Chiesa, politica e cultura: dove i ragazzi non ci sono. Dopo una giornata in città, la domanda sulla loro assenza si carica di un peso che non permette le scorciatoie delle risposte facili, di Roberto Contu
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Riprendiamo dal sito Romasette un articolo di Roberto Contu, pubblicato il 23/10/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Giovani.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2019)
Domenica ho trascorso l’intera giornata in una bellissima città italiana. Ero solo, ho avuto tempo a disposizione, ho camminato molto, sono stato in tre luoghi che mi hanno lasciato in dote un pensiero che credo valga la pena condividere.
Alle 11 di mattina sono in centro per partecipare alla Messa. Una cattedrale stupenda, traboccante di storia, con il marmo del pavimento ammorbidito, curvato e levigato da secoli di passi silenziosi al cospetto di Dio. Anche la celebrazione è molto bella, animata da un coro pregevole, in omaggio credo alla presenza dell’arcivescovo che celebra il rito. Ricevo il dono di un’omelia che mi tocca, poi la possibilità di un momento di silenzio personale, infine l’evento dell’Eucaristia. Al momento della benedizione, ancora grato, metto a fuoco un’evidenza fino a quel momento non percepita. Nella cattedrale c’è poca gente, la maggior parte persone adulte e anziani, ma soprattutto, dopo essermi guardato intorno, constato la totale assenza dei ragazzi e delle ragazze. Esco e continuo a passeggiare per il centro.
A mezzogiorno, da una delle tante vie che si srotolano attorno alla piazza, sento arrivare improvviso un rumore di tamburi e megafoni. Il tempo di accostarmi in un bar e assisto al passaggio di una manifestazione. Il corteo non è lungo, mi sfila davanti in meno di un minuto. Riconosco dai volti molti miei coetanei, vedo gli universitari, i militanti con le bandiere, noto anche due bambini sorridenti. Mi ritrovo a pensare che quello della partecipazione è davvero un bel rito, che dedicare il proprio tempo a un’urgenza che vada oltre il proprio orizzonte privato sia segno di speranza. L’ultimo anziano manifestante però mi riporta a quanto constatato un’ora prima: di fatto, non ho visto passare i ragazzi e le ragazze. Entro nel bar e compro un panino.
Il pomeriggio lo passo tra gli stand e le presentazioni del festival letterario in programma nella città, è il motivo per cui anche io mi trovo lì. Seguo almeno tre incontri splendidi: l’evasione, i sogni letterari, le storie che raccontate dai loro autori diventano lievito per il piacere personale di conoscere. Giro tra i banchetti, guardo i libri e percepisco la battaglia contro la parola di chi li ha scritti, l’artigianato degli editori che hanno reso carta, forma e sostanza quelle intuizioni. Eppure, anche in questo caso e uscendo dal palazzo che ha ospitato il festival, faccio la stessa identica considerazione: non ho visto i ragazzi e le ragazze. Sta per iniziare a piovere, corro al parcheggio e salgo in macchina un attimo prima del temporale.
È buio durante il lungo viaggio verso casa. Sono stanco, ascolto distratto la radio ma non mi abbandona il pensiero che si è stratificato durante la giornata: non c’erano i ragazzi e le ragazze. Non c’erano nel luogo dell’Assoluto, nel luogo dell’incontro con la città di Dio; non c’erano nel luogo della politica, nel luogo della costruzione della città degli uomini; non c’erano nel luogo della cultura, nel luogo del confine aperto e possibile tra la città di Dio e la città degli uomini.
Non c’erano i ragazzi e le ragazze e la domanda sul perché non ci fossero, complice la notte, si carica del peso che non permette le scorciatoie delle risposte facili e inutili.