[Ma Gesù rideva?] Credere col sorriso. Uno sguardo di fiducia sul mondo. Intervista a mons. Andrea Lonardo a cura di Gian Carlo Olcuire
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Riprendiamo sul nostro sito un’intervista di Gian Carlo Olcuire ad Andrea Lonardo pubblicata su “Segno nel mondo”, n. 3/2019 (luglio|agosto|settembre), pp. 10-12. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Cristianesimo. Per la versione audio più lunga dell'intervista, cfr. Ma gesù rideva?, sul canale Gli scritti di Soundcloud
Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2019)
Don Andrea dirige il Servizio per la Cultura e l’Università della diocesi di Roma, anima il sito www.gliscritti.it e da poco è stato anche destinato alla guida della comunità parrocchiale di S. Tommaso Moro. Ci troviamo con lui a chiacchierare di risate e di sorrisi, notando come se ne torni a parlare quando i giorni sono difficili, segnati dalla cattiveria e dall’odio.
Nella Bibbia troviamo almeno due tipi di sorriso, uno gioioso e l’altro derisorio. Basta vedere – nella Genesi – il racconto di Sara, a cui viene da ridere nel momento in cui le viene annunciato che sarebbe diventata madre: data la sua età e quella del marito, la cosa le pare impossibile…
«Nella Bibbia ci sono i due opposti: c’è il sorriso della creazione, in cui tutto è buono e bello, e c’è il ghigno di Satana, che gode del male. A volte, oggi, certa satira è odio trasformato in risata. Per capire meglio che cosa sia il sorriso vero, sereno, occorre pensarlo come relazionale, non di una persona da sola ma dinanzi a un’altra realtà. Per esempio: il bambino impara a sorridere perché il papà gli sorride. Vede che il papà è felice di lui e a sua volta sorride alla vita: il sorriso è espressione di un amore. Un’immagine evangelica di questo è il Battesimo di Gesù, quando il Padre gli dice “Tu mi piaci. Questo è il mio figlio, l’amato”. Anche Gesù impara il sorriso dal Padre, dal suo amore.
Nel racconto di Sara e Abramo, il primo sorriso di Sara non è ancora di gioia ma non è di ironia cattiva. È il sorriso di chi pensa “Ma che sta dicendo costui?”: un modo di difendersi, di smarcarsi. Poi diventa un riso pieno, lieto, quando il bambino le viene dato, perché glielo ha dato il Signore. C’è una doppia relazione: con il bambino e con Dio. E il nome del bambino, Isacco [N.B. de Gli scritti In ebraico si potrebbe tradurre Isacco con “sorriso”, “riso”, tanto il vero “sorridere”, “ridere” è simile al nome proprio “Isacco”], mantiene il ricordo del sorriso di Dio, che ha trovato una via d’uscita dalla sterilità.
Gesù poi dirà “Abramo vide il mio giorno e se ne rallegrò”: nel senso che Abramo e Sara in Isacco non vedono solo Isacco, ma nella loro discendenza vedono il Salvatore del mondo. In Isacco è già contenuta la vita di Gesù e in ciò sta la felicità di Abramo».
«Rallégrati» è pure ciò che dice Gabriele a Maria. Però, al di là di questo invito, è difficile scorgere nei Vangeli tracce di sorrisi. E così nell’arte sacra: oltre all’angelo annunciatore e alla Maria annunciata di Reims, ricordo un Cristo crocifisso sorridente a Lérins. E molti Gesù bambini, come fa notare Massimo Cacciari. Ciò non vuol dire che nella vita di Gesù manchino le battute o le situazioni divertenti, ma la “bocca da ridere” occorre immaginarla.
«In Gesù, più che la risata, vediamo la dolcezza del sorriso. Ad esempio quando gli evangelisti scrivono che Gesù “fissò lo sguardo su quell’uomo e lo amò”. Gesù non è mai comico, anche quando critica non rende mai l’altro una macchietta, non vuole distruggere. Il suo tratto distintivo è la capacità di vedere ogni persona, ogni incontro, anche il più difficile, con uno sguardo di tenerezza, per usare un’espressione di papa Francesco. Il sorriso è sempre uno sguardo di fiducia sul mondo. Gesù si rende conto che Dio ama gli ebrei e ama i pagani e quindi fa la cena con i pubblicani e i peccatori. E, quando quelli arrivano a criticarlo, gli racconta la parabola per dire “Venite pure voi”. La parabola del figlio prodigo è una parabola di dolcezza, è un dire ai farisei: “Venite a mangiare perché è tornato vostro fratello”».
Talvolta un po’ di ironia sembra esserci, nei Vangeli. In Matteo 19 e 20, Pietro è ossessionato dalla ricompensa e riceve da Gesù l’assicurazione del centuplo. Ascoltando da lui, un istante dopo, la parabola degli operai dell’undicesima ora, in cui tutti prendono la stessa paga, persino chi ha lavorato un’ora soltanto.
«Io, per l’ironia, penso soprattutto a quando gli dicono “Con quale autorità fai queste cose?” e lui risponde con un’altra domanda (“Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?”), per dire loro che non prendono mai posizione. Comunque anche in quella parabola c’è un invito a rimettersi in gioco: l’ironia di Gesù non crea distacco, non distrugge ma vuole aiutare l’altro a capire che deve muoversi».
Un’altra occasione è la moltiplicazione dei pani. Dove si assiste a uno scontro di sorrisi differenti: quello di Gesù che cerca di provocare i suoi a condividere («Dove potremo comprare il pane…?»), mentre i suoi fanno calcoli per dimostrare – realisticamente – come la cosa sia impossibile. E forse si lasciano scappare uno di quei sorrisetti da saputelli...
«Lì Gesù sta preparando l’Eucaristia. Vuole mostrare ai suoi che la gente ha una fame infinita, che nessun pane e nessun pesce della terra potrà mai saziare. Vuole prepararli a capire questo. Anche il banchetto eucaristico è un sorriso. Non ci può essere un linguaggio aggressivo in una Messa: il tipo di canto che facciamo, l’omelia, le parole che diciamo sono parole garbate, non urlate. Nell’Eucaristia di uno che sta andando a morire, noi vediamo il sorriso di Gesù, perché non sta odiando, non sta maledicendo il Padre o gli uomini: il suo linguaggio comunica “Diamo finalmente il corpo che solo sazierà la vita di tutti”».
Alcuni santi sono stati dei campioni di letizia: Francesco, Tommaso d’Aquino, don Filippo Neri, don Bosco… Mentre altri sono lontani dalla leggerezza dei giullari.
«Di sicuro alcuni santi non hanno capito bene questa cosa. Ma di certo non è mai avvenuto ciò che racconta Eco nel Nome della rosa, con il divieto di leggere un libro sul ridere. Se nel Cristianesimo ha pesato il tema della croce, vi sono però dei santi a cui il ridere è congeniale. Filippo Neri inventa addirittura delle piccole commedie: a chi confessa di essersi lasciato andare a molti pettegolezzi, Filippo suggerisce di spargere in giro le piume di una gallina, invitandolo a rimetterle insieme. Per far capire come dalle calunnie sia arduo fare retromarcia, gliene fa fare esperienza. E poi Filippo Neri componeva persino dei canti sacri, per far imparare le cose con un ritornello molto semplice, gioendo, ballando…».
Non dimentichiamo Tommaso Moro: un santo sostenitore del buonumore, al punto da farne richiesta a Dio in una celebre preghiera.
«Benché la preghiera sia un apocrifo del 1917, in Utopia si coglie come Tommaso Moro abbia una notevole capacità di ironia. Lui, sposato e con molti figli, facendo il Lord Cancelliere d’Inghilterra si rendeva conto di stare poco in famiglia. E voleva evitare – scrive – di “diventare un estraneo in casa propria”, facendo vedere ai figli quant’era felice che ci fossero».
Come è possibile rieducarci alla gioia, all’allegria, alla letizia?
«Almeno a Roma, c’è un recupero del registro dell’ironia. Con personaggi, come don Fabio Rosini, capaci di fare una catechesi veramente divertente. Oppure l’attore Giovanni Scifoni, che sa raccontare le vite dei santi con degli sketch unici, che appaiono sui social. O, ancora, Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti, che, senza scimmiottare altri cantanti, fanno canzoni popolari, ballabili, non infantili ma che anche un bambino può imparare. E non prescindono da Dio, ma sorridono con lui».