Gli incompresi riquadri della Pasqua nel Palazzo della Ragione di Padova e l’Università della Libertas, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2019)
1/ La tredicesima ripartizione del ciclo pittorico dedicato alla Pasqua
Nel Palazzo della Ragione di Padova una tredicesima ripartizione, in maniera analoga alle sezioni dedicate ai dodici mesi, è interamente riservata alla Pasqua. Quella festa, infatti, è mobile, poiché secondo il calendario liturgico dipende, per antichissima tradizione, dalla luna e pertanto non ha un mese fisso.
Eppure nessuno si accorge della centralità della Pasqua nell’analisi del ciclo pittorico che adorna il salone della Ragione padovano[1].
Ogni mese inizia negli affreschi del Palazzo con un apostolo, mentre nella fascia centrale del mese seguono poi la raffigurazione stessa del mese, il segno zodiacale e il pianeta corrispettivo.
Non così nella sezione della Pasqua che libera dalla routine del tempo: lì le scene sono tutte teologiche.
Se si guarda bene, infatti, dopo l’apostolo che è probabilmente Giovanni, poiché è raffigurato come il più giovane, senza barba - egli è colui che ha compreso Gesù più di tutti -, i nove riquadri che seguono prescindono totalmente dai simboli dei mesi e dei pianeti, mostrando nella fascia centrale l’altare pasquale con la croce, poi il sacerdote che vi celebra e infine l’agnello immolato. Più in alto stanno, forse, la Teologia, la Pace e poi il crocifisso.
Nei tre più in basso si vedono le prefigurazioni della Nuova Alleanza nell’Antico Testamento: il Tempio, l’Aspersione del sangue, il Sacrificio antico.
Basterebbe questa serie per mostrare quanto siano false quelle letture tese a separare una Padova laica da una ecclesiale e cristiana in età medioevale, come talvolta insinuano, invece, guide dozzinali e siti ufficiali[2].
Il Palazzo della Ragione, l’Università, il Battistero con gli affreschi di Giusto de’ Menabuoi, la Cappella degli Scrovegni, come lo stesso convento degli eremitani cui apparteneva fra’ Giovanni, primo architetto del Palazzo, attestano tutti quel peculiare modo di vivere il rapporto fra fede e vita culturale tipico del periodo.
2/ Alle origini dell’Università di Padova
Estremamente interessante è, da questo punto di vista, il sorgere dell’Università di Padova con la sua libertas irriducibile tipicamente medioevale e cristiana. In essa gli studenti avevano allora l’autorità, fino all’abrogazione di tali diritti nel rinascimento, di decidere dei docenti e dei corsi da proporre nello studium: è un’attestazione della libertas medioevale assurdamente dimenticata dagli studi moderni, posta in ombra allo scopo di istillare l’idea che solo dal settecento in poi sarebbe sorta nella storia l’idea di liberté, che viene così surrettiziamente attribuita solo ai lumi.
L’Università di Padova ha tuttora nel suo stemma - oggi logo - il Cristo risorto, come protettore dell’originaria Universitas Artistarum, che comprendeva medicina, filosofia, teologia, grammatica, dialettica, retorica e astronomia, e Santa Caterina d’Alessandria, come protettrice dell’altrettanto originaria Universitas Iuristarum, nella quale si insegnavano diritto civile e diritto canonico.
Il suo motto è altrettanto originario e suona “Universa universis patavina libertas”, che significa “Tutta intera, per tutti, la libertà nell'Università di Padova”.
Nonostante si cerchi di accreditare una qualche peculiare libertà riservata esclusivamente all’Università patavina, a qualsiasi studioso di storia dell’università appare evidente che essa si formò come ogni altra istituzione analoga, prendendo inizio da studenti e docenti che si accordarono insieme per l’istituzione di corsi chiedendo poi l’approvazione episcopale ed ecclesiale per conferire maggior prestigio allo studium.
L’università è uno dei principali portati del medioevo cristiano e non sarebbe sorta senza quel periodo e, fin dall’inizio, si caratterizza per il suo regime di libertà, come appunto mostra il motto patavino che è medioevale, come lo stemma dello studium; cfr. su questo [Origine medioevale e sviluppo dell’]Università, di Carla Frova e L'università nella sua storia, di Goffredo Coppola - Guido Calogero - Francesco Guidi.
3/ Per una interpretazione complessiva del ciclo degli affreschi del Palazzo della Ragione
Il ciclo pittorico del Palazzo della Ragione deve essere considerato un “almanacco”, una presentazione cioè dei tempi della vita degli uomini, con le sue stagioni, con le diverse occupazioni tipiche dei diversi mesi, con i vizi e le virtù caratteristiche di quel determinato periodo dell’anno.
Esso è espressione di quella visione onnicomprensiva tipica del medioevo dove ogni singola creatura ed ogni aspetto della vita è parte di un tutto, sotto la benedizione di Dio. Il ruotare dei pianeti e delle stelle, l’alternarsi delle stagioni, le feste cristiane, i vizi e le virtù, le occupazioni degli uomini, i sacramenti, gli amori e le battaglie, la Pasqua e i mesi che annualmente si ripetono, la vita, la morte e l’immortalità, tutto è dipinto in un unico sguardo.
Sebbene non tutti i simboli utilizzati appaiano a tutt’oggi chiari[3], emergono i mestieri, i tornei, le caratteristiche dei diversi mesi, con le immagini, ad esempio, degli amori primaverili in aprile o del rigore e della solitudine in dicembre e gennaio: la vita era allora pensata come un tutto comprensibile nel quale la sapienza degli avi permetteva di insegnare il futuro alle generazioni a venire con i proverbi, i tempi dei mestieri, gli eventi religiosi, le età della vita.
Da questo punto di vista, appare mistificante la presentazione del ciclo come “astrologico”, non perché esso prescinda dallo scorrere delle costellazione, bensì perché nel linguaggio moderno l’astrologia è quella pseudo-scienza che pretende, a torto, di indicare reconditi segreti cosmici e personali che sfuggirebbero ai non addetti ai lavori.
Tutt’altro è il fine del ciclo del Palazzo della ragione che intende, invece, mostrare come la provvidenza divina si accordi con il ciclo dei mesi e delle stagioni così come con i sentimenti degli uomini nelle diverse età della vita: nel Palazzo della Ragione l’astrologia non è una “scienza esoterica”, bensì trasmette la convinzione tipica del medioevo che diversa è la vita nel freddo dell’inverno o nel fiorire della primavera o nel caldo dell’estate o nel tramontare del bel tempo in autunno.
Nel ciclo le stagioni e i mesi sono chiaramente dettati dagli “astri” che modificano via via le temperature e i fenomeni della natura - si era ancora al tempo in cui in ogni stagione si mangiavano solo i frutti di quel preciso periodo dell’anno.
Anche il riferimento presunto a Pietro d’Abano appare non precisamente fondato. Egli infatti è contemporaneo di Giotto e, se un suo apporto deve essere individuato, esso deve essere certamente riferito al ciclo perduto dipinto da Giotto negli anni 1315-1317 e scomparso a causa dell’incendio che distrusse il Palazzo della ragione nel 1420 - a meno che non si voglia ipotizzare che i pittori che ridipinsero il Palazzo - e precisamente Nicolò Miretto da Padova e Stefano da Ferrara con aiuti - abbiano ripreso le scene del precedente ciclo.
Fra l’altro gli studi moderni hanno confutato tutte le dicerie che volevano che Pietro d’Abano fosse reo di presunte eresie astrologiche: tutto induce, invece, a pensarlo come un tipico studioso dell’epoca, in nulla dissimile dai suo contemporanei (cfr. su questo la voce Pietro d’Abano del Dizionario biografico degli italiani della Treccani).
La cronologia del Palazzo deve, comunque, essere così compresa:
- 1218-1219: costruzione del Palazzo della Ragione
- 1306-1309: intervento di fra’ Giovanni degli Eremitani che alzò la copertura di circa 6 metri con un vero e proprio “cielo”, dipinto da Giotto e dai suoi collaboratori (1315-1317) e, più tardi, anche da Giusto de’ Menabuoi. Essi dipinsero anche le pareti
- 1420: un incendio distrusse completamente tale volta e gli affreschi
- dal 1420 ca. e fino al 1433: intervento dell’ingegnere navale Bartolomeo Rizzo che rifece interamente la volta, eliminando anche la preesistente ripartizione in sale
- 1450 ca.: i pittori Nicolò Miretto da Padova e Stefano da Ferrara ridipingono gli affreschi del Salone superiore che terminano alla metà del secolo
- seconda metà del quattrocento: interviene nella fascia inferiore Jacopo da Montagnana
- cinquecento: Domenico Campagnola completa la fascia inferiore degli affreschi.
Estremamente interessante è che nel medioevo esistesse nell’immaginario dell’epoca un Palazzo della Ragione - lo si ritrova, ad esempio, ad Anagni, Bergamo, Mantova, Milano, Monza, Romano di Lombardia, Treviso, Verona, Vicenza, Ferrara (qui oggi non più esistente) - poiché l’esercizio del diritto e dell’amministrazione cittadina era concepito proprio come un esercizio della ragione chiamata a presiedere con giustizia ai rapporti fra i liberi cittadini del Comune.
Anche la famosa Pietra del Vituperio è giustamente presentata dai pannelli del Palazzo stesso come una modalità elaboratasi dopo un’esplicita richiesta di Sant’Antonio da Padova che nel 1231 riuscì a mitigare la legge che prevedeva il carcere a vita per i rei di gravi reati pecuniari. L’“ergastolo” venne sostituito con la pubblica derisione del reo, che doveva sedersi in quel preciso luogo in mutande, dopo la quale l’individuo era rimesso in libertà, anche se insolvente. Restava la diffida che scattava nel caso egli avesse reiterato i crimini già perpetrati. Anche l’idea di “ridurre” la pena apparteneva alla prospettiva di Ragione e Misericordia che già allora, anche se con modalità diverse dalle attuali, ispirava il diritto comunale che veniva studiato nell’Università patavina.
Note al testo
[1] In una guida specialistica recente i riquadri dedicati alla Pasqua sono così incompresi da essere catalogati come “gruppo di scene religiose”; cfr. P.L. Fantelli – F. Pellegrini (a cura di), Il Palazzo della Ragione in Padova, Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2000, nell’inserto iconografico che è fra le pp. 48-49.
[2] Così scrive ad esempio il sito Padova urbs picta (https://www.padovaurbspicta.org/palazzo-della-ragione-reggia-battistero-e-le-loro-piazze/palazzo-della-ragione/ al 3/11/2019): «Nell’ambito della serie il ciclo pittorico di Palazzo della Ragione rappresenta l’unica commissione laica e civile: la decorazione viene infatti richiesta a Giotto dal Comune di Padova, probabilmente una dozzina d’anni dopo la conclusione degli affreschi della Cappella degli Scrovegni e si può considerare la “risposta” laica al precedente capolavoro. Non è un caso che Giotto fosse stato chiamato a dipingere nel palazzo dove si amministrava la giustizia terrena (Palazzo della Ragione) dopo aver dipinto il giudizio divino, quello universale, nella Cappella degli Scrovegni», riferendosi ovviamente agli affreschi attuali, poiché di Giotto niente sembrerebbe essersi conservato nel Palazzo della Ragione - si tornerà più avanti sull’esatta concatenazione degli eventi della decorazione del Palazzo.
[3] Alcuni studi dedicati al Palazzo della Ragion, hanno il coraggio di ammettere la loro ignoranza sull’iconografia del ciclo, scrivendo, ad esempio: «Considerata la complessità della materia e la mancanza di una trattazione esaustiva che chiarisca i problemi iconografici e iconologici [del ciclo del Palazzo della Ragione] lasciati aperti dal Barzon (1924) non possiamo che limitarci ad una compilazione riassuntiva» ( P.L. Fantelli – F. Pellegrini (a cura di), Il Palazzo della Ragione in Padova, Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2000, p. 32).