Se si vuole fare politica sapientemente, bisogna imparare dall’avversario. È banale - e perdente – demonizzarlo. La questione dei “migranti economici” e quella dell’Italia, di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Politica e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (18/8/2019)
In un momento nel quale tutti i politici italiani sono pronti a rinnegare quanto avevano promesso fino ad oggi (“per l’intera legislatura con quello”, “mai con quelli”, “mai con quegli altri”), vale la pena approfittare della pausa per riflettere liberamente sulla questione Italia, senza preoccuparsi di schieramenti. Affermo risolutamente che la giusta prospettiva è innanzitutto culturale e non solo economica o politica.
Lo si vede dal fatto che regna una confusione assoluta sulle grandi questioni.
1/ Prima questione: uscire dalla logica dei traghettatori di migranti per elaborare un progetto
Innanzitutto sulla questione migranti. Salvini si fa forte dell’affermazione che le ONG sono colluse con la mafia araba. Se si guarda la questione in sé, svincolandola da un utilizzo a fini politici, è evidente che è inaccettabile il teatrino di noi europei ridotti al ruolo di traghettatori costretti ad andare a prendere i migranti appena fuori dalle acque terrioriali libiche dove i migranti sono appena stati abbandonati dalla mafia araba in balia del mare. Si noti bene, non stiamo affermando che le OGN siano colluse con la mafia. Stiamo invece affermando che nessuno pone il problema di come coinvolgere l’Europa intera, il Marocco, l’Algeria, il Mali, il Niger, il Sudan, il Sud Sudan, le Nazioni Unite e anche le ONG nella lotta contro la mafia araba. Questo è il problema reale. Non basta limitarsi a dire: “Accoglienza sì, accoglienza no”. Questa non è il giusto accostamento culturale al problema, bensì è moralismo.
Avere un approccio culturalmente corretto al problema vuol dire avere chiaro che si debbono salvare le persone in mare, ma che questo non basta. Sarebbe un atteggiamento analogo a chi pensasse: “Siccome la mafia italiana fa del bene, perché di fatto dà lavoro a tante persone, allora ci sta bene”.
Ora la mafia “salva” i migranti, ma al contempo li rovina. E noi facciamo i loro traghettatori, senza nemmeno porci la questione.
Noi vogliamo un governo che abbia culturalmente chiaro che la questione non è solo “Accoglienza sì o no”, ma che abbia chiaro che deve affrontare con coraggio la questione della tratta dei migranti.
Salvare in mare e, al contempo, con la stessa determinazione, combattere la mafia della tratta. Mentre agli italiani sembra, finora, che una parte voglia solo salvare in mare e un'altra solo combattere la tratta.
2/ Seconda questione: non si possono chiamare integrazione riuscita l’elemosina dinanzi ai supermercati, il caporalato o la prostituzione
Ed ecco la seconda questione sulla quale regna la confusione assoluta da decenni.
A qualsiasi italiano è evidente che i migranti che arrivano in Italia non vengono integrati da almeno dieci anni. A qualsiasi italiano è evidente che i neo-migranti non sono come gli italiani che andavano in Svizzera o negli USA e lì trovavano lavoro.
Emerge anche qui subito la questione culturale: chi continua a sventolare paralleli con i migranti italiani dei primi del novecento sta facendo affermazioni storicamente e culturalmente inadeguate che confondono, sta ingannando l’opinione pubblica. Sarebbe il caso di piantarsela con questi paralleli inadeguati.
L’italiano si accorge, invece, che i neo-migranti chiedono l’elemosina dinanzi ai supermercati. Si accorge che ci sono migliaia di giovanissime nigeriane e ivoriane appena giunte in Italia che sono obbligate alla prostituzione. Si accorge che ci sono decine di migliaia di migranti appena giunti in Italia nei ghetti dei raccoglitori di frutta a Rignano Garganico o a Rosarno (a Rosarno, a San Ferdinando, dal 2010 ad oggi, come testimoniano gli articoli che di anno in anno Avvenire ha commissionato ad Antonio Maria Mira. Il ghetto di San Ferdinando e la morte di Soumaila dal 2010 ad oggi. Ecco la serie degli articoli), si sono succeduti i governi ma i neo-migranti non sono stati integrati.
È certamente importante preoccuparsi delle condizioni mediche e igieniche dei migranti che vengono salvati in mare e costretti a permanere alcuni giorni sulle barche delle ONG, ma non bisogna dimenticare che risolvere tali problematiche sul momento è relativamente facile. Affrontare invece le condizioni mediche o igieniche in cui si troveranno a vivere dopo massimo un anno, finito il processo di riconoscimento dello status di rifugiati spesso con esiti negativi, quando la maggior parte di quelli che sono scesi dalle barche saranno costretti a vivere giornalmente come prostitute o come braccianti in ghetti come quello di Rignano Garganico, è molto più complesso. Per questo non è corretto gridare allo scandalo per ciò che accade sulle barche, se non si ha poi un progetto per gli sbarcati a terra durevole negli anni; gridare allo scandalo senza un progetto successivo vuol dire essere lo stesso responsabili del fatto che i migranti vivranno in condizioni mediche e igieniche allucinanti, posticipando solo di un certo periodo la cosa.
Ipotizzare un nuovo governo dopo l’attuale vuol dire affrontare con decisione e innovazione la questione. Certo che è difficile. Ebbene è ora di dire che fare politica – ed essere pagati per farla – è fare un mestiere difficile.
Ciò che spinge gli italiani ad avere paura dell’immigrazione è ciò che vedono con i loro occhi: è il vedere che l’integrazione non si realizza, ormai da decenni.
Se non si giunge ad un progetto reale e realistico di integrazione, allora è meglio che i “migranti economici” restino a casa loro. Perché altrimenti faremmo il loro male e saremmo noi la causa di donne che divengono schiave della prostituzione o di uomini asserviti al caporalato. Abbiamo più bisogno di chi crei cooperative e faccia raccolte di denaro per esse, più ancora che reperire denaro per finanziare le azioni in mare. Salvare in mare, senza un progetto successivo, resta qualcosa che si deve fare, ma, che, alla resa dei conti, è un grande inganno per i migranti.
3/ In un sano dibattito laico esistono diverse opzioni dinanzi alla questione migranti
Qui si gioca anche un’apparentemente sottile, ma in realtà consistente, questione culturale e morale. Ad ascoltare alcuni intellettuali sembra quasi che chiunque non si schieri decisamente a favore dell’accoglienza di chiunque voglia entrare in Italia sia contrario al Vangelo. Ma così non è! Non si vuole qui forzare la mano al pensiero di papa Francesco che si commenta da solo quando dice che l’accoglienza dei migranti deve essere proporzionale alla capacità di integrazione.
Si vuole invece ricordare che, da secoli, esiste la laicità, la mediazione culturale, il pluralismo: non basta la morale per fare politica.
Alcuni ritengono - e noi con loro - che la prima e più importante cosa da fare sia appoggiare i missionari che lavorano nei diversi paesi africani che chiedono che sia scoraggiata l’immigrazione, che chiedono che si lavori a creare scuole, università e lavoro in quei paesi. Che chiedono che si dia ai giovani che vengono ingannati dalla mafia africana sulla possibilità di trovare lavoro in Europa - e ai quali si fa credere, illudendoli, che dall’Italia sarà facile raggiungere il nord Europa - una corretta informazione, perché sappiano che perderanno il loro livello di vita nel paese d’origine in cambio del nulla.
È legittimo che si ritenga questo prioritario, è legittimo che si ritenga che muoiano molte più persone nel viaggio via terra e nel deserto che non in mare, mentre i media dibattono solo dei morti in mare: è legittimo che si desideri che la gente non muoia nel deserto ed è legittimo che sia un’opzione politica contrastare tali viaggi, per salvare vite.
Alcuni poi ritengono - e noi con loro - che l’accoglienza incondizionata e illimitata sia errata , pur essendo favorevoli all’accoglienza stessa. Nella dottrina sociale della Chiesa esiste un diritto ad emigrare (cioè ad uscire dalla propria terra; diritto negato , ad esempio, dal blocco comunista negli anni dopo la guerra), ma non un diritto ad immigrare dove si voglia e a divenire cittadini del paese nel quale si desidera abitare. Non abbiamo il “diritto” di trasferirci tutti nella foresta amazzonica se lo volessimo.
Moralmente, culturalmente e politicamente è assolutamente lecito ritenere che le modalità di immigrazione favorite fino a Minniti, abbiano danneggiato i migranti stessi. Rivendichiamo il diritto di poter dire questo, senza dover essere accusati di essere contro il Vangelo. Rivendichiamo la pertinenza culturale di una posizione che sia diversa sia dal “no e basta”, sia dal “sì e basta” che riteniamo entrambe problematiche per i migranti. Rivendichiamo la possibilità etica di riconoscersi nella posizione di Minniti o di altre diverse e analoghe, contro le due opposte fazioni del “sì” e del “no” che ci sembrano entrambe assolutamente inadeguate.
Con ciò esprimiamo il forte desiderio di un governo che abbandoni gli slogan ed esprima delle posizioni “articolate”, dicendo quante persone intende accogliere, come, con che progetti, con quali alleanza internazionali, sia in Europa che in Africa.
4/ La questione “italiana”
Salvini si è fatto forte dello slogan “Prima gli italiani”.
Se un nuovo governo, sia esso ancora salviniano o meno, utilizzerà tale slogan nella direzione del pensare agli italiani e fregarsene degli altri, questo sarà certamente assolutamente sbagliato.
Ma se il pensare agli italiani - rinunciando pure allo slogan - significasse invece preoccuparsi realmente dell’Italia, perché essa possa a sua volta aiutare altri, è tutt’altro discorso. Gli italiani hanno desiderio e bisogno che qualcuno assicuri che penserà a loro, indicando dove e come.
La svolta politica del governo in carica è stata resa possibile esattamente perché è fallita un’intera linea culturale che aveva paura della questione identitaria, che irrideva alla storia tipica dell’Italia, e cercava un identità solo plurale, solo costruita su relazioni esterne, un’identità che livellava tutte le posizioni - ecco anche qui la questione culturale.
Facciamo anche qui lo stesso esempio. Sarebbe sbagliato dire nella foresta amazzonica: “Prima chi non è del luogo, solo dopo le tribù amazzoniche. Chiunque è benvenuto qui e può dettare le regole che vuole, modificando gli usi millenari delle nostre tribù. Tutto è relativo quindi ognuno importi i suoi usi e costumi”? Certo che sarebbe assolutamente sbagliato. Chi è del posto conosce i segreti della foresta, ha un suo modo di convivere con essa elaborato nei secoli, ha una sua dignità e cultura che debbono essere rispettati.
L’italiano non intende fregarsene di tutti, non intende fregarsene dei migranti o essere intollerante verso altre religioni. Ritiene però che il mix di cristianesimo ed ateismo, di fede e di laicità, maturato nei secoli, con la sua visione delle leggi, della pubblica convivenza, della donna, della cultura, non debbano essere posti neutralmente sullo stesso piano di qualsiasi altra posizione.
Un nuovo governo deve promuovere una cultura che intenda proporre a tutti ciò che è proprio dell’Italia. Anche perché se altri vengono qui è perché ritengono che l’Italia sia bella, anzi sia la “più bella”. Basta con il vergognarsi dell’Italia. Parliamo non solo bene, ma con grandezza dell’Italia, la politica deve portare l’Italia in palma di mano.
Il cambio politico degli ultimi anni è avvenuto, a nostro avviso, anche per il fastidio verso una politica culturale che da decenni disprezzava il portato culturale proprio dell’Italia.
Non basta un governo che stai con tutti, serve uno che stia con gli italiani.
La questione, prima che essere economica, è culturale.
L’Italia è l’Italia ed ha la sua storia e le sue tradizione. Solo un governo che si glori di questo e che difenda il portato nazionale può oggi essere il governo degli italiani. Chi ignorerà tale questione si porrà automaticamente in minoranza dinanzi alla società, rifiutandosi di leggere il contesto sociale.
Come i popoli dell’Amazzonia hanno diritto a voler vedere conservate le tradizioni di quei luoghi, le usanze, i modi di vivere, così oggi gli italiani chiedono questo, chiedono un governo che ami Dante e Giotto, che ami le libertà della donna e la libertà di fare satira religiosa, che ami la famiglia e lo studio faticoso.
Similmente la tradizione italiana si caratterizza per l’amore per il lavoro fatto “a regola d’arte” e per il rispetto delle regole e delle libertà civiche. Chiedono un governo che lotti contro l’accattonaggio, che faccia rispettare le leggi che vietano di chiedere l’elemosina con bambini in braccio sfruttando i minori per questo. Chiedono che sia combattuto il commercio illegale che indebolisce il già debole commercio legale. Chiedono che, in chiave educativa, si forniscano aiuti chiedendo alla controparte di impegnarsi a sua volta in lavori utili alla collettività. Chiedono che sia obbligatorio mandare tutti i bambini a scuola, rispettando nelle classi le regole che tutta la scuola è tenuta a rispettare e che sia gravemente sanzionato chi non mandasse i figli a scuola tutti i giorni.
Un nuovo governo che non avesse capito che gli italiani chiedono che tutto questo non sia solo difeso, ma anzi che questa sia la modalità italiana più bella per accogliere, permettendo a tutti di inculturarsi in una piena italianità, sarebbe minoritario e perdente.
Si può utilizzare l’italianità contro altri, oppure la si può valorizzare ancor di più per dire: questa meraviglia che è la nostra cultura noi la vogliamo non solo difendere, ma anche condividere con altri ed insegnarla ad altri.
5/ Non demonizzarli, ma imparare dai propri nemici politici
Insomma non si tratta tanto di essere pro o contro l’attuale Ministro degli Interni. Si tratta anche di accogliere ciò che egli ha colto come problema del paese e darvi una risposta seria. Diversa, ma seria. Altrimenti, quale che sia la soluzione presa su futuri governi o elezioni, l’esito di ogni opzione sarebbe già segnato. Perché gli italiani non si sentirebbero ancora una volta capiti dagli “intellettuali”.
Da questo punti di vista una demonizzazione dell’attuale Ministro degli Interni è una delle scelte, a nostro avviso, più pericolose, uno degli errori più gravi che si possano commettere. Si tratta invece di riflettere sui motivi che hanno guidato anche persone notoriamente di altre sponde politiche a sostenerlo.
Un politico intelligente deve imparare anche dal suo peggior nemico, altrimenti non è un buon politico.
Lo ripetiamo. A noi, a differenza di altri, non interessa l’immediato esito politico.
Interessa di più che fra i giovani qualcuno si renda conto che la questione migranti, così come veniva affrontata prima di Minniti, non funzionava minimamente e ha danneggiato gravemente decine di migliaia di migranti sbarcato in Italia e sarebbe gravissimo ritornare ad un’accoglienza indiscriminata e a-progettuale pre-Minniti.
Interessa che, fra i giovani futuri politici, qualcuno si renda conto dell’assoluta mancanza di integrazione che attanaglia l’Italia e impari a distinguere la differenza dell’immigrazione italiana del novecento con l’attuale.
Interessa che fra i giovani qualcuno si renda conto che non si può, in nome di un’attenzione ad ogni minoranza, dimenticarsi della cura di ciò che l’Italia è, della sua storia e della sua tradizione. Solo un Paese che riscopra la sua chiara identità e ami fortemente la propria storia potrà diventare realmente accogliente.
Se queste note avranno toccato la mente di qualche giovane che un giorno diverrà futuro politico, non saranno state scritte invano.