1/ Il processo a Riad. Cinque condanne a morte per l’omicidio Khashoggi. Tra i condannati per il brutale assassinio del giornalista all’interno del consolato saudita di Istanbul non ci sono né Saud al-Qahtani, stretto consigliere del principe Mohammed bin Salman né il console 2/ Omicidio Khashoggi, diffuso l’audio delle ultime parole del giornalista: «Non copritemi la bocca: soffoco». Il quotidiano turco «Daily Sabah» ha trascritto i dialoghi all’interno del consolato saudita poco prima dell’assassinio del giornalista dissidente. L’ipotesi che l’omicidio sia stato commissionato dal principe bin Salman 3/ La fidanzata di Khashoggi «L’Italia smetta di tacere e chieda la verità», di Viviana Mazza
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N.B. de Gli scritti
Continuiamo a sottolineare come sia schizofrenico il comportamento degli intellettuali e dei giornalisti di fronte ad uno degli attacchi più gravi avvenuti contro la libertà di stampa, dal momento che un giornalista del Washington Post di nazionalità saudita è stato ucciso dentro il consolato saudita e, per di più, con il successivo squartamento del suo corpo al fine di occultare il suo cadavere.
Le reazioni del mondo della comunicazione sono state debolissime e le proteste contro l’Arabia Saudita che ha processato i presunti omicidi senza permettere alla stampa di essere presente al dibattito processuale, senza dare conto nemmeno dei nomi dei condannati e, soprattutto, salvando i responsabili della politica saudita che non potevano essere estranei, dato che l’omicidio e il sezionamento successivo del cadavere è avvenuto negli stessi locali del Consolato, notoriamente sotto il totale controllo del paese che rappresenta.
Anche il comportamento della stampa turca risulta essere assolutamente ambiguo, data la copertura che ha fornito ad un fatto di gravità eccezionale, avvenuto in un consolato presente sul proprio territorio.
1/ Il processo a Riad. Cinque condanne a morte per l’omicidio Khashoggi. Tra i condannati per il brutale assassinio del giornalista all’interno del consolato saudita di Istanbul non ci sono né Saud al-Qahtani, stretto consigliere del principe Mohammed bin Salman né il console
Riprendiamo da Il Sole 24 Ore del 23/12/2019 un articolo redazionale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Islam: la questione della libertà e dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2019)
Il giornalista Khashoggi, poi barbaramente trucidato,
con la fidanzata. Si era recato in Consolato saudita
per i documenti per il matrimonio
Cinque persone sono state condannate a morte da un tribunale dell’Arabia Saudita e altre tre alla reclusione per un totale di 24 anni come colpevoli dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, brutalmente assassinato all’interno del consolato saudita a Istanbul il 2 ottobre 2018. Lo ha annunciato il procuratore capo di Riad. I nomi dei condannati non si conoscono. Si sa però che Saud al-Qahtani, stretto consigliere ed ex responsabile per la comunicazione sui social media del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman non è stato accusato ed è stato rilasciato. L’omicidio, secondo la corte saudita, non è stato premeditato.
Assolti i personaggi più in vista
Oltre che l’ex consigliere del principe, non è colpevole nemmeno il console generale saudita Mohammed al-Otaibi, nonostante l’omicidio sia avvenuto all’interno del suo ufficio di rappresentanza diplomatica mentre egli si trovava al suo interno. Quest’ultimo sospettato così come altri nove - di cui non è stato reso noto il nome - sono stati rilasciati dal carcere dove erano detenuti in attesa del giudizio. Inoltre la corte, dopo nove udienze a porte chiuse (ha assistito solo un gruppo ristretto di diplomatici) ha concluso che l’omicidio non era premeditato.
Il giornalista, da tempo critico con la casa regnante saudita, il 2 ottobre 2018 era entrato nel consolato suadita di Istanbul per ottenere documenti necessari a sposare Hatice Cengiz, la sua fidanzata turca, e ne era uscito morto, con il corpo fatto a pezzi per essere nascosto in borsoni e portato via dalla sede diplomatica saudita.
Secondo le indagini condotte dagli esperti dell’Onu c’erano «prove credibili» di responsabilità individuali del principe e del suo consigliere. Secondo il rapporto speciale delle Nazioni Unite agenti sauditi furono registrati mentre parlavano di come fare a pezzi il corpo molti minuti prima che Khashoggi entrasse nel consolato. Ma l’omicidio, ha stabilito il tribunale di Riad, non è premeditato. Secondo le autorità turche delle cinque persone sospettate quattro erano collegate al principe ereditario bin Salman. Una di esse era un frequente accompagnatore del principe, visto con lui a Parigi e Madrid e fotografato con Mohammed durante le visite negli Stati Uniti. Altri tre sospettati erano invece collegati alla scorta che si occupa della sicurezza del principe.
Khashoggi è stato torturato e fatto a pezzi dentro il consolato saudita a Istanbul […]. A rivelare i drammatici dettagli era stato il quotidiano filo-governativo turco Yeni Safak, che citava una registrazione audio di quei momenti da cui risultava anche la presenza del console Mohammed al-Otaibi poi tornato in Arabia Saudita. E adesso assolto.
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2/ Omicidio Khashoggi, diffuso l’audio delle ultime parole del giornalista: «Non copritemi la bocca: soffoco». Il quotidiano turco «Daily Sabah» ha trascritto i dialoghi all’interno del consolato saudita poco prima dell’assassinio del giornalista dissidente. L’ipotesi che l’omicidio sia stato commissionato dal principe bin Salman
Riprendiamo da Il Corriere della Sera dell’11/9/2019 (modificato il 23/12/2019) un articolo redazionale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Islam: la questione della libertà e dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2019)
«Non copritemi la bocca. Così mi soffocherete». Sarebbero state queste le ultime parole del giornalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato di Riad a Istanbul il 2 ottobre del 2018. A rivelarlo il giornale turco Daily Sabah che ha trascritto le registrazioni ottenute dei servizi di intelligence di Ankara, e finite nelle mani delle autorità turche, poco dopo l’omicidio della voce scomoda per il regime saudita.
Trascrizioni integrali, parzialmente diffuse nei mesi scorsi, che rafforzano ulteriormente la tesi che a premeditare l’esecuzione del giornalista sia stato proprio il principe coronato saudita Mohammed bin Salman, ma che conferma anche molti dettagli sulla morte dell’uomo, già contenuti in un rapporto dell’Onu divulgato lo scorso giugno. Fatto a pezzi prima di essere trasportato fuori dal consolato, il corpo di Khashoggi non è mai stato ritrovato.
«So come smembrare un corpo»: la trascrizione
Quel 2 ottobre al consolato, dove Khashoggi si era recato per ritirare dei documenti necessari per il matrimonio con la fidanzata turca, era presente anche il responsabile di Medicina legale del Dipartimento di sicurezza generale saudita, il dr. Salah Muhammad Al- Tubaigy. La prima registrazione che lascia intuire come l’assassinio del giornalista fosse già definito è quella che vede protagonista il medico con Maher Abdulaziz Mutreb, ufficiale dell’ambasciata saudita, e uno degli uomini di quella che è stata ribattezzata la «squadra della morte».
«È possibile mettere il corpo in una borsa?», chiede Mutreb al medico prima dell’arrivo al consolato di Khashoggi. Sono le 13:02, dodici minuti prima dell’arrivo del giornalista.
«No. È troppo pesante, è molto alto», risponde Al-Tubaigy riferendosi alla corporatura del giornalista.
Segue una spiegazione raccapricciante su come far sparire il corpo del dissidente, dettagli che fanno intuire l’efferatezza degli esecutori di Khashoggi: «So come smembrare (un corpo, ndr) molto bene. Non ho mai lavorato su un corpo caldo, ma so come gestire la situazione facilmente. Di solito mi metto le cuffie nelle orecchie e ascolto musica quando seziono i cadaveri. Nel frattempo, bevo un caffè e fumo una sigaretta. Dopo averlo smembrato, dovrete impacchettare le parti in alcuni sacchetti di plastica e portarlo fuori dall’edificio con delle valigie».
Khashoggi era «l’animale da sacrificare»
Stando sempre alle trascrizioni degli audio, Al-Tubaigy riferisce a Mutreb di non aver informato il suo superiore. «Non c’è nessuno che mi protegge», spiega, probabilmente nel tentativo di garantirsi la tutela del regime. Al termine della conversazione, Mutreb chiede informazioni sui movimenti di Khashoggi, riferendosi a lui come «l’animale da sacrificare». Alle 13:14 il giornalista arriva al consolato. Viene accolto da una persona di sua conoscenza che lo invita a seguirlo nell’ufficio al secondo piano per incontrare nel suo ufficio il Console Generale Mohammad al-Otaibi. Un invito che accende i sospetti di Khashoggi, tanto che i suoi aguzzini sono costretti a trascinarlo nell’ufficio invitandolo a sedersi.
Gli ultimi istanti: «Ho l’asma, mi farete soffocare»
È qui che il giornalista critico contro il regime saudita ha chiara la sua fine. Lo intuisce vedendo un asciugamano che, più tardi, verrà usato per addormentarlo. «Volete drogarmi?», chiede. L’ordine di cattura dell’Interpol citato da Mutreb è solo una scusa per calmare Khashoggi, ben consapevole di non avere «nessuna causa contro di me» e quindi di non essere obbligato a tornare in Arabia Saudita. Viene anche invitato a inviare un messaggio al figlio per rassicurarlo, cosa che si rifiuta di fare: «Devi scrivere qualcosa come “Sono a Istanbul. Non preoccuparti se non riesci a contattarmi”». Un altro soggetto dello “squadrone” invita Mutreb a «tagliare a corto». Da qui la situazione precipita. Gli esecutori passano all’azione, mettendo l’asciugamano sul viso di Khashoggi. «Non tappatemi la bocca. Ho l’asma. Non fatelo, mi farete soffocare», sono le ultime parole del giornalista.
Smembrato in 30 minuti
«Dorme? Ha alzato la testa. Continua a spingere», l’invito all’aguzzino incaricato di drogare il giornalista. Da qui in poi, riporta l’articolo del Daily Sabah, solo i rumori della colluttazione e della sofferenza del dissidente che lotta fino alla fine. Pochi minuti dopo, alle 13:39, inizia lo smembramento del corpo da fare sparire, operazione che dura circa mezz’ora.
Le ammissioni del regime
Il principe Mohammed bin Salman ha sempre negato ogni coinvolgimento nell’uccisione di Khashoggi. Riad ha prima offerto spiegazioni confuse sulla scomparsa del giornalista, parlando di una morte in seguito a una «colluttazione». Poi ha ammesso che è stato assassinato ma da servizi deviati. Per l’omicidio, il regime ha rinviato a giudizio 11 persone.
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3/ La fidanzata di Khashoggi «L’Italia smetta di tacere e chieda la verità», di Viviana Mazza
Riprendiamo da Il Corriere della Sera del 15/12/2019 (modificato il 23/12/2019) un articolo di Viviana Mazza. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Islam: la questione della libertà e dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2019)
«Tra i Paesi europei che ho visitato l’Italia non ha mostrato grande appoggio per la mia causa. Perché questo silenzio? Non mi aspetto che boicottiate l’Arabia Saudita, è naturale che i leader mondiali proteggano i loro interessi economici, ma devono dire qualcosa sull’assassinio di Jamal Khashoggi. Se il prossimo novembre andranno al G20 a Riad e non sollevano la questione, legittimeranno le azioni del Regno». È domenica e in piazza del Pantheon qualcuno sta suonando vecchie canzoni d’amore mentre andiamo incontro a Hatice Cengiz, la fidanzata di Jamal Khashoggi, giunta a Roma su invito di «Non c’è pace senza giustizia». Nei mesi scorsi la Ong fondata da Emma Bonino l’ha aiutata a portare la sua testimonianza all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e al Parlamento europeo. Domani, al Senato, questa trentasettenne ricercatrice turca di studi islamici parlerà dell’uomo che amava, Jamal Khashoggi, il giornalista saudita del Washington Post che il 2 ottobre 2018 entrò al consolato di Istanbul per ottenere un documento per sposarla e non ne uscì vivo.
S’erano conosciuti a una conferenza a Istanbul nel maggio 2018 — lei sorride per un attimo al ricordo, prima di tornare seria e rigida —. Lo aveva notato in tv nel 2010 («Parlava delle Primavere Arabe come un’opportunità per la democrazia») e si era registrata su Twitter apposta per seguirlo. Alla conferenza lo intervistò ma era così nervosa che non gli chiese nemmeno il biglietto da visita.
Fu lui a ricontattarla, cominciarono a frequentarsi, tre mesi dopo Jamal chiese la sua mano. Quel 2 ottobre Cengiz aspettò per tre ore davanti al consolato con il cellulare del fidanzato in mano, mentre all’interno lui veniva soffocato e fatto a pezzi. Il cadavere non è mai stato ritrovato. Da aprile lei si è lasciata alle spalle Istanbul (e anche la scorta che la seguiva ovunque) per trasferirsi a Londra: vuole imparare l’inglese «per parlare al mondo», anche se con noi usa un interprete turco. Forse è una battaglia senza speranza, ma non può fare altrimenti. «Come fanno — chiede — i genitori di Giulio Regeni?».
Riad ha incolpato i servizi segreti «deviati» e incriminato 11 persone; 5 potrebbero essere giustiziate, ma tra gli imputati non c’era per esempio il capo della propaganda Saud Al Qahtani, che minacciò Khashoggi. Il ministro degli Esteri Al Jubeir in un’intervista ci ha detto che l’omicidio è stato un «tragico errore» ma è «ridicolo» accusare il principe ereditario Mohammed bin Salman di averlo ordinato. «Come posso credere a quello che dicono? Due giorni dopo l’omicidio hanno fatto entrare i giornalisti al consolato per mostrare che Jamal non c’era, dicevano di non sapere nulla. Poi questo processo farsa: non dico che gli 11 imputati siano innocenti, ma è impossibile che i più alti funzionari fossero all’oscuro di tutto, anche se non so se sia coinvolto lo stesso principe».
Un rapporto presentato a giugno da Agnès Callamard, relatrice speciale per le esecuzioni extragiudiziali dell’Onu, non dice chi abbia ordinato l’omicidio ma raccomanda di indagare ai vertici, incluso il principe Mohammad bin Salman. «Sono d’accordo. Sappiamo che questo assassinio è stato pianificato e che c’è dietro lo Stato, è necessaria una vera inchiesta».
Khashoggi credeva nelle riforme ma non voleva rovesciare la monarchia, a un certo punto cercò fondi sauditi per creare un think tank a Washington. Ma prese contatti anche con una fondazione finanziata dal Qatar e, in passato, con la Fratellanza Musulmana. È stato questo a metterlo nei guai?
«Quand’era trentenne aveva avuto un punto di vista islamico e legami con i Fratelli Musulmani, ma è una cosa naturale per un ricercatore nato in quel Paese: Jamal aveva molti contatti in quanto giornalista ma chiunque abbia letto i suoi articoli sa che era politicamente indipendente da tutti questi gruppi e aveva una mentalità aperta. Amava il suo Paese e professava la sua fedeltà al re e al principe ereditario anche quando ne criticava scelte che considerava sbagliate. Non devo dirvelo io che era un patriota, lo diceva lui stesso».
È vero che Khashoggi aveva paura di essere imprigionato, ma non ucciso?
«Né lui né io avremmo mai immaginato una cosa del genere. Nei primi giorni ero convinta che con la pressione dei manifestanti e dei giornalisti sarebbe stato rilasciato dal consolato. La prima volta che ho avuto pensieri cupi è stato quando i notiziari turchi hanno svelato che una squadra di sauditi era arrivata a Istanbul e subito ripartita con jet privati. Il 19 ottobre 2018, quando il Regno ha annunciato che Jamal era stato ucciso, sono entrata in uno stato di choc. Ma se non parlo io non lo farà nessuno. Jamal aveva una moglie e dei figli prima di me, ma è stato ucciso dal loro Stato, non possono dire niente. Non dormirò la notte se non faccio la mia parte».
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