Gli arazzi di Raffaello tornano nella Cappella Sistina, di Marco Bussagli
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Riprendiamo da Avvenire del 7/2/2020 un articolo di Marco Bussagli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche, Raffaello e Arte e fede. Sulla Sistina, cfr. Guida alla visita della Cappella Sistina (Musei Vaticani), di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (23/2/2020)
Dopo quasi quarant’anni gli arazzi disegnati dal grande artista per papa Leone X tornano per una settimana nel luogo per cui il pontefice li aveva voluti. Raffaello, in questi giorni, inizia a far sentire la sua presenza in maniera sempre più insistente. In realtà, le iniziative hanno preso avvio già nel 2019, quando, proprio su queste pagine, abbiamo recensito la bella mostra (ancora in corso, fino al prossimo 17 marzo) dedicata a Giovanni Santi, il padre del grande artista. Ora, i Musei Vaticani vogliono (e possono) stupire tutti, come ha annunciato il direttore Barbara Jatta, esibendo dal 17 al 23 febbraio, una delle opere di Raffaello meno note al grande pubblico: gli arazzi realizzati per Leone X Medici. Non basta, però, perché non si tratta di una semplice esposizione. Gli arazzi saranno ricollocati nella Cappella Sistina, per la quale erano stati pensati. Si tratta di un evento raro che non avveniva dal 1983, quando il mondo celebrò il cinquecentenario della nascita del grande artista.
Quando papa Medici li fece appendere la prima volta, per coprire i finti velari ad affresco che appartengono alla prima decorazione della Cappella, quella voluta da Sisto IV Della Rovere che incaricò il Perugino di coordinare un manipolo di artisti stellari, da Botticelli a Luca Signorelli, passando per il Perugino stesso, non esisteva ancora il Giudizio Universale di Michelangelo che, però, aveva dipinto la volta. Allora, il desiderio di Leone X di lasciare la sua traccia nei Palazzi Pontifici lo spinse, forse già dal 1514, a commissionare i cartoni (oggi conservati al Victoria and Albert Museum di Londra) in modo da poter intervenire nella decorazione di uno dei luoghi che - già allora - era considerato il più prestigioso dei Palazzi Vaticani.
Realizzati, fra il 1515 e il 1519, gli arazzi furono tessuti nella bottega di Pieter van Aelst a Bruxelles e avrebbero pienamente assolto a questo compito. Per questo in occasione di cerimonie importanti, venivano appesi in Sistina, lungo le pareti dell’aula, dove avevano la funzione di completare il programma degli affreschi quattrocenteschi con gli episodi della vita di Mosè e di Cristo. Gli arazzi, infatti, focalizzavano l’attenzione sulle vicende di san Pietro e di san Paolo, cui si affiancava la scena del Martirio di santo Stefano, prima vittima del nuovo credo cristiano. Divennero una sorta di scuola pittorica del mondo (si pensi a Guido Reni e Carracci) e, come manufatti, furono copiati dalle principali corti europee mentre, nel XVII secolo, furono imitati da Rubens a Poussin e dalla stessa Santa Sede, quando papa Urbano VIII pensò bene di farne realizzare altri con gli episodi della propria vita.
Dalla Pesca miracolosa, fino al bellissimo San Paolo in carcere (che prefigura, per certi versi, le soluzioni della Sala dei Giganti di Giulio Romano al Palazzo Te di Mantova), passando per la Punizione di Elima (Atti degli Apostoli 13) uno stregone che si era opposto alla predicazione di san Paolo, fino alla Predica di san Paolo, tanto per ricordare quelli dal maggior impatto visivo, gli arazzi sono una successione di capolavori di stoffa.
Si tratta di opere che hanno anche un profondo significato religioso e politico, come mostra, quello dedicato all’episodio evangelico della Guarigione dello storpio (Atti degli Apostoli, III, 1 ss.). Ogni giorno, a Gerusalemme, un uomo, storpio fin dalla nascita, chiedeva l’elemosina vicino al Tempio. Quando vide Pietro e Giovanni che si erano recati nella città, non mancò di chiederla anche a loro. Pietro, allora, gli rispose di non avere con sé oro né argento, ma di potergli donare solo la fede in Cristo e aggiunse: «...nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». Raffaello ambienta la scena fra le colonne tortili del Tempio di Salomone che si riteneva fossero state portate a Roma dopo la distruzione operata dall’imperatore Tito. Esse, poi, avrebbero sorretto la pergola marmorea del San Pietro costantiniano. Non è un caso, però, che sia Pietro l’unico ad ergersi ritto in piedi a mo’ di colonna fra quelle del Tempio di Salomone. Infatti, è lui, la colonna del Tempio nuovo, quello fondato da Cristo. Ai lati (fra le quinte-navate laterali), si accalca la folla dei curiosi e dei fedeli. È il popolo della nuova Chiesa.