Anne-Isabelle Tollet e i retroscena del libro con Asia Bibi. Un’intervista di Agnès Pinard Legry
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Riprendiamo dal sito Aleteia la traduzione a cura di Giovanni Marcotullio di un’intervista a Anne-Isabelle Tollet apparasa su quel sito il 31/1/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione La libertà religiosa e la persecuzione delle minoranze.
Il Centro culturale Gli scritti (2/2/2020)
Non era che qualche riga in un giornale pakistano anglofono, ma non è servito di più per cambiare il corso della sua storia. Siamo nel novembre 2010: Asia Bibi, giovane madre di famiglia cristiana pakistana, è stata appena condannata a morte per blasfemia. Subito Papa Benedetto XVI esprime la propria «solidarietà spirituale» con Asia Bibi ed auspica che siano rispettati i suoi diritti fondamentali. La sentenza, nonché la rapida reazione dell’allora Pontefice, creano una piccola onda di choc nella comunità di giornalisti e corrispondenti presenti nel Paese, tra cui la francese Anne-Isabelle Tollet.
«Mi ricordo perfettamente di quel momento», ci racconta:
Proprio dopo il mio servizio televisivo il ministro pakistano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, è venuto a trovarmi e mi ha detto: «Ho visto che hai parlato di Asia Bibi, e la cosa cade a fagiolo perché vorrei che se ne parlasse più seriamente: se non si attiva una grande mobilitazione internazionale, Asia Bibi morirà».
Per quasi dieci anni, Anne-Isabelle Tollet sarebbe diventata la portavoce di Asia Bibi, battendosi incessantemente per la sua liberazione. Il 31 ottobre 2018, Asia Bibi è stata rilasciata e nella notte del 7 novembre è stata fatta evadere dal carcere.
Minacciata di morte con la famiglia, ha lasciato il Pakistan con la sua famiglia sei mesi più tardi e si è trasferita in Canada. È in un luogo tenuto segreto che Anne-Isabelle Tollet le ha fatto visita e l’ha incontrata, dopo tanti anni, per la prima volta: «Conoscevo bene suo marito, Ashiq, i suoi figli, ma lei non avevo mai potuto incontrarla in prigione, me l’hanno sempre proibito».
Vedendo quella donnina tutta d’un pezzo, frizzante e pugnace, sono stata molto commossa. È una grande lezione di coraggio che ci ha dato: è battagliera, direi anzi una combattente.
Nonché una persona libera, finalmente. Nel corso del loro incontro, le due donne hanno deciso di unire le loro voci una volta di più. In un libro intitolato Enfin, libre !, pubblicato mercoledì 29 gennaio per le edizioni Rocher, Anne-Isabelle Tollet ha raccolto in esclusiva la sua testimonianza. E a noi ha raccontato qualcosa del retroscena.
Agnès Pinard Legry: Perché si è interessata alla storia di Asia Bibi?
Anne-Isabelle Tollet: Nella scia mediatica della sua condanna, nel novembre 2010, Papa Benedetto XVI si è espresso in suo favore parlando pubblicamente in Piazza San Pietro. Da allora, come tutti i corrispondenti sul posto, ho coperto quell’attualità. Proprio dopo il mio servizio in collegamento, però, il ministro alle Minoranze, Shahbaz Bhatti, è venuto a trovarmi e mi ha detto: Ho visto che hai parlato di Asia Bibi, e la cosa cade a fagiolo perché vorrei che se ne parlasse più seriamente: se non si attiva una grande mobilitazione internazionale, Asia Bibi morirà». Mi ha presentata alla famiglia di Asia Bibi, che stava contribuendo a nascondere. Ne è allora seguito un lavoro d’inchiesta: mi sono recata nel suo villaggio, ho incontrato le sue accusatrici, il mullah… e ho capito che si trattava di una cospirazione e nient’affatto di una bestemmia. E lì ho realizzato un primo reportage mandato in onda nel tg delle 20 su France 2. Sono stata toccata però dalla famiglia di Asia Bibi, che era totalmente inerme. In quel momento ho preso coscienza che la legge anti-blasfemia poteva essere un’arma tremenda, e che ogni cittadino pakistano – quale che fosse la sua convinzione religiosa – viveva nel terrore di quella legge che poteva, sulla base di una semplice accusa, portarlo al patibolo.
A.P. L.: Com’è stato il suo incontro con Ashiq, il marito di Asia Bibi, e coi suoi figli?
A.-I. T.: Ho incontrato Ashiq a casa del ministro alle Minoranze. Mi ha chiesto di andare, un giorno, e mi ha presentato la famiglia di Asia Bibi. Erano totalmente inermi e ho subito capito che se non avessimo parlato della loro storia essa sarebbe terminata come spesso finiscono le tante simili: le famiglie vengono abbandonate a loro stesse o assassinate. Quanto ad Asia Bibi, ha rischiato in ogni momento di morire in prigione. Sono stata indignata da quest’ingiustizia e toccata dalla loro vulnerabilità.
Ben STANSALL I AFP Ashiq et Eisham Ashiq, le mari et la fille d'Asia Bibi.
A.P. L.: Anche se lei non ha mai potuto incontrare Asia Bibi, per tutto il tempo della sua prigionia, si è battuta per lei, per far conoscere la sua storia…
A.-I. T.: Ho cercato di andare a trovarla parecchie volte, ma mi è stato sempre impedito. Mi sarebbe piaciuto poterla incontrare, ma questo non avrebbe cambiato nulla nella partita di fondo: la messinscena dei fanatici e del fondamentalismo religioso sulla giustizia pakistana era contraria al diritto del Paese. Non si trattava di fare ingerenze nella Repubblica Islamica del Pakistan. Asia Bibi era diventata un simbolo: è nel nome di tutte le vittime che vivevano nel terrore della legge anti-blasfemia, mantenuta da fanatici religiosi, che ho condotto questa battaglia. Il caso di Asia Bibi è diventato tanto più emblematico in Pakistan in quanto un governatore musulmano, Salman Taseer, è stato assassinato il 4 gennaio 2011 per aver preso le sue difese, e anche il ministro alle Minoranze, Shahbaz Bhatti è stato assassinato il 2 marzo dello stesso anno per le medesime ragioni.
A.P. L.: Quali sono state le grandi tappe di questi nove anni di lotta per la sua libertà?
A.-I. T.: Nove anni sono tanti… Io che sono una giornalista so fino a che punto un’attualità ne scacci un’altra, da quanto non si debba permettere che una narrazione giunga a una fase di stanchezza. È stata una battaglia lunga con pochissimi colpi di scena: una storia complessa e che non si vendeva bene, mediaticamente parlando. Conoscendo il mondo dei media, sapevo in che momento la storia avrebbe avuto presa, da quale angolazione, che taglio utilizzare… Sapevo cosa fare perché un’eco risuonasse. Sono stati scritti articoli per far conoscere la sua storia, due libri e regolari appelli da parte della comunità internazionale perché Asia Bibi non sprofondasse nell’oblio e potesse essere protetta, in prigione, dall’eventualità di un assassinio. Ho anche scritto con Ashiq, il marito di Asia Bibi, una lettera per ringraziare Anne Hidalgo di aver dato ad Asia Bibi la cittadinanza onoraria di Parigi. Una lettera largamente rilanciata dai media internazionali: ha fatto il giro del mondo e ha riportato Asia Bibi in luce. Quando impazzava l’ice bucket challenge avevo lanciato sui social la challenge “un bicchiere d’acqua per Asia Bibi”. Di fatto, è stata questa catena umana che ha permesso di tenere la storia nei media.
A.P. L.: Il 16 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Lahore conferma la condanna a morte di Asia Bibi, che inoltra un’ultima istanza di ricorso alla Corte Suprema del Pakistan…
A.-I. T.: Dopo il suo secondo giudizio davanti alla Corte d’Appello di Lahore, Asia rischiava di essere impiccata nei 15 giorni successivi. In quel momento c’è stata sul Pakistan una pressione da parte dei media e della comunità internazionale. Nel 2016 il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione volta a sanzionare finanziariamente il Pakistan se non avesse rispettato i diritti dell’Uomo. La cosa è passata anche dalla mediatizzazione di eventi come il fatto che diversi sindaci abbiano conferito ad Asia Bibi la loro cittadinanza onoraria. Ognuno degli ultimi tre presidenti della Repubblica francese – Nicolas Sarkozy, François Hollande ed Emmanuel Macron – ha alzato la cornetta per chiamare l’omologo pakistano e per dirgli che la storia di Asia Bibi li impensieriva. Ciò ha evidentemente esercitato una pressione sul Pakistan, che è stato tenuto d’occhio dalla comunità internazionale e che non poteva calpestare apertamente i diritti dell’Uomo.
A.P. L.: Qual è stato il ruolo di Papa Francesco?
A.-I. T.: Dopo la sua seconda condanna, ho letto in giro sulla stampa molti appelli a che Papa Francesco si esprimesse in suo favore. In quel momento mi sono detta: «Mio Dio, se Papa Francesco dice una qualsiasi cosa su Asia Bibi siamo fritti». Mi sono presa la libertà di scrivergli per spiegargli che sarebbe stato controproducente perché in Pakistan ciò sarebbe stato percepito come un’ingerenza della Chiesa cattolica in una repubblica islamica e che dunque sarebbe stato meglio, per Asia Bibi e per tutti i cristiani in Pakistan, che il Papa non si esprimesse pubblicamente. Il messaggio è stato compreso alla perfezione, recepito benissimo, e il Papa mi ha detto che si trattava di un argomento delicato nel quale gli correva l’obbligo di fare diplomazia anche come capo religioso, e che nel caso di specie ciò era perfettamente giustificato.
A.P. L.: Inizialmente previsto per il 13 ottobre 2016, il processo in appello è stato ulteriormente rimandato per via delle forti pressioni esercitate da fanatici religiosi. Arriva finalmente il momento del rilascio, il 31 ottobre 2018, dell’evasione dalla prigione e della partenza per il Canada sei mesi più tardi. Che cosa ha provato?
A.-I. T.: Una grande felicità e il sentimento di aver compiuto un dovere. Asia Bibi liberata ha potuto ricongiungersi al marito, ai suoi figli che erano stati privati della madre per dieci anni. Sono stata felice di poter mostrare ai miei figli, cresciuti con la storia di Asia Bibi, che a forza di tenacia anche se sembra impossibile si possono spostare montagne, si possono conseguire obiettivi.
A.P. L.: E poi ha potuto incontrarla, per la prima volta, in Canada. Che effetto le ha fatto?
A.-I. T.: Dopo dieci anni uno finisce per chiedersi se esista veramente! Ero commossa e intimidita: ho visto per la prima volta la persona di cui ero diventata portavoce. Ma che gioia vedere quella donnina, viva e vivace! Sono stata ancora più felice nel constatare fino a che punto fosse una donna battagliera: non è affatto usurata da questi dieci anni di prigione, non è ripiegata su sé stessa. È una donna battagliera, una combattente.
A.P. L.: Com’è Asia Bibi?
A.-I. T.: Ha una forma di autorità naturale. A casa è lei il capo: ci si siede a tavola quando lei decide che ci si siede a tavola. È pure un sacco spiritosa: senza parlare la medesima lingua, abbiamo riso molto di situazioncine di cui alcuni sorriderebbero, ma sulle quali lei ha riso a crepapelle. È vivace e intelligente. Ha guadagnato un’opportuna distanza riguardo a questi anni ed è capace di vedere chi l’ha veramente aiutata e chi s’è servito di lei per fare speculazione politica. È molto lucida. Asia Bibi è triste di aver lasciato il Pakistan ma vuole continuare ad essere portavoce di tutte le persone ingiustamente accusate di blasfemia, specialmente dei cristiani. E c’è dell’altro: poco dopo la sua uscita di prigione è stata un’altra cristiana – Kausar Shafufta, una mamma di quattro figli dai 5 ai 13 anni – che ha preso il suo posto in quella cella. È stata condannata a morte per blasfemia. Secondo l’imam di una moschea locale, avrebbe inviato dei messaggi insultanti, in inglese, rivolti al Profeta. Fatto tanto meno immaginabile in quanto entrambi sono analfabeti… Sì, c’è ancora tanto lavoro da fare!