I francescani e la nascita dell’Europa, di Antonio Magliulo
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 18/7/2019 un articolo di Antonio Magliulo, professore ordinario di Storia delle dottrine economiche presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Europa: le sue radici.
Il Centro culturale Gli scritti (16/9/2019)
«L’Europa è sorta esattamente quando l’Impero romano è crollato». Questa frase, inserita quasi incidentalmente da March Bloch in una recensione del 1935, apre un illuminante dibattito sulle radici culturali dell’Europa che prosegue ininterrotto fino ai nostri giorni. Jacques Le Goff, l’ultimo grande esponente della scuola francese, colloca la nascita dell’Europa nel basso medioevo. Negli stessi secoli si sviluppa il movimento francescano. Chiediamoci che ruolo hanno avuto i francescani nella nascita dell’Europa.
Nel 1250, l’anno in cui muore l’imperatore Federico II e Tommaso d’Aquino è ordinato sacerdote, l’Europa appare come un continente in lotta per la libertà: religiosa, politica e soprattutto economica. Nell’ordine trinitario feudale sono legittimati quelli che pregano (oratores), quelli che combattono (bellatores) e quelli che lavorano (laboratores). Ma la Chiesa ancora non riconosce la funzione sociale dei mercanti/banchieri i quali, nel frattempo, sono diventati gli artefici della rivoluzione commerciale.
Gli scolastici, sia domenicani che francescani, rimuovono l’ostacolo nel quadro di una più generale visione che àncora la libertà individuale, il bene proprio, al bene comune: «Poiché ogni essere umano è parte di una comunità — scrive san Tommaso — è impossibile che un uomo sia buono se non contribuisce al bene comune». Il bene comune nasce dalla caritas, l’amore all’altro anche nelle relazioni sociali e non soltanto in quelle familiari o amicali, e genera la giustizia, la misura minima della carità: non è possibile amare l’altro nelle relazioni sociali senza riconoscere innanzitutto i suoi diritti fondamentali. Nasce qui, dalla caritas, la ricerca della giustizia, commutativa e distributiva, e quindi l’esame del giusto prezzo, del giusto salario, del giusto interesse, della giusta accumulazione di ricchezze.
Nella scolastica domenicana prevale un approccio oggettivo: il giusto prezzo è il costo di produzione determinato da una communis aestimatio interna alle corporazioni di arti e mestieri in cui si svolge la produzione e la distribuzione dei beni. Nella scolastica francescana prevale un approccio più soggettivo. In particolare, Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) e san Bernardino da Siena (1380-1444) fanno leva su motivazioni intrinseche. Nei loro scritti, l’interesse diventa il giusto prezzo del capitale mentre l’usura retrocede a iniquo prezzo della moneta. Si ha interesse, e non usura, quando un soggetto presta, con ferma decisione (firmo proposito) una somma di denaro, che così diventa capitale, destinata a finanziare non il consumo di sussistenza ma un’attività produttiva che genera profitto (che contiene “un seme di lucro”). Il mercato, nei loro scritti, è una rete di relazioni sociali basate sulla fiducia e la credibilità reciproche, che si rafforzano o si indeboliscono a seconda che prevalga il convincimento che l’altro opera per accrescere o per sottrarre la ricchezza comune: «per lo ben comune si dìe esercitare la mercanzia» grida san Bernardino da Siena in una predica del 1425.
Ma i francescani non si limitano a predicare. I conventi che sorgono nelle periferie delle città diventano luoghi esemplari in cui sperimentare una vita in comune basata sul lavoro e la preghiera mentre i Monti di Pietà, che essi fondano a partire dal 1462, rappresentano un modello di banche popolari che erogano credito, a condizioni agevolate, ai meno poveri tra i poveri, a coloro cioè che possono vivere senza l’elemosina.
Insomma, i francescani, prima che l’Europa nascesse, elaborano e sperimentano un’economia del bene comune.
Nel 1453 i turchi conquistano Costantinopoli. Muore l’Impero Romano d’Oriente. E nasce l’Europa. Secoli prima di diventare un’istituzione, l’Europa nasce come una “comunità di nazioni cristiane”, unite e diverse. Una “unità nella diversità”, si sarebbe detto secoli dopo. L’unità non è assicurata dal potere di un grande Impero, che non c’è più, o dalla forza egemonica di uno o pochi grandi Stati nazionali, che non ci sono ancora. L’Europa nasce come una “società senza Stato”. L’unità si fonda sul cristianesimo che, sanate le ferite dei due scismi d’Occidente e d’Oriente, ispira e diffonde condivisi valori di libertà, operosità e comunità, da cui scaturiscono anche comuni istituzioni: un’economia di mercato e una democrazia comunale. L’Europa è la cristianità: gli europei sono cristiani e i cristiani sono solo in Europa. Nel 1458 Enea Silvio Piccolomini, il futuro Pio II, scrive: «Europeos, aut qui nomine Cristiano censentur».
I francescani concorrono a far nascere un’Europa di nazioni cristiane rafforzando, sul piano della ragione e dell’esperienza, i suoi tre valori costitutivi, che ancora oggi fondano il cosiddetto modello economico-sociale europeo: libertas, opus, communitas.