Gli animali non sono politicamente corretti. Riflessioni etologiche a margine di lupi, orsi, daini, cervi, caprioli e linci del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /08 /2019 - 17:07 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Ecologia e Scienza e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (11/8/2019)

«Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani» - così recita Cappuccetto rosso nel murale che accoglie i visitatori a Civitella Alfedena, dove ha sede il Museo del lupo.

Ogni animale è bellissimo. È prova dell’esistenza di Dio. Ed è vero che, a volte, nella letteratura gli animali sono stati presentati ingiustamente come crudeli e pericolosi, mentre si è dimenticato spesso di dire che è l’uomo, attraverso l’inquinamento e l’antropizzazione della terra, ad arrecare danno ad essa, soprattutto in età moderna, la tragica età moderna che tutto quantifica.

Ma, se si esagera nel presentare l’animale come un essere sensibile e morale, umanizzandolo, tale posizione diviene non solo ridicola, ma impedisce di accedere ad una corretta e scientifica visione del mondo.

Nel Museo si racconta spesso ai bambini in visita una storia rovesciata di Cappuccetto rosso, dove la protagonista è presentata come una bambina abituata a sporcare il bosco con le cartacce, mentre il lupo è lì a rimproverarla per difendere la pulizia del bosco. È infine la nonna, spinta dal lupo, a mettersi d’accordo con il cacciatore per punire Cappuccetto rosso e dargli come penitenza il compito della pulizia del bosco.

Ognuno è libero di raccontare le storie che crede, ma la nuova versione non fa una grande impressione dinanzi al pathos della precedente o a Pierino e il lupo, rinarrata in musica da Prokofiev.

Vale la pena conoscere, invece, gli animali per ciò che essi sono, per la meraviglia che essi sono, secondo un approccio però scientifico e moderno, non infantile e onirico.

1/ Gli animali del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che vivono in branco hanno spesso una vita rigidamente gerarchiche dettata da regole etologiche nate da complessi processi evolutivi

Il lupo

I lupi hanno ruoli ben determinati all’interno di un branco, anche se oggi i branchi sono di dimensioni minori e a volte solo familiari, ma così non era in passato. Il Museo del lupo a Civitella Alfedena parla dei ruoli che debbono essere conquistati nel branco per capobranco e sostituto, o per ritrovarsi ad essere gregario e sottomesso.

Anche qui, tale gerarchia non deve essere subito riletta alla maniera umana. Essa è magnifica poiché permette al branco di sopravvivere e di prosperare. In un pannello di immagina il Museo racconta la storia di due cuccioli nati nel Parco nazionale che si allontanano dal branco a quattro anni. La femmina raggiunge un nuovo branco sui Monti della Laga e, lottando con le altre femmine, diviene la femmina del maschio dominante. Il maschio, invece, dopo aver incontrato un nuovo branco, lottando contro i maschi più forti, riesce ad ottenere la loro sottomissione e a divenire il nuovo maschio dominante o maschio alfa di quel gruppo.

Il Museo mostra come la strutturazione gerarchica del branco di lupi intorno al maschio alfa e alla femmina dominante permette di guidare al meglio la caccia di prede, che spesso è tutt’altro che facile e necessita di un armonia di branco. Una volta catturata la preda sono sempre i due lupi dominanti a poter scegliere per primi le parti migliori da consumare.

Si diventa maschio dominante o alfa attraverso lotte tra i maschi. Un lupo può sottomettersi ad un altro maschio o combatterlo. Ma, alla fine, sempre e solo uno dovrà essere il dominatore del branco.

Il Museo presenta le due forme possibili di incontri fra lupi:

- 1/ Avvicinamento, 2/ Atto di sottomissione, 3/ Sottomissione, 4/ Marcamento dei margini del territorio perché altri branchi non vi entrino

- 1/ Avvicinamento, 2/ Primo contatto, 3/ Lotta, 4/ Resa

La sottomissione o la resa, se non ci sono state ferite mortali, avviene con l’inchino al lupo alfa o al lupo superiore in gerarchia

La lince

Diverso è il caso della lince che è stata reimpiantata anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Le linci non vivono in gruppi. Scelgono territori di abitazione e di caccia con ampiezze che vanno dai 100 ai 300 km2. In nessuno di questi territori è possibile la compresenza di più di un maschio o di più di una femmina. Mentre, se il territorio è relativo ad un maschio vi possono transitare più femmine e viceversa.

I cervidi

Come si vedrà, anche presso molti dei cervidi esiste un capobranco che lotta per ottenere quel ruolo.

L’orso

«La stagione degli amori per gli orsi è in giugno e luglio (un mese prima in Alaska), il maschio segue la femmina per alcuni giorni, talvolta toccandola con il muso, leccandola, mordicchiandola, colpendola leggermente con le zampe, ecc., fino a che essa si mostra recettiva. È in questa stagione che le lotte fra maschi sono più frequenti, ma in genere hanno luogo fra maschi di mole paragonabile; il più piccolo, altrimenti, cede la femmina senza contenderla. Le femmine infatti vanno in calore ogni due anni».

Durante le altre stagioni dell’anno gli orsi vivono ognuno da solo, senza una vita relazionale con altri. Può però accadere che due o più orsi si incontrino pacificamente.

Solo la madre vive per i primi anni con i cuccioli che imparano a procurarsi il cibo vedendo come fa la madre.

L’orso si prepara per l’inverno un rifugio, spesso dentro una grotta, che rende più abitabile con arbusti vari, la femmina lo prepara per lei e per i suoi cuccioli. Gli orsi vi escono più volte durante l’inverno o se la temperatura si alza, ma anche per defecare e orinare, per non rendere insano il luogo di riparo in cui stazionano.

Il parto avviene in pieno inverno, nel periodo che vede la madre nel riparo invernale.

2/ Gli animali del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise hanno comportamenti sessuali nei quali, spesso, la legge è che vinca il più “forte”

Il lupo

Solo il maschio alfa e la femmina dominante si accoppiano e generano cuccioli, tutti gli altri ne sono esclusi.

«L'epoca degli amori cade in marzo, e prevede un periodo di corteggiamento talvolta particolarmente lungo (da pochi giorni ad alcuni mesi), al termine del quale la femmina gerarchicamente dominante si accoppia varie volte, di solito, con il maschio-alfa; subito dopo essa impedisce l'accoppiamento alle altre femmine, e quindi è spesso l'unica del branco a partorire. Dopo poco più di due mesi di gestazione la femmina si isola progressivamente dal gruppo per scegliere un luogo sicuro (se possibile vicino a una sorgente d'acqua), che verrà utilizzato per il parto e lo svezzamento dei cuccioli. In maggio nascono i cuccioli (da 4 a 6, raramente 8-9), ciechi e inetti; subito dopo la madre può decidere di trasferirsi in un rifugio più ampio, accogliente e riparato, e quindi, con l'aiuto del maschio, trasporta delicatamente i piccoli nella nuova "abitazione"».

Tale comportamento permette un aumento regolato dei cuccioli che, altrimenti, crescerebbero in numero eccessivo.

La competizione assicura soprattutto che i cuccioli nascano da genitori che siano i più forti, affinando così uno specifico patrimonio genetico.

I cervidi (cervo, daino e capriolo)

I cervidi presenti nel Parco nazionale sono tre, in ordine decrescente di grandezza:

  • i cervi (i cuccioli dei quali si chiamano cerbiatti),
  • i daini,
  • i caprioli.

I cervidi non sono da confondere con gli altrettanto famosi stambecchi e camosci che vivono invece sulle rocce e non nei boschi e che sono dei caprini (lo stambecco è noto anche come Ibex)

Una delle più grandi differenze con i caprini è che mentre questi mantengono sempre le stesse corna, i cervidi le vedono cadere ogni anno per vederle poi ricrescere l’anno successivo: pertanto le “corna” dei cervidi sono dette “palchi” e non “corna”.

I palchi raggiungono la massima grandezza subito prima della stagione degli amori, perché servono appunto per combattere gli altri maschi per il possesso delle femmine e cadono dopo tale stagione. Per questo i palchi sono solo maschili.

Il cervo

Nella stagione degli amori i cervi si radunano e l’unico maschio vincitore si accoppia con tutte le femmine presenti, mentre gli altri maschi non possono godere dell’accoppiamento.

«La stagione degli amori, nei cervi italiani, dura un mese o poco più, fra settembre e ottobre. In questo periodo sia i branchi di femmine sia i maschi isolati convergono in luoghi, “arene” (sempre gli stessi se poco disturbati), dove i maschi daranno luogo a esibizioni di dominanza e a lotte per la conquista delle femmine. Intorno ai gruppi così formati si riuniscono anche i maschi subadulti. I maschi adulti e anche quelli non pienamente sviluppati esibiscono la propria forza con il bramito, una sorta di muggito breve e profondo. In questa stagione i maschi bramiscono spontaneamente, a prescindere dalla presenza di altri maschi, ma la presenza di potenziali competitori provoca un aumento dell'eccitazione e della frequenza dei bramiti emessi dai singoli. In alcuni casi la frequenza del bramito e lo sviluppo dei palchi sono sufficienti a regolare le posizioni di rango fra i maschi, che, probabilmente dallo sviluppo e dalle fattezze dei palchi, mostrano di riconoscersi individualmente e di saper paragonare la propria forza a quella degli altri senza il confronto diretto, ma altrettanto frequentemente, quando si incontrano maschi di sviluppo paragonabile, insorge la lotta. I cervi si fronteggiano e, abbassando il capo, scontrano i palchi con violenza, ciascuno spingendo contro l'avversario e tentando di atterrarlo. Le lotte possono durare parecchie ore e talvolta hanno esiti drammatici, come quando uno dei contendenti colpisce l'altro su un fianco infliggendogli una ferita che può risultare mortale. Il cervo più debole, tuttavia, normalmente si ritira dalla lotta prima di essere così stremato da non riuscire a parare i colpi. I cervi vincitori, o quelli la cui sfida non venga accettata da altri, riescono a radunare e a controllare attorno a sé un numero di femmine maggiore, con le quali si accoppiano a mano a mano che esse giungono al culmine dell'estro».

Il daino

Il comportamento del daino è simile a quello del cervo. Il suono che emette in competizione con gli altri daini nella stagione degli amori viene chiamato invece grugnito (mentre quello del cervo è bramito).

Nel caso del daino si utilizza anche il termine svedese di lek per indicare il terreno che ogni daino si sceglie e combatte per difendere, non lontano dagli altri, per emettere il proprio grugnito e combattere per decidere chi avrà tutte le femmine presenti.

Si utilizza talvolta il termine di harem per indicare tale “possesso” che un solo maschio dominante ha su tutte le femmine.

Il capriolo

Il capriolo, invece, viene definito un monogamico stagionale, nel senso che non si assiste ad una gara di supremazia di tutti contro tutti[1].

Il capriolo femmina conosce la diapausa: la stagione degli amori è in luglio-agosto: dopo le primissime fasi di sviluppo, l'ovulo fecondato si arresta in uno stato di quiescenza o diapausa embrionale, per riprendere poi lo sviluppo in dicembre di modo che i cuccioli possano nascere verso il mese di maggio,. In totale si hanno 5 mesi di quiescenza e altrettanti di sviluppo del cucciolo nella pancia.

La diapausa è una "strategia" evolutasi in alcune specie per permettere la nascita in una stagione più adeguata per la nascita dei cuccioli, in questo caso a maggio.

3/ Gli animali carnivori o onnivori del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise cacciano

Educare ad un rispetto ecologico del creato è correttissimo e fondamentale, tanto che lo stesso pontefice è intervenuto in merito, ma non c’è bisogno per questo di alterare i dati scientifici della vita animale.

La caccia è caccia e ogni animale carnivoro o onnivoro, così come anche l’uomo primitivo, ha sempre cacciato. Se si deve mangiare carne, tale carne deve previamente appartenere ad un animale che è stato ucciso.

Il lupo ci mostra che cacciare non è crudeltà. La caccia è una cosa naturalissima per la sopravvivenza e anche l’uomo l’ha praticata in maniera ordinaria e abituale prima di giungere agli allevamenti di animali da macellazione: è per natura che ogni animale, compreso l’uomo, si ciba di altri animali se non è erbivoro.

Un pannello del Museo del lupo afferma, in maniera politicamente corretta, quasi a giustificare il fatto che i lupi caccino: “Come tutti i predatori, il lupo svolge un ruolo fondamentale nell’equilibrio ecologico, perché il lupo, a differenza dell’uomo, che distrugge i migliori esemplari delle specie selvatiche sfrutta ciò che per natura sarebbe di troppo contribuendo decisamente alla salute dell’ambiente”.

Questa visione antropomorfa dell’animale è irreale, quasi che egli possa scegliere fra le prede. Il lupo mangia non le prede malate, bensì quelle che riesce a catturare, spesso gli esemplari più giovani, i cuccioli delle altre specie. La sua cattura è spesso casuale, così come lo era quella dell’uomo primitivo.

Sarebbe più onesto dire che, se c’è un orsa madre con i suoi cuccioli, è più probabile che i lupi riescano a mangiarsi i cuccioli che non la madre che è più forte - ribadendo che l’uomo dal canto suo non deve inquinare e compiere atti che portino all’estinzione delle specie. Invece mescolare in maniera così poco scientifica, le questioni, affermando che il lupo elimina “ciò che sarebbe di troppo” è moralismo animalistico. La selezione naturale può anche eliminare una specie in natura - anzi lo ha fatto infinite volte, ben prima della comparsa dell’uomo - per la predominanza di una specie in un determinato ambiente.

Il problema non è quello delle differenti modalità di caccia dell’animale o dell’uomo. Il problema è la modernità. La modernità è il grande problema. Con essa l’inquinamento e l’eccedenza dell’uomo che conquista spazi, che vuole oggetti, che chiede sempre cose nuove. Per fortuna, l’uomo ha inventato il diritto e con esso valorizzato la creazione di parchi nazionali che dovrebbero aumentare e crescere, nei quali lasciar crescere una natura incontaminata, così come può costruire ancora una volta una morale che aiuti a vivere in maniera meno offensiva per il creato, rinunciando a molti dei confort cui si è abituato con la modernità.

L’inaccorto visitatore non si rende conto che, nei secoli passato, il lupo era veramente pericoloso per l’uomo che viveva nelle campagne o nei pascoli. Il pericolo era abituale, ma si assiste ad un aumento delle morti per causa di lupi, soprattutto all’uccisione di bambini e ragazzi al seguito delle greggi o nelle vicinanze di stalle di notte, man mano che spariscono i grandi mammiferi nelle foreste. La scomparsa di cervi, daini e caprioli nei boschi ha portato nella storia i lupi ad accentuare gli attacchi all’uomo.

È interessante in merito uno studio specialistico relativo alla pianura padana: Luigi Cagnolaro, Mario Comincini, Adriano Martinoli e Aldo Oriani, Dati storici sulla presenza e su casi di antropofagia del lupo nella Padania centrale, in Atti del convegno nazionale “Dalla parte del lupo”, Parma 9-10 ottobre 1992, Atti & Studi del WWF Italia, n ° 10, 1-160, F. Cecere (a cura di), 1996, Cogecstre Edizioni (disponibile on-line al link http://www.storiadellafauna.it/scaffale/testi/cagnolaro/antropofagia.htm).

In esso gli autori studiano i 440 casi documentati di aggressioni dei lupi ad umani e i 660 casi di abbattimenti di lupi registrati negli Archivi di Stato a riguardo di Bergamo, Brescia, Corno, Milano, Mantova, Novara, Pavia, Sondrio, Vercelli, Varano a cui  vanno aggiunti quello cantonale di Bellinzona (Svizzera) e quelli civici di Milano, Pavia e Vigevano, dal XV secolo all’ottocento. Le fonti, però, non sono sistematiche e hanno intervalli con assenza di dati anche molto grandi. Nell’indagine sono stati aggiunti anche dati ulteriori reperiti da alcuni archivi parrocchiali, dove le registrazioni, nei registri parrocchiali dei defunti, possono essere esemplificate da questa tratta dai registri della Parrocchia di Villacortese alla data del 6 maggio 1654: “Pietro Maria figlio di Giovanni Scazzoso detto Farré di età d'anni nove e mezzo, ucciso dal lupo nel ritornare dal pascolo con li bovi adì 17 la sera, fu seppellito il seguente giorno.

Queste le parole degli autori, in alcuni stralci del loro lavoro, disponibile on-line:

«I casi documentati di aggressioni ad esseri umani sono 440. La tavola 1 evidenzia la distribuzione di tali eventi rilevati per secolo. Per soli 202, dei 440 casi sopra citati, è stato possibile rilevare sia l'età sia il sesso delle vittime. Questo campione è stato confrontato (tavola 2) coi dati emersi da una ricerca analoga svolta dalla Couturier (1984) nel Dipartimento francese dell'Eure et Loir per il periodo 1580-1789.

Tavola 2 Vittime delle aggressioni per età e per sesso

Per 119 casi di aggressione, sui 440 totali, è stato possibile identificare il luogo dove essi si erano verificati, distinguendo tra "pascolo" ed "abitato" in senso lato, inteso anche come "in prossimità delle abitazioni". Nella prima tipologia indicata si evidenzia una prevalenza di aggressioni nei confronti di bambini: 57 casi contro i 9 registrati per gli adulti. Negli abitati, o in loro prossimità, prevalgono invece le interazioni con adulti: 38 casi contro i 15 ai danni di bambini.
Una possibile spiegazione potrebbe essere desunta dalla diversa collocazione nell'ambito sociale dei fanciulli: questi, impiegati in attività marginali, spesso come pastorelli, si trovavano frequentemente soli con gli animali al pascolo, divenendo così facili prede del lupo. La prevalenza di interazioni con adulti in prossimità di abitati è da riferirsi principalmente a lupi rabidi, che avvicinandosi agli insediamenti umani venivano fronteggiati da adulti.
E stato inoltre possibile rilevare la quota altimetrica dei capoluoghi dei Comuni dove si sono verificati gli attacchi.

[…] risulta evidente come le aggressioni fossero più frequenti nelle zone di modesta altitudine: ciò è da imputare probabilmente alle maggiori probabilità di interazione che queste aree fornivano per la maggior antropizzazione degli ambienti di pianura e di fondovalle.
Non bisogna comunque trascurare che le quote non sono riferite al luogo in cui si è verificata l'aggressione, ma al capoluogo del Comune nel quale l'episodio é avvenuto; evidentemente, soprattutto nelle aree montane, ne consegue una sottostima della quota.
[…] la distribuzione mensile delle aggressioni ed evidenzia un picco nel periodo giugno-luglio nel quale si concentra il 45% delle aggressioni, su un totale di 377 eventi per i quali è stato possibile rilevare il mese di accadimento. Questo picco stagionale è da imputare probabilmente a due cause concomitanti: la nascita dei cuccioli, e quindi una necessità maggiore di alimenti proteici, e contemporaneamente l'arrivo nelle zone di pascolo del bestiame che rappresenta una fonte di cibo facilmente accessibile e largamente disponibile
».

Lo studio si è poi concentrato sui dati ormai ben registrati che interessano i primi dell’ottocento, fino al 1825 quando si registra l’ultima uccisione di un umano ad opera di un lupo:

«La documentazione specifica sulle aggressioni ad esseri umani risulta numerosa nel primo decennio dell'800 per poi diminuire fino a scomparire del tutto dopo il giugno 1825 quando a Gattinara viene "dilaniato e divorato" un fanciullo di 10 anni. Questa risulta essere l'ultima vittima del lupo nella Padania da noi accertata sulla base di documenti civili.

Aggressioni rilevate da documenti amministrativi
Aggressioni rilevate da altre fonti

Analizzando gli attacchi di lupi ad esseri umani, rilevati nella Padania tra il 1801 ed il 1825, si constatano pochi casi di decessi conseguenti ad idrofobia accertata (1810, Darfo) o presumibile (1802, Sambughetto e 1813, Caltignana). Incentrando invece la nostra attenzione sull’altra tipologia di attacco, quella a fini alimentari, rileviamo che il lupo attaccava normalmente la vittima al collo o alla testa per trascinarla altrove. Se l'attacco non veniva ostacolato da estranei, il lupo "portava via" la preda, spesso ancora viva. In questi casi l'intervento di un esterno poteva ancora salvare la vittima che veniva abbandonata e non sempre risultava ferita gravemente (1812, Buronzo). In altri casi invece l'attacco del lupo causava ferite tali da provocare la morte della vittima anche se l'intervento di estranei ne impediva il "rapimento" (1813, Lenta).
Le aggressioni mortali, e quelle che si concludono per l'intervento di un uomo o di una bovina (1816, Gessate) che contrastano la predazione, avvengono immancabilmente nelle località di pascolo nel periodo compreso tra la fine di maggio e la fine di settembre.
Tornando ai 67 decessi rilevati, è interessante notare che in almeno 58 casi (non sempre infatti sono evincibili dati precisi dal documento) la vittima risulta essere un "fanciullo" o un "giovinetto". Relativamente al sesso è stato possibile accertare che, di questi, i maschi uccisi sono 33 e le femmine 13. Per 26 casi inoltre è stato possibile rilevare l'età:

          tra 3 e 5 anni                2 maschi
          tra 6 e 10 anni              0 maschi e 2 femmine
          tra 11 e 15 anni            6 maschi e 6 femmine

Dei citati 58 casi di fanciulli uccisi dai lupi nel quarto di secolo analizzato circa la metà risultano, dalla documentazione esaminata, "sbranati" o "divorati". Abbiamo inoltre rilevato come "sbranati" anche un uomo adulto (1812, Masserano) e due giovani rispettivamente di 17 e 18 anni (1807, Morengo e 1815, Balocco).
Nei casi in cui i resti della vittima "rapita" vengono rintracciati in breve tempo, la visita giudiziale del medico constata che sono stati divorati solo í visceri (1801, Cagno e Villacortese, 1812, Brusnengo); in casi limite non vengono recuperati che il cranio e gli arti della vittima (1812, Arluno e Masserano, 1815, Arborio)
».

Molto importanti sono le conclusioni dello studio che cercano di capire il perché degli attacchi dei lupi:

«L'aggressione avviene nella quasi totalità dei casi in ambienti marginali e, a dispetto delle aspettative, gli attacchi in zone scarsamente antropizzate sono molto rari; la predazione è rivolta generalmente su fanciulli.
Abbiamo quindi cercato di individuare che cosa accomunasse la realtà padana ed europea dei secoli passati e quella recente dell'India. In effetti, al di là del lasso temporale e geografico che le divide, queste due realtà hanno in comune: l'incremento delle popolazioni rurali, l'arretratezza dell'economia rurale ed una elevata antropizzazione delle aree marginali. La combinazione di questi elementi si estrinseca nel sovrappascolo del bestiame domestico in territori marginali con una conseguente progressiva alterazione dell'ambiente naturale. La competizione sui pascoli ed alle abbeverate, le epizoozie diffuse dal bestiame domestico, la distruzione dell'habitat e la caccia determinano la scomparsa degli animali selvatici. La carenza di prede naturali induce il lupo alla predazione del loro "surrogato" domestico
».

E, più avanti: «La scomparsa dei grossi erbivori selvatici, probabilmente, influisce anche sulla struttura sociale dei branchi. Il branco diventa una struttura antieconomica se non ci sono grosse prede da cacciare e la biomassa dei predati non è sufficiente al suo sostentamento. La struttura sociale potrebbe quindi evolversi verso gruppi familiari, ma in situazioni particolarmente critiche non è da escludere che il Lupo possa anche acquisire comportamenti solitari. L'organizzazione in famiglie e/o individui singoli risulta più economica nella caccia e nell'utilizzo delle prede di taglia ridotta ed inoltre garantisce una maggiore sicurezza in territori aperti e con elevata presenza umana.
Nella situazione economico-sociale-ambientale prospettata, i fanciulli sono impiegati in attività marginali quali il pascolo del bestiame e la raccolta di prodotti naturali: attività che li espongono all’incontro con il lupo. L'essere umano è fuori dal normale schema predatorio della specie: si rileva infatti che la predazione è generalmente indirizzata solo agli ungulati domestici, ma una aggressione al bestiame può incidentalmente concludersi con un attacco all’uomo. Qualora la vittima casuale dell'attacco sia un fanciullo, il predatore ne riporta una esperienza gratificante che può ingenerare, un comportamento predatorio nei confronti dei bambini. La preda-fanciullo è inoltre idonea ad essere trascinata altrove ed è sufficiente ai bisogni alimentari di un piccolo gruppo familiare. Il lupo divenuto antropofago, se non viene rapidamente eliminato, può facilmente trasmettere culturalmente questo comportamento predatorio agli altri componenti del gruppo. È stato verificato che tutti i membri adulti del gruppo di lupi dell'Andhra Pradesh, responsabile delle aggressioni ai fanciulli, erano antropofagi. Il radicarsi del comportamento antropofagico può, all'interno di un gruppo, evolversi con l'elaborazione di particolari tattiche di predazione nei confronti dei fanciulli.
L'antropofagia nel lupo è un comportamento acquisito per esperienza individuale o per apprendimento sociale, comunque fuori dalla norma. L'accidentalità del comportamento antropofagico, escludendo quello derivato da apprendimento, è convalidata anche dalla sua distribuzione spaziale e temporale del tutto casuale.
Sulla base delle situazioni comparate, quando il Lupo risulta presente con popolazioni numerose, con ampi territori disponibili ad alta concentrazione ovi-caprina, anche nel caso in cui le prede selvatiche siano particolarmente scarse, difficilmente si verificano aggressioni ai danni di persone. In zone con caratteristiche opposte non si può escludere che insorga questo comportamento atipico.
In conclusione riteniamo che il Lupo possa acquisire comportamenti antropofagi quando contemporaneamente si verificano i seguenti problemi:

- alimentare (carenza dì prede sia selvatiche che domestiche)

- territoriale (scarsa disponibilità di territori utilizzabili)

- demografico (contrazione negli effettivi della popolazione)

- sociale (sgretolamento della struttura sociale dei branchi)

Riteniamo comunque che la concomitanza di dette cause si verifichi più facilmente quando l'ambiente del Lupo è in fase di contrazione e quello antropico in espansione. Non ci sembra ipotizzabile una concomitanza di queste cause nel caso inverso di un ampliamento dell'areale del Lupo a scapito di territori dove la pressione umana è in diminuzione. In questa situazione, riteniamo improbabile l'insorgere di comportamenti anomali nello schema predatorio della specie». 

Ha fatto molto discutere il caso recente, avvenuto in Grecia nel 2017 di una archeologa, Celia Hollingworth, che è stata sbranata a Maroneia, in Grecia, o da lupi o da cani randagi - non è facile sapere la verità, mentre sono sempre più i pastori che si lamentano di una recrudescenza di attacchi di lupi al loro bestiame. Di certo il randagismo è pericoloso sia per l’uomo come per i lupi e può, fra l’altro, portare ad incroci fra lupi e cani: per questo fa combattuto. Bisogna avere il coraggio di combattere contro i cani randagi.

Questo non toglie che non si debba esagerare nel descrivere la pericolosità di lupi se essi hanno il loro habitat ben protetto e se nei boschi esistono prede a loro disposizione. Allo stesso modo debbono essere bandite le leggende del lupo mannaro (da lupus homenarius, lupo che si comporta come un uomo) o del licantropo (dai termini greci lupo e uomo).

Ma non si deve dimenticare, antropomorfizzando eccessivamente l’animale, che un branco di lupi affamati, può essere pericoloso per l’uomo. Il lupo deve predare e se ha altre prede, resta nei boschi e preferisce non avvicinarsi agli uomini, conoscendo la pericolosità relativa dell’uomo.

Interessanti sono anche le storie dei santi che, a loro modo, conservano memoria di un passato talvolta conflittuale con il lupo. Oltre alla storia del lupo di San Francesco si deve ricordare quella del “Lupo di Pretoro” (Pretoro è oggi nel Parco nazionale della Majella), dal quale San Domenico Abate (951-1031) si fa restituire pacificamente un bambino vivo, predato da un lupo.

Fonti utilizzate

Per le fonti consultate on-line vedi:

Per il lupo: http://www.lamiaterradisiena.it/Caccia%20e%20animali/Mammiferi/lupo.htm

Per l’antropofagia del lupo nell’ottocento: http://www.storiadellafauna.it/scaffale/testi/cagnolaro/antropofagia.htm

Per il cervo: http://www.sapere.it/enciclopedia/cèrvo.html

Per il capriolo:http://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2012/il-capriolo/

Per l’orso (da http://www.sapere.it/enciclopedia/órso.html)

Note al testo

[1] «All’interno della popolazione, le attività e le interazioni fra i vari individui non sono costanti, ma variano nel corso dell’anno, influenzate dal mutare delle stagioni. Il comportamento del capriolo può essere suddiviso in varie fasi, che costituiscono i momenti di maggiore attività sociale della specie. A partire dai tre anni di età, alla fine dell’inverno, i maschi tentano di delimitare un territorio, all’interno del quale nessun altro individuo di esso maschile è ammesso. I rapporti tra i vari individui, all’interno di una popolazione, non sono costanti ma variano nel corso dell’anno, il comportamento dei caprioli, infatti, può essere così diviso in varie fasi che costituiscono i momenti di maggiore attività sociale. Tali periodi corrispondono alla fase gerarchica, alla fase territoriale ed al periodo degli amori. Verso la fine dell’inverno, i maschi più vecchi e più forti hanno un trofeo già quasi formato, ben visibile, anche se talvolta è ancora in velluto o sono da completare i processi di solidificazione. Il maschio che lo porta tende già ad assumere atteggiamenti di intolleranza verso gli altri maschi più giovani o deboli, verso la metà di Marzo, i processi di formazione dei palchi sono terminati e quindi possono essere usati come arma di offesa: inizia così la fase gerarchica. A questo proposito si possono distinguere alcuni tipi di atteggiamenti, riassumibili in tre categorie: – Comportamento di imposizione, – di sottomissione, – di minaccia.
Il comportamento tipico di imposizione ha soprattutto la funzione di mostrare la propria forza e quindi di impressionare o intimidire i rivali. Molto raramente si può arrivare ad uno scontro diretto, in quanto potrebbe essere dannoso per entrambi i contendenti. I due maschi si posizionano uno di fronte all’altro, con il collo ben dritto, la testa piegata di fianco e le orecchie rivolte all’indietro. Se il rivale appartiene ad un rango sociale inferiore riconoscendo la propria inferiorità fisica, mostrerà un comportamento di sottomissione, tendendo a “farsi piccolo”, assumendo una posizione raccolta con il collo tenuto orizzontale. Il comportamento di minaccia è invece un insieme di atteggiamenti tesi a dissuadere, mediante intimidazione e aggressione; il capriolo punta il muso verso terra, avanza verso l’avversario tenendo le orecchie ben dritte, tutto questo può essere rafforzato anche dalla “raspatura”. Il rango sociale viene così a fissarsi tra i maschi di diversa forza ed età mediante imposizione, minaccia, fughe determinate alcune volte da brevi inseguimenti. Se dopo i vari atteggiamenti di imposizione, nessuno dei due contendenti si allontana o si sottomette, si arriva alla minaccia: i maschi si avvicinano e, se ancora nessuno dei due scappa, inizia la lotta. Normalmente i combattimenti non sono violenti, e chi riconosce la propria inferiorità, dopo i primi attacchi è costretto a fuggire. I maschi più vecchi, cioè quelli che hanno un processo di ossificazione del palco precoce rispetto agli altri, sono solitamente i più alti nella scala gerarchica della popolazione.
Alla fine della primavera tutti i maschi sono venuti a “conoscenza” dei loro antagonisti e tutti hanno un ruolo ben definito all’interno della popolazione. In questa fase quindi ogni maschio sa qual è la sua posizione. Alla fase gerarchica segue la fase territoriale, l’inizio di tale fase non è esattamente determinabile, essendo comportamenti che spesso sfumano gli uni negli altri. Il territorio ha dei confini tracciati tramite vari segnali, che possono essere visivi (fregoni e raspate), acustici (abbaio) ed olfattivi ed è difeso dal maschio che lo possiede. Solo i maschi di rango ampiamente inferiore sono ammessi e solo in atteggiamenti di totale sottomissione, le femmine sono naturalmente ben accette. L’ampiezza del territorio è variabile, in media è fra i 10 e i 20 ha per i territori migliori, a fra i 20 e i 30 ha per i peggiori, questo perché generalmente i più piccoli sono più ricchi di alimenti, più sicuri e meglio difendibili. Il territorialismo maschile risulta importante anche perché consente di regolare la densità della popolazione determinando uno sfruttamento più razionale dell’ambiente.
La stagione degli amori si concentra tra la metà di luglio e la metà di agosto e l’accoppiamento avviene all’interno del territorio del maschio, in quanto le femmine in questo periodo hanno solitamente un home range coincidente con esso. Infatti il territorio di un maschio può coincidere parzialmente o totalmente con quello di una o più femmine, di norma tre, in casi eccezionali anche dieci; ciò sarebbe anche all’origine dell’alta incidenza di accoppiamenti tra soggetti consanguinei che si riscontra all’interno delle popolazioni di capriolo, sebbene tale fenomeno sia leggermente ridotto dalle brevi escursioni dei maschi fuori dal loro territorio alla ricerca di altre femmine. Il capriolo è quindi una specie poligama, in quanto nella stessa stagione riproduttiva è in grado di accoppiarsi con una o più femmine, sebbene non formi un harem. Infatti, a differenza di altri cervidi, il capriolo forma coppie più o meno stabili, di natura diversa a seconda che si tratti di una femmina adulta o di una giovane. L’unione tra maschi e femmine giovani generalmente ha una durata maggiore (la coppia può formarsi già nel periodo invernale e perdurare anche dopo l’accoppiamento) rispetto alle coppie formate con le femmine adulte, ancora impegnate nelle cure parentali. Le femmine di capriolo sono monoestrali e la durata dell’estro è di circa 36-48 ore. Il calore si manifesta con un picco tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, da prima nelle sottili e dopo nelle adulte. In queste ultime avviene mediamente a 68 giorni dal parto, in quanto sono ancora impegnate nella cura della prole, e il manifestarsi del calore è negativamente correlato con le frequenti poppate. La fine del periodo degli amori segna un momento di grandi modificazioni nella socialità del capriolo: le madri riacquistano il rapporto con la prole, determinando così un assestamento definitivo bel gruppo madre-figli, questa fase coincide con il periodo tardo autunnale e invernale in cui si viene a ristabilire il gruppo familiare tipico» (da http://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2012/il-capriolo/).