1/ Un video per comprendere la vera storia della morte di Aylan Kurdi e dei profughi di Kobane 2/ Turchia - Siria. Per i cristiani l'incubo di una nuova persecuzione, di Camille Eid 3/ Siria. «Noi cristiani abbiamo paura della Turchia, ma i curdi ci usano», di Leone Grotti
- Tag usati: aylan_kurdi, curdi, persecuzione_minoranze, siria, turchia
- Segnala questo articolo:
1/ Un video per comprendere la vera storia della morte di Aylan Kurdi e dei profughi di Kobane
Riprendiamo dai video del Corriere della Sera una dichiarazione del papù di Aylan Kudi, morto dinanzi alle coste turche il 2/9/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Per la pace contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (13/10/2019)
Il papà di Aylan Kurdi afferma nel video: "Vorrei che i governi arabi, non i paesi europei, vedano cosa è successo ai miei figli e per questo aiutino i profughi siriani". A dirlo è Abdullah Kurdi, la cui famiglia è annegata davanti alle coste turche mentre cercava di raggiungere la Grecia. "Loro sono dei martiri e quello che spero è che la loro morte possa aiutare chi ha ancora bisogno. Basta con questa guerra" ha detto Abdullah ai giornalisti nella città turca di Mursitpinar, sul confine con la Siria
Due vignette di disegnatori arabi che criticano il mondo
arabo per il disintersse assoluto nei confronti della morte
di Aylan Kurdi e le sorti del popolo curdo.
2/ Turchia - Siria. Per i cristiani l'incubo di una nuova persecuzione, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire dell’11/10/2019 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Per la pace contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (13/10/2019)
Civili in fuga dalle zone siriane invase dall'esercito turco.
Un'altra tempesta di violenza che mette ancora una volta a
rischio la presenza cristiana in questo territorio (Lapresse)
Nella partita che si gioca nel Nord siriano, dove la Turchia ha lanciato un'offensiva militare contro i curdi, vengono spesso dimenticati altri “perdenti”: i cristiani.
È difficile fornire delle statistiche precise circa l’attuale presenza cristiana nei territori governati dalle milizie curde. Prima della guerra siriana, si contavano comunità cristiane in tutte le principali località: 1.500 famiglie a Raqqa, metà delle quali greco-ortodosse; mille a Tall Abyad, in particolare armene; 300 a Tabqa (al-Thawra); 150 a Deir ez-Zor, principalmente siro-ortodosse, ma anche latine, siro-cattoliche e armene; senza contare le decine di migliaia di cristiani che popolavano le città di Hassaké e Qamishli, nel nordest, e tutta la Valle del Khabur con i suoi 35 villaggi assiri.
Di questa presenza la fondazione tedesca Konrad Adenauer ha tracciato di recente situazione e prospettive in un dossier di 92 pagine che mette in guardia dalle conseguenze di un intervento turco, che sarebbe l’ultimo anello di una serie di sventure che hanno costretto i cristiani all’esodo.
La più dura è stata l’avanzata del Daesh che è riuscita, tra il 2014 e il 2017, a spazzare via buona parte di queste comunità, specialmente nella parte centrale, da Tall Abyad a Raqqa. A Tabqa vivono oggi solo cinque famiglie siro-ortodosse, mentre a Deir Ezzor i cristiani esitano a fare ritorno nonostante la celebrazione, nel febbraio 2018, della prima Messa post-liberazione. In fondo, quei cristiani si definiscono come i “figli dei sopravvissuti”, scampati o al genocidio degli armeni e dei siriaci in Turchia oppure al massacro degli assiri in Iraq.
Il precedente dei cristiani di Afrin, “liberata” dai turchi l’anno scorso, è presente agli occhi di tutti. Tra le truppe dell’Els entrati nel cantone a fianco dei soldati di Ankara c’erano gruppi radicali islamici e addirittura jihadisti. Risultato: i cristiani sono fuggiti verso Kobane dove si contano oggi 300 cristiani, tutti presumibilmente curdi convertiti dall’islam.
La presenza massiccia di cristiani si registra comunque nell’estrema parte nordorientale della Siria. Il vescovo siro-cattolico, monsignor Jacques Behnan Hindo, parla di 5.000 famiglie nella sua diocesi di Hassaké-Nisibi. «In molti si erano già spostati dalle località di frontiera. Ora che il conflitto è diventato più grave temo che saranno in tanti ad emigrare».
Qualcuno cercherà di opporsi al destino con le armi. Tra le milizie che compongono le Forze democratiche siriane (Fds) fanno parte quella del Partito dell’unione siriaca e una sezione femminile detta Forze di protezione delle donne di Bethnarain. Una forza stimata tra 400 e 1000 combattenti cui si aggiunge una forza di polizia, detta Sutoro.
3/ Siria. «Noi cristiani abbiamo paura della Turchia, ma i curdi ci usano», di Leone Grotti
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Leone Grotti pubblicato l’11/10/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Per la pace contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (13/10/2019)
La base aerea NATO di Incirlik in Turchia, nei pressi di Adana
«I cristiani in Siria sono spaventati, non sanno dove andare o dove nascondersi. I turchi hanno attaccato i loro quartieri di Qamishli, ma lo hanno fatto per rispondere al fuoco curdo, che sta usando i cristiani per combattere una guerra mediatica». La situazione nel Nord-est della Siria, dopo l’inizio dell’offensiva turca, è grave ma è molto più complessa di come viene raccontata in questi giorni sui principali quotidiani, come testimonia a tempi.it Afram Yakoub, direttore generale della Confederazione assira.
L’INVASIONE TURCA DELLA SIRIA
Il 9 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ottenuto il benestare del suo omologo americano Donald Trump, ha lanciato l’operazione militare “Fonte di pace”. L’obiettivo del Sultano è creare una zona cuscinetto in un’area profonda 30 chilometri lungo tutto il confine settentrionale siriano di 450 chilometri, dove poi ricollocare un milioni di rifugiati siriani scappati in Turchia. L’area, abitata da diverse etnie, è attualmente controllata dai curdi e dalle milizie Ypg, che hanno aiutato gli Stati Uniti a riconquistare le città occupate dallo Stato islamico, e che fin dal 2012 hanno creato in tutto il Nord-est della Siria una regione autonoma ribattezzata Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale o Rojava. La Turchia accusa le milizie Ypg di essere terroristi affiliati al Pkk e l’invasione ha anche lo scopo di cacciarle dal confine.
«I CURDI USANO I CRISTIANI»
Mercoledì l’esercito turco ha bombardato un quartiere di Qamishli. Sul web sono circolate le foto dei cristiani feriti. Le immagini sono autentiche, ma non dicono tutto: «Le milizie Ypg hanno bombardato le postazioni turche dai quartieri cristiani», spiega Yakoub a tempi.it. «Lo hanno fatto per provocare i turchi, che infatti hanno colpito le case cristiane. Sono i curdi ad aver diffuso le immagini dei cristiani feriti: la loro strategia infatti è di guadagnarsi l’appoggio dell’Occidente atteggiandosi a difensori dei cristiani. Ma i curdi sono tutto tranne che nostri protettori. Ci usano per combattere la loro battaglia mediatica, che in guerra può essere importante tanto quanto quella armata».
Nei bombardamenti turchi è stata ferita un’intera famiglia cristiana. Il padre e i bambini hanno riportato ferite lievi, la madre invece è in gravi condizioni. Yakoub, 39 anni, originario di Qamishli e accolto in Svezia nel 1989, ha una fitta rete di contatti nella sua città natale, dove vivono ancora molti suoi parenti. «Cristiani e curdi hanno una relazione molto tesa», continua. «Bisogna ricordare che i curdi sono una minoranza nel Nord-est della Siria, ma vogliono creare una regione autonoma sotto il loro controllo. Per riuscire nel loro intento, usano i cristiani come moneta di scambio».
«I CURDI VOGLIONO CACCIARE I CRISTIANI»
L’anno scorso, come raccontato da tempi.it, i curdi hanno chiuso quattro scuole cristiane nel Nord-est del paese perché si erano rifiutate di adottare i provvedimenti di politica dell’educazione emanati dal governo locale, che prevede testi ispirati al nazionalismo curdo. Monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, da anni ripete che «i curdi vogliono sradicare la presenza cristiana da questa regione della Siria».
Ieri è tornato a dichiarare ad Acs:
«Qui ognuno ha i propri interessi e i cristiani ne pagano le conseguenze. Ho invitato i curdi a desistere dai loro piani di creare una regione autonoma, cui non hanno alcun diritto. Ora il conflitto è divenuto ancor più grave di prima e temo che saranno in tanti ad emigrare. Dall’inizio della guerra in Siria il 25 per cento dei cattolici di Qamishli ed il 50 per cento dei fedeli di Hassaké hanno lasciato il Paese assieme al 50 per cento degli ortodossi. Temo un simile esodo se non maggiore. L’Europa dovrebbe fare mea culpa».
La situazione, insomma, è molto complessa. La soluzione, secondo il direttore generale della confederazione assira, è solo una: «La minoranza assira ha paura tanto dei curdi quanto dei turchi. L’unica modo di uscirne sarebbe avere una vera democrazia in Siria e uno Stato unito. Nel frattempo i cristiani sono spaventati e non sanno dove andare».
UNIONE EUROPEA, LA GRANDE ASSENTE
Un dramma di cui l’Unione Europea, che si sta completamente disinteressando dell’invasione turca, dovrebbe occuparsi: «In Europa vivono mezzo milione di assiri e mezzo milione di curdi», dichiara a tempi.it Attiya Gamri, della confederazione assira dell’Ue. Gamri risiede in Olanda e la sua famiglia è originaria di Qamishli, dove si è stabilita oltre cent’anni fa dopo il genocidio turco. «È triste che Bruxelles non prenda posizione. Non si è alzata una voce quando i curdi hanno chiuso le nostre scuole a Qamishli e ora non parlano mentre i turchi ci attaccano. Abbiamo sofferto molto negli ultimi anni, vogliamo rispetto, democrazia e diritti umani».