Gaia, Camilla e Pietro, i nostri figli che non fanno quello che "sanno", di Alberto Pellai
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Riprendiamo dal sito della rivista Famiglia cristiana un articolo di Alberto Pellai, pubblicato il 23/12/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Adolescenti ed Educazione.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2019)
L’incidente di sabato notte che ha travolto Gaia e Camilla, le due sedicenni romane, rimaste uccise su Corso Francia a Roma, fa entrare noi genitori in uno stato di angoscia che non ha confini. Ogni volta che vediamo figli di altri genitori, ai quali il destino riserva una morte così atroce e assurda, non possiamo non sentirci chiamati in causa ed empatizzare immediatamente con il loro dolore infinito. Se non conosci quello strazio che ti uccide il cuore, quando muore un figlio, puoi solo immaginare quanto tremendo possa essere. Chi lo vive, dice che si fa persino fatica a trovare la forza di continuare a respirare.
Ci sentiamo sconvolti perché sappiamo che potrebbe capitare ai nostri figli, in ogni istante. È questo il primo pensiero che ci viene in mente. E allora leggiamo senza soluzione di continuità, le notizie che i media ci forniscono per capire se davvero è tutta colpa del destino, oppure se c’è qualche elemento cui possiamo aggrapparci per dire ai nostri figli: “Fate attenzione”, per fornire loro competenze che gli evitino (e ci evitino) l’eventualità più tremenda che la vita può far accadere ad una famiglia: perdere un figlio.
La vicenda di sabato notte a Roma è piena di elementi prevenibili, su cui però tutti i protagonisti sono andati via “scialli” (come dicono loro). Le ragazze sono state travolte, perché (sembra, in base a quanto riportato dai media) hanno attraversato col semaforo rosso, in una notte buia e piena di pioggia su una strada caratterizzata dall’alta velocità delle auto che la percorrono. Il ragazzo che le ha travolte […] (sembra, sempre in base a quanto riportato dai media) si trovava al volante dopo aver consumato bevande alcoliche e sostanze ad azione psicotropa.
La responsabilità del guidatore perciò sembra accertata e gravissima. La leggerezza con cui le due giovani vittime hanno affrontato un attraversamento stradale sembra essere un co-fattore di non trascurabile importanza che ha contribuito a questa immane tragedia. È chiaro che se adesso i protagonisti potessero tornare indietro nel tempo, ognuno di loro rivivrebbe gli eventi del proprio sabato sera in modo completamente differente. Ma il destino quasi mai offre una seconda opportunità. Almeno non in questo caso.
Sono più che certo che i genitori dei tre giovanissimi coinvolti abbiano provato nel corso della loro crescita a seminare nei figli tutte quelle informazioni preventive che sabato sera loro hanno sistematicamente disatteso. Da quando un bambino ha 3 anni gli insegniamo a non attraversare col rosso, a fare attenzione quando si muove su una strada affollata. Non c’è mamma o papà che non lo faccia. E quando poi i nostri figli diventano maggiorenni, nessun adulto mette nelle loro mani le chiavi di un’auto, senza aver prima fatto un milione di raccomandazioni.
Purtroppo i nostri figli non fanno quello che “sanno”. Il fatto che noi adulti gli diciamo le cose giuste, non è garanzia che loro poi le mettano in atto. Penso che la vera rivoluzione possa avvenire solo se, all’interno del loro gruppo dei pari, ci sono altri amici e amiche che sanno rinforzare il messaggio preventivo promosso in famiglia. Che sanno diventare veri e propri “educatori tra pari”, amplificando il ruolo educativo di noi adulti, che senza tregua e, a volte, con ansia e preoccupazione, continuiamo a fargli ascoltare dalle nostra voce tutto quello che vorremmo fossero in grado di mettere in atto, quando si muovono nel mondo.
Per essere educatori tra pari, bisogna credere che la prevenzione è un valore, che la vita è un valore, che la leggerezza di un istante non è tollerabile, nemmeno, appunto, per un solo istante. Bisogna rimanere concentrati su se stessi e sugli altri, bisogna saper alzare lo sguardo su tutto ciò che ci circonda, bisogna avere “vagonate” di quelle che Howard Gardner, definisce “intelligenza intrapersonale” (conosci te stesso) e “intelligenza interpersonale” (conosci gli altri), i due ingredienti cruciali per il successo delle nostre vite.
Purtroppo i ragazzi sono “fisiologicamente fragili” rispetto a tutte queste dimensioni. Ma sono anche “culturalmente fragili” rispetto a ciò, perché non sposano i principi della prevenzione, non alzano lo sguardo e sono spesso incitati a sposare fin da giovanissimi la cultura del “chissenefrega”. La sentono decantata in ogni dove. Ma quella sorta di menefreghismo e nichilismo in cui vivono immersi è ciò che poi all’improvviso, genera risvegli terribili. Come quello che abbiamo vissuto tutti, domenica mattina, quando i media hanno cominciato a parlarci di Camilla, Gaia e Pietro. Io metto i loro tre nomi, uno a fianco dell’altro. Anche se Pietro è vivo, sono più che certo che i suoi genitori soffrono dello stesso dolore di quelli di Camilla e Gaia. Mi unisco - e penso di interpretare lo spirito di tutte le mamme e i papà che leggono – anzi, ci uniamo al loro fianco. E dentro a quel dolore che sembra non avere confine, piangiamo con loro.
Speriamo che i nostri figli, guardando le nostre lacrime, comprendano che, quando gli diciamo cosa è bene fare e perché, non lo facciamo perché siamo spinti dal desiderio di essere rompiscatole. E speriamo che imparino anche loro ad essere un po' più “rompiscatole” con se stessi e con i loro amici, ogni volta che, nella leggerezza, assumono un rischio – grande o piccolo che sia – che può valere una vita.