti.

Tutti intendiamo esser europeisti, ma non in un’Europa che sia governata con una politica estera così inadeguata al tempo presente.

Invece Bruxelles propone una politica inefficace e miope e poi pretende di scaricare la colpa sulla povera gente della Grecia, della Bulgaria o dell’Italia, quasi che siano questi paesi, indicato come “razzisti”, il problema. Il problema è a Bruxelles!

È l’attuale maggioranza di Bruxelles che  prima ha dato 6 miliardi di euro – 6 miliardi di euro! – alla Turchia perché si tenesse i profughi siriani e poi, quando la Turchia ha deciso di usare i profughi per ricattare l’Europa perché gli concedesse di continuare la guerra in Siria contro Assad, non ha levato un fiato di protesta.

L’Europa deve smettere di accusare determinati paesi come l’Italia, come se fossero essi a non voler accogliere i migranti e ad essere razzisti, e non lo fosse invece l’intera leadership europea: è l’Europa intera che oggi chiude ogni confine e ogni porti e lo fa in ogni nazione d’Europa, ma finge che siano solo gli stati nei quali concretamente avvengono gli ingressi ad avere perplessità e rifiuti verso ulteriori ingressi di migranti.

Per verificarlo, basterebbe proporre che i migarnti al confine greco lo attraversino per recarsi poi in Danimarca, svezia e Norvegia, per vedere l'immediata reazine di quelle nazioni le cui maggioranze detengono in Europa la leadership.

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4/ L’Italia e l’Europa non debbono sostenere l’indebolimento di figure come Assad – così come è stato sbagliato appoggiare la fine di Saddam Hussein, di Gheddafi e prima ancora dello Scià di Persia. L’Europa deve invece lavorare ad un’evoluzione culturale in quei paesi di cui non può che essere alleata anche se ritiene i suoi governanti non pienamente democratici (cosa che vale per quasi tutti gli stati a maggioranza islamica del globo, poiché un’Islam democratico è ancora da progettare e costruire).

Mentre l’Italia e l’Europa debbono appoggiare Assad, così come eventuali altri esponenti del mondo islamico che governassero in maniera non pienamente democratica, al contempo i politici europei debbono lavorare ad un livello più profondo, quello educativo e formativo, perché una cultura della libertà e dei diritti, una cultura della piena libertà religiosa, che implica la possibilità anche di convertirsi ad un’altra religione, una cultura della piena valorizzazione e libertà della donna, siano costruite.

Del sostegno di una tale maturazione culturale l’Europa deve farsi carico, smettendo di fingere di ignorare che non tutte le culture sono uguali, bensì esistono visioni della vita che aprono ad una maggiore libertà e pienezza dell’uomo. Deve, però, lasciare i popoli liberi di giungervi con le proprie forze, rinunciando ad appoggiare rivoltosi che intendono invece riportare indietro i loro paesi, a partire da una visione integralista della società, così come intendono fare i rivoltosi oggi asserragliati ad Idlib.

La storia è fatta di chiaroscuri e non sarà con delle pure affermazioni teoriche o con il sostegno a rivoltosi vari che si affermerà una visione dell’uomo più rispettosa. L’Europa deve mostrare ai suoi alleati che ha imparato dalla sua stessa storia che l’utopia è pericolosa, perché in nome di un ideale si possono uccidere milioni di persone: l’Europa ha imparato che nella storia non esiste una giustizia perfetta, ma un continuo avvicinamento ad essa, che richiede compromessi ed aggiustamenti.

Deve insegnare che è necessario sposare un realismo che sostenga i diversi governanti, pur non pienamente democratici, di ogni paese e, pian piano, prepari il terreno perché le popolazioni stesse, in via democratica e nonviolenta, elaborino nuove visioni della società e nuove leadership.

Su queste quattro questioni varrebbe la pena verificare il percorso di formazione alla politica delle giovani generazioni, perché è sulla politica internazionale e non solo su quella interna, che si gioca il futuro di una nazione e del suo posto nel mondo.