Nulla di incompleto. Accompagnare la vocazione al maschile e al femminile, di Fulvia Maria Sieni e Michele Gianola

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /01 /2020 - 17:37 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dalla rivista Vocazioni (numero 05 del settembre/ottobre 2019) un articolo di Fulvia Maria Sieni e Michele Gianola. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Maestri nello Spirito.

Il Centro culturale Gli scritti (19/1/2020)

«Tutte le cose sono a due a due,
una di fronte all’altra,
egli non ha fatto
nulla di incompleto»   (Sir 42,24)

La narrazione biblica offre una molteplicità di racconti di vocazione e su questi si fondano – giustamente – le iniziative che propone la pastorale vocazionale accompagnando i giovani e le giovani a incontrare personaggi come Abramo, Mosè, Elia, i profeti, gli apostoli, Paolo: uomini, convocati – in modo esplicito e spesso dettagliato – a partecipare e coinvolgersi nella storia della salvezza; comunque uomini, maschi

Ma la storia della salvezza raccontata nelle pagine bibliche è costellata anche dalla presenza di donne che vi prendono parte in modo molto, molto concreto; intervengono in situazioni difficili, a volte estreme, cambiando le sorti del popolo e rendendolo capace di compiere la volontà di Dio. Questo non può essere un dato trascurabile. E sfogliando le pagine della Scrittura ci si accorge di quanto la relazione che Dio intesse con queste donne sia differente da quella intrecciata con gli uomini: non si può non notare che nessuna donna della Scrittura è ‘chiamata da Dio’ nel modo esplicito con cui conosciamo le chiamate al maschile. Neanche questo si può trascurare. Le donne della Bibbia appartengono al ‘popolo di Dio’ – che non è soltanto il popolo di Israele – ne condividono la fede e le speranze ma nessuna di loro ode la voce di Dio darle istruzioni sul da farsi; eppure queste donne sono e vivono una vocazione.

Si potrebbe dire che, semplicemente vivendo, le donne intuiscono che cosa fare, e lo fanno. Comprendono la loro vocazione dal di dentro, dalle viscere della storia, la abbracciano con convinzione in modo talmente radicale da mettere sovente a rischio la loro stessa vita. E Dio le benedice.

Il dato biblico ci rivela una profonda verità sull’uomo: Dio sembra relazionarsi in modo diverso con le sue creature, maschi e femmine. Esiste, così, una maniera differente – maschile e femminile – di comprendere la propria vocazione. «La sessualità [infatti] riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale» (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 11).

Incontriamo Sifra e Pua (Es 1,15) le levatrici che – pioniere nell’obiezione di coscienza – salvano dalla condanna a morte decretata da Faraone i bambini ebrei e con loro la vita di tutto il popolo. Chi le ha chiamate a tale compito? Donne vive a contatto con la vita nascente; un appello interiore, ancestrale, profondo che le convoca per salvare e difendere la vita. E la vita è Dio: non ne hanno dubbi, e agiscono.

Giuditta la giudea, la credente, dentro una storia complicata dove il male avanza e tutto annuncia che non c’è scampo per Israele, decide di «compiere un’impresa» (Gdt 8,32): legge i segni dei tempi e comprende qual è la sua missione[1]; e diventa madre di un intero popolo.

Così sarà di Debora (Gdc 5,7) e Giaele (Gdc 4,21) e di Ester: il libro che porta il suo nome ci racconta la sua vocazione dentro il percorso che da adolescente insicura la porterà ad essere donna, regina capace di ribaltare le sorti funeste della sua gente; ed anche lei, feconda, genererà fede.

Donne. Quante donne nella Scrittura a cui Dio sembra non parlare mai: è la loro stessa vita ad essere esposta alla relazione con Dio dentro la realtà concreta, storica e umanissima, in cui Dio stesso le ha poste e, proprio attraverso quella realtà, le chiama a compiere imprese benedette per la salvezza di molti.

Anche l’incontro di Maria con l’angelo ha il medesimo sapore: riceve un annuncio a cui aderisce con tutta se stessa e da allora la sua vocazione coinciderà con la sua vita di donna fecondata dallo Spirito Santo. Maria abbraccia la storia a lei affidata e ne fa un capolavoro, fino alla fine (Gv 19,25). 

Al maschile e al femminile 

La vocazione ha a che fare con «i sentimenti, i desideri, i sogni» (Francesco, Christus vivit, 259) ossia con il mondo affettivo, la progettualità personale e la fecondità della vita; dimensioni antropologiche che hanno espressioni e trovano realizzazioni differenti tra uomini e donne.

Non è difficile riconoscerlo anche nel Vangelo: «Per gli uomini la chiamata nasce da un incontro, dall’irrompere nella propria vita di una presenza assolutamente nuova e luminosa, che interpella, convoca e propone una missione»[2]. Si tratta di un appello esplicito, ricevuto nella forma di una chiamata verbale, concettuale, nella direzione di una istruzione[3] e di un invito ad appassionarsi totalmente all’opera di Gesù fino a «rischiare la vita per il suo nome» (At 15,26).

«La prospettiva è soprattutto pastorale, apostolica, missionari. Non di meno essa e radicata in un legame di intima comunione con Gesù che, a partire dall’iniziale invito a seguirlo, si approfondisce nella possibilità, offerta con maggiore facilità, di essere messi a parte della sua intimità»[4]. Dio conosce l’uomo e il suo bisogno di essere parte attiva e laboriosa della storia, di coinvolgersi in progetti, di realizzare e finalizzare le proprie attività per riconoscere e sentire come compiuto il senso della vita e di ogni giorno. L’uomo ha bisogno di essere valorizzato, interpellato e coinvolto: è allora che darà tutto se stesso.

Per le donne è differente e Dio lo sa; sa muovere in loro le leve profonde dell’appartenenza e della passione, le sole che possono orientare la sensibilità e l’emotività nella direzione della cura, della premura e della dedizione totale. «Per le donne è determinante il fascino che esercita la persona di Gesù in quanto tale, nella sua concretezza storica e nella dimensione complessiva della sua figura che dona gioia, conforto, liberazione». La donna deve essere raggiunta dall’amore, allora amerà fino alla fine.

«La prospettiva che si apre è soprattutto quella di un servizio concreto, insieme all’ascolto disponibile e alla custodia fedele della sua parola. Nondimeno anche esse partecipano della missione evangelizzatrice di Gesù, proprio a partire dalla loro personale esperienza di lui»[5].

È così fin dal sepolcro vuoto: le donne – le uniche ad essere rimaste con Gesù nella passione, morte e sepoltura – sono coloro che innescano la ricerca dei discepoli e la possibilità della fede pasquale degli Undici. «Senza Maddalena, Pietro e Giovanni non avrebbero mai potuto ‘vedere’ il sepolcro vuoto, ma è significativo che la Maddalena, di fronte all’enigma del corpo scomparso abbia sentito anzitutto la necessità di rivolgersi ai due discepoli»[6].

È altresì significativo che a lei sia affidato l’annuncio della Pasqua da portare ai discepoli perché siano preparati all’incontro con il Risorto. Anche gli stessi inizi della manifestazione di Gesù ci vengono raccontati dal Quarto Vangelo con una dinamica simile: il primo dei segni di Gesù è pro-vocato – «donna, che vuoi da me?» (Gv 2,4) – dall’invito di sua Madre.

Pastorale vocazionale

Certamente, quanto abbiamo detto fin qui non ha alcuna pretesa di completezza; vuole soltanto lasciar emergere la grande opportunità di considerare e approfondire una tematica che intuiamo come feconda per ogni pastorale[7] e per il discernimento vocazionale, in particolare. 

Non si tratta, banalmente, di immaginare percorsi di accompagnamento vocazionale nei quali sostituire nella lectio divina personaggi femminili a quelli maschili, senza variare nulla nell’approccio al testo biblico bensì di introdurre alla Scrittura e al discernimento con modalità differenti. Se per ‘il maschile’ – infatti – una modalità di approccio più ‘direttiva e schematica’ può facilitare gli inizi, ‘il femminile’ esige maggiore libertà e respiro; se l’uno è condotto maggiormente dall’istruzione, l’altra ha più bisogno di esercitarsi nel ‘lasciar discendere’ e nel custodire la Parola di Dio. Questa seconda via è certamente meno battuta della prima, ma esplorarla con saggezza è particolarmente urgente: invitare le giovani donne ad un approccio del primo tipo, rischia non soltanto di soffocare la loro femminilità, ma soprattutto di disperderle nella ricerca di una intuizione vocazionale di tipo progettuale ed operativa che le coinvolgerà per un primo tempo ma che, non facendo contatto con il vissuto interiore, non le appassionerà per molto e, con sofferenza grande, rinunceranno ad investirci la vita.

Altra deriva pericolosa è quella di proporre alle giovani percorsi di ‘iperstimolazione emotiva’ che esercitano una grande fascinazione verso un ideale ma che le lasciano analfabete non insegnando loro la grammatica e la sintassi per la vita ordinaria fatta di dono feriale e fedele. La vocazione cristiana ha a che fare con gli affetti ed è essenziale riconsegnare le parole capaci di descrivere e mettere in contatto l’anima con questa dimensione. In particolare, le nuove generazioni si presentano spesso come molto affettuose eppure poco affettive ovvero scarsamente consapevoli del loro mondo interiore: manca loro quasi completamente il linguaggio per descrivere – e quindi per prendere contatto – con il proprio sentire che ha sfumature differenti tra il maschile e il femminile. Nessuna vocazione è una chiamata a spendere la vita per qualcosa di meno dell’amore che comporta – nella specificità dei sessi – sentire passione.

Per essere padri e madri delle future generazioni, padri e madri nello Spirito, sapienti nell’arte di trasmettere[8] la vita e la fede, abbiamo bisogno di introdurci nuovamente all’ascolto di chi prima di noi – come uomini e come donne – ha conosciuto e amato Dio mettendo la propria vita (al maschile e al femminile) a servizio del mondo. Molti di noi appartengono, infatti, a generazioni segnate da relazioni impoverite, spesso con figure sbiadite di riferimento davanti a noi. «Abbiamo bisogno di adulti che ci ascoltino nel profondo e ci insegnino ad ascoltare […] di punti di riferimento appassionati […]. Santo Padre, perché all’orizzonte gli adulti non stanno emergendo come figure autorevoli? […] Io penso che valga la pena sempre di essere madri, padri, fratelli e amici per la vita e non voglio proprio smettere»[9].

Riflettere sul coraggio della missione di essere uomini e donne riconoscendo la ricchezza inscritta nel maschile e nel femminile per riscoprire che il Vangelo non sta nell’appiattimento o nella confusione ma nella valorizzazione della reciprocità dello stare ‘corrispondenti’ (cf. Gen 2,18) l’uno per l’altra. La rinuncia alla propria identità sessuata è una paradossale idolatria del nostro tempo nel quale la diversità – proprio perché sconosciuta e avulsa dalle sue radici – invece che riconosciuta come risorsa e promessa di fecondità è temuta e fuggita. Si tratta, pertanto, di recuperare l’originario patto di alleanza tra uomini e donne perché le vocazioni del presente e del futuro possano essere credibili e genuinamente umane.

Note al testo

[1] La sua storia è bellissima e avvincente, ma Giuditta non è una guerriera, come tanta iconografia ci ha raccontato, è una donna che espone se stessa per difendere la vita e – con una fecondità sorprendente – diventa madre di un intero popolo.

[2] Marzotto, D., «Castità/Verginità», Dizionario Biblico della Vocazione, 116.

[3] È così fin dall’inizio della storia dei patriarchi e per tutti gli uomini chiamati da Dio: «Vattene dalla tua terra […] verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1); «Va’, io ti mando dal Faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo» (Es 3,10); «Disse il Signore: “Alzati e ungilo: è lui!”» (1Sam 16,12); «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mt 4,18).

[4] Marzotto, D., «Castità/Verginità», 116.

[5] Ibidem.

[6] Ibi, 114.

[7] «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Di conseguenza, dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale» (Francesco, Christus vivit, 254).

[8] Cf. Sarthou-Lajus, N., L’arte di trasmettere la fede, Magnano (BI) 2018; orig. francese, Le geste de transmettre, Montrouge 2017.

[9] Cf. Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani, 11 agosto 2018.