Il Settimo sigillo e il coronavirus, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (26/2/2020)
Non si tratta di proteggersi, bensì di capire cosa dobbiamo fare di buono nella vita prima di morire. Nel Settimo sigillo Bergman racconta la storia di un cavaliere che, tornato dalla Terra Santa, si trova dinanzi ad un’epidemia di peste. Negli anni ’50 - il film è del 1957 - si poteva ancora dire pubblicamente che l’uomo era mortale!
La morte stessa gli si para dinanzi ed egli la sfida a scacchi: la morte potrà prendersi la sua vita solo quando gli avrà dato scacco matto.
Il cavaliere sa che non potrà battere la morte, ma guadagna tempo: ha deciso in cuor suo di compiere qualcosa di buono prima di morire.
Muovendo i pezzi, egli guadagna tempo, per trovare un senso alla propria vita. La vicinanza della morte gli ha rivelato che tutto della sua vita è stato inutile e, in fondo, sbagliato. Ma ora ha ancora qualche giorno, qualche ora, per rimediare e compiere qualcosa di buono, qualcosa per cui la sua vita non sia sprecata.
Dinanzi al coronavirus, pur assolutamente non letale come la peste, è questo la grande questione: non si tratta di proteggersi, o almeno non solo, quanto piuttosto di domandarsi perché valga la pena vivere e cosa dobbiamo fare prima di morire, perché la vita non sia stato solo un lusso inutile, uno spreco di tempo e di energie senza senso.
Nel cammino del cavaliere si affaccia la domanda su Dio, così come nel nostro procedere. Bergman realizzò un secondo film, che segue la stessa traiettoria del Settimo sigillo. Lo realizzò nello stesso anno ed è l’altrettanto magnifico Il posto delle fragole.
Si potrebbe dire che è lo stesso film ambientato in un contesto storico diverso: il primo nel medioevo e Il posto delle fragole in età contemporanea, perché la grande questione della vita è sempre la stessa.
Ne Il posto delle fragole un docente universitario si appresta a ricevere l’ultimo riconoscimento per la sua carriera accademica. Si accorge che, in realtà, quella laudatio decreta ormai la fine della sua vita, il suo pensionamento, la sua morte. Il suo percorso di vita è terminato e la morte bussa alle porte della sua età anziana. Recandosi a ricevere il premio, ritorna ai luoghi della sua infanzia e anch’egli, come il cavaliere, ha ormai un solo desiderio: redimere una vita insignificante, salvare almeno l’ultimo brandello di vita che gli rimane.
Ecco quali trasformazioni interiori può suscitare oggi il coronavirus. Non si tratta di proteggersi dal virus, ma di capire cosa vale la pena fare della vita. Perché non basta sopravvivere. Ed anzi, sopravvivere in eterno è impossibile: siamo mortali.