Un mondo in lutto rigioca all’infinito i due match point di Roger Federer. Gli attimi decisivi a Wimbledon e la sofferenza condivisa dai fan, di Marco Imarisio
Riprendiamo dal Corriere della Sera del 21/7/2019 un articolo di Marco Imarisio. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sport.
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A una settimana di distanza, quei due match point si sono fatti carne. Sono quasi diventati un’entità viva, con la quale sfogarsi e recriminare, cercando di elaborare un lutto collettivo. Non esiste un amore sportivo paragonabile a quello che il mondo prova per Roger Federer. Gli altri, nel calcio o nel basket, hanno una squadra e una bandiera. Il Re è di tutti. E quando perde, i suoi ammiratori soffrono come se fosse uno di famiglia, il genio buono a cui speri che tutto vada bene. Domenica scorsa a Wimbledon, Federer non ha solo perso. Ha sofferto e sta soffrendo, come mai forse gli era capitato. Proprio quando era a un solo punto dalla sua vittoria più bella, quella che avrebbe chiuso ogni discussione sul più grande di sempre.
Sui social e sui giornali sportivi continuano a fiorire disamine rabbiose, congetture, se fosse, se avesse, che poi sono davvero solo un modo per condividere un dolore intimo. Abbiamo letto distopie dove l’ultima palla steccata dal Re ricade nel campo di Novak Djokovic che sbaglia, e la partita continua fino alla sua vittoria. Abbiamo visto comparazioni dell’ultimo match point della finale di domenica con quello della vittoria del 2012 contro Andy Murray, simili ma non uguali, quasi che l’immagine affiancata della sua gioia di sette anni fa, potesse evocare quel che doveva essere. Non c’è neppure una spiegazione tecnica o un senso compiuto a cui aggrapparsi, se non riconoscere la natura umana di quello che è invece considerato un Dio, ma è anche il giocatore che ha perso più partite con match point a disposizione (48), ben ventiquattro. Uno di noi, con le sue paure, e non una divinità lontana.
Ma questo non addolcisce la sensazione di ingiustizia. Ce l’aveva fatta, era il giorno dei buoni, toccava a lui. «I due match point di Federer». Allora torniamo indietro. A sorpresa l’ago della bilancia del quinto set pende verso di lui. Djokovic non gioca bene. Resiste, tutto qui. Lo obbliga a giocare ogni volta due colpi in più. Ma subisce. E subisce anche il break. 8-7. Alle 19.24, ora italiana, Federer serve per il match. Con due aces centrali sale 40-15. Eccoci. Non c’è mai stata una posta in gioco più alta nella storia di questo sport. Non è solo Wimbledon. È la chiusura del cerchio. Roger, Rafa, il neoclassicismo e la sua nemesi sotto forma di pura forza di volontà. E poi Novak Djokovic, il dio minore, quello che è arrivato dopo, e insidia una storia d’amore che si vorrebbe infinita. I tre più grandi, tutti nella stessa epoca. Come se Maradona, Pelè e Puskas giocassero nello stesso campionato. Federer non ha mai vinto uno Slam battendo quei due. Nadal lo ha fatto al Roland Garros quando Djokovic era ancora bambino, non vale. Djokovic nell’ormai lontano Us Open del 2011, il suo primo anno di grazia. Il valore simbolico di quell’ultimo punto è spaventoso.
«I match point non si giocano, si sperano» scrisse una volta Jack Kramer, l’inventore del tennis moderno. Tieni la palla in campo, qualcosa accadrà. I tifosi di tutto il mondo pregano. «Ancora una volta». Sanno che se fa quel punto non ci sarà più nulla da chiedere, tutto questo amore sarà appagato. Federer tira una prima esterna. Djokovic risponde profondo. Lo svizzero non ha altra scelta, cerca il vincente di contro balzo. Fuori. Il cordoglio collettivo si concentra sul secondo match point. Federer va a rete subito, quasi a liberarsi, a finirla una volta per tutte, dai che sbaglia, la metterà fuori. Invece è dentro. Ha lottato per altri quaranta minuti. Ma sembra che tutto sia finito in quel momento.
Quando finisce davvero, la Bbc conclude la sua cronaca in diretta senza una parola sul vincitore. «Due match point. Sul suo servizio. Potrebbe non avere mai più un’occasione del genere». Lo pensano tutti, e per chi lo ama è un pensiero intollerabile. Chissà se si rialza, se avrà la forza di aspettare un altro anno, lui che nel 2020 ne avrà trentanove. Non è vero che è stato un pareggio. Anche questa tesi risponde al bisogno generale di consolazione. In meno di un minuto, contando anche la pausa tra un servizio e l’altro, Roger Federer è passato dalla vittoria più bella alla sconfitta più dolorosa. Che cosa meravigliosa e crudele, il tennis.
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