Tempo di vacanze. L'uomo in cammino e il pellegrinaggio, di Rino Fisichella
Riprendiamo da L’Osservatore Romano dell'1/8/2010 un articolo scritto da mons. Rino Fisichella. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/8/2010)
Aeroporti sovraffollati, stazioni intasate e autostrade dove si cammina a passo d'uomo. Sono queste le immagini che giungono nei giorni in cui milioni di persone partono per il meritato periodo di riposo dalla fatica quotidiana del lavoro. In queste condizioni non sempre la partenza per le vacanze è vista come un momento di rilassamento; spesso diventa motivo per ulteriore stress; eppure, il pensiero di raggiungere la meta agognata fa dimenticare anche la fatica. Appartiene alla natura dell'uomo mettersi in cammino.
Il progresso tecnologico ci ha fatto dimenticare l'importanza del percorrere a piedi anche lunghi tratti di strada; quando questo avveniva, la gioia per il percorso compiuto era immediata e la gratifica che ne derivava, suscitava maggior entusiasmo per la conquista di una tappa ulteriore. L'homo viator potrebbe essere una delle intuizioni più significative per valutare le profondità nascoste dell'essere umano e verificare quanto, nel mistero che lo costituisce, quello del raggiungere una meta sia tra le finalità più coerenti con la sua intelligenza e volontà.
In questo cammino, tuttavia, l'uomo rischia di disperdere alcune potenzialità che gli sono proprie. Senza una meta, il cammino diventa un errare a vuoto e il rischio di perdere se stesso e il senso del proprio vivere non è estraneo. Perché l'essere in cammino abbia senso è necessario che si individui un obiettivo e si concentri lo sforzo - anche di tutta la vita se necessario - per poterlo raggiungere. L'obiettivo è il fine verso cui si tende.
Appare difficile, soprattutto oggi, compiere scelte che abbiano valore per tutta la vita se l'obiettivo rimane limitato all'orizzonte dell'interesse materiale. È urgente e necessario che si propongano finalità tali da sintetizzare il senso della vita e siano capaci di provocare a tal punto da consegnarsi a esse come riscontro reale e fattivo di felicità. Una metafora che coglie questa istanza è certamente il pellegrinaggio. Esso oltrepassa i confini delle religioni e delle ideologie per presentarsi come un fenomeno universale.
Dal primo pellegrinare di Abramo verso una terra che il Signore gli avrebbe mostrato fino ai pellegrinaggi dei nostri giorni si nota un incessante e incantevole esprimersi dell'animo umano nel tendere verso una meta. I mesi estivi offrono a molti l'opportunità di un pellegrinaggio. Cogliere l'istanza sottesa e viverla in conformità e coerenza con l'obiettivo prefissato, può essere sorgente di vera spiritualità dalla quale in un tempo come il nostro molti si sentono attratti e ne ricercano il senso.
Il cristianesimo ha una sua peculiare interpretazione del pellegrinaggio. Esso è legato, in primo luogo, a un santuario. Come esprime il termine stesso, è uno spazio sacro delimitato che lo rende diverso da ogni altro luogo. La terra giustamente chiamata "santa" per aver accolto in sé il mistero del farsi uomo da parte di Dio offre un'opportunità unica.
Anche gli altri luoghi, comunque, dove il flusso di pellegrini è quantificato ogni anno in milioni, permettono di cogliere l'esperienza di fede che viene vissuta, ognuno per la sua parte e per il significato peculiare che possiede. Roma, Santiago de Compostela, Lourdes, Fátima, La Salette, Guadalupe, Jasna Góra, Efeso, tutto ciò che questi e tanti altri nomi riportano alla mente indicano una particolare esperienza di fede che può e deve essere comunicata e vissuta.
La peculiarità del pellegrinaggio cristiano, comunque, aggiunge qualcosa di straordinariamente grande per verificare anche la natura della stessa fede che si inserisce nelle culture e ne permette lo sviluppo. Fin dai documenti più antichi che possediamo in proposito - basti pensare al diario di Egeria, pellegrina in Terra Santa verso la fine del IV secolo - la descrizione del senso del pellegrinaggio si mescola con la curiosità per i luoghi, le usanze e i linguaggi dei popoli incontrati. Insomma, una ricchezza di conoscenze che costituiscono un vero patrimonio di cultura.
Etimologicamente peregrinus indica colui che attraversa i campi o le frontiere. In ogni caso, chi cammina verso una meta, ma capace di cogliere il senso degli eventi, farli diventare propri e comunicarli come vera esperienza di vita. Il pellegrinaggio dei nostri giorni, quindi, come esperienza di fede che si fa carico di mantenere viva la memoria. Coniugando desiderio di preghiera e curiosità intellettuale per cogliere la bellezza del creato e quella costruita dalle mani degli uomini.
(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2010)