[La Sicilia è su una buona strada, l'unica cosa è non scordarsi le tradizioni. Più si interpretano correttamente le tradizioni più esse si mantengono al passo con la storia]. Il Capodanno di Andrea Camilleri. "Vi regalo la mia ricetta segreta". Un’intervista a Andrea Camilleri di Sergio Buonadonna
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Riprendiamo da La Repubblica del 31/12/2010 un’intervista a Andrea Camilleri di Sergio Buonadonna. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Letteratura e Educazione e famiglia.
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Andrea Camilleri e la moglie Rosetta da anziani
Camilleri, lei usa dire che la Sicilia è un elastico che ci spinge a tornare. Cominciamo tornando con la memoria al Natale e ai Capodanni della sua infanzia?
"Avevo sei-sette anni, e l'albero di Natale ancora non esisteva. Esisteva il presepe che stava su un grande tavolo da lavoro dove uno si ingegnava con i mezzi di allora a fare cascatelle d'acqua, paesaggi e quant'altro. Il regista era lo zio medico che adibiva a presepe anche un'intera stanza usando le tecnologie moderne di allora, cioè l'elettricità che faceva muovere molini d'acqua, illuminava la grotta e arricchiva lo scenario. E poi conduceva anche la visita guidata al presepe".
Lei assisteva soltanto?
"Certo non potevo mettere bocca ma era una cosa affascinante".
I suoi pastori preferiti?
"Quelli che ho sempre ammirato di più erano uno quello che si dice "lo spaventato del presepe" che alza le braccia al cielo in preda ad un'attonita meraviglia e l'altro quello che se ne fotte, dorme e non lo sveglia niente e nessuno".
Questo fino a quando?
"Almeno fino all'arrivo degli Americani nel '43, quando avevo già diciassette anni. Con loro entrò nelle nostre case l'albero di Natale che noi andavamo in processione a vedere da un mio amico: era l'unico nel mio paese. Fu la grande attrazione del dicembre 1943, l'anno in cui nacque la tradizione dei regali sotto l'albero. E così i Morti persero la strada di casa, perché i regali a noi bambini ce li portavano i morti nella notte tra il primo e il 2 novembre".
Una notte di incubo e di attesa?
"Non l'ho mai vissuta come una notte di paura perché il fatto che il morto recente di casa portasse il regalo te lo rendeva non uno spettro ma un essere che tornava provvisoriamente sulla terra. Si stava lì ad aspettare che il nonno o lo zio defunto si palesassero, non visti, per riempire un canestro di regali".
Quando dice "noi" a chi si riferisce?
"A noi bambini ma nel mio caso specifico dovrei dire io, ché ero figlio unico ed era una pacchia: tutti i regali erano per me. Sinceramente l'albero di Natale i primi anni mi risultò estraneo. Mi pareva un'altra cosa e poi che i regali si fossero spostati dai Morti alla notte tra il 24 e il 25 dicembre mi disturbava. Io preferivo che me li portasse mio nonno morto, non questo Babbo Natale globale valido per tutti".
Ne era molto emozionato?
"Sa, la cosa più bella non era tanto il ricevere regali che avevi chiesto con regolare letterina, i Morti erano dispettosi nel senso che picchiavano il canestro che tu avevi messo sotto il tuo letto e la mattina lo facevano scomparire con i doni, quindi dovevi cercare per tutta casa dov'era andato a finire 'sto benedetto cesto. Quella era la cosa meravigliosa: la ricerca. Perché poi c'era la sorpresa di vedere che il morto aveva esaudito i tuoi desideri e al posto del canestro c'era il triciclo. Il fatto bellissimo era il giorno dopo cioè la mattina del 2 quando si andava al camposanto per ringraziare e salutare i morti: noi bambini giocavamo nei vialetti del cimitero con i regali appena ricevuti, li facevamo vedere l'un l'altro, ce li scambiavamo. Era allegria pura. Il morto rendeva felici".
Natale sciupa questa magia?
"La sciupa sì. Anche se ti dicono da piccolo che i regali li porta Babbo Natale, chi è? È uno che si muove troppo veloce. Che parte dal polo nord con le renne, la slitta, ma chi ci deve credere?"
Ma la festa almeno la salva?
"La festa è bellissima perché c'era sempre un calore straordinario: la grande tavolata con la famiglia riunita e magari s'arricampavanu zii, zie, cugini che non vedevi da anni. E poi nonna Elvira che faceva degli arancini meravigliosi".
Che lei un giorno trasferirà al suo Montalbano.
"Che io trasferirò al mio commissario assecondando i suoi peccati di gola. Ma un giorno veramente superò se stessa, stavo per farle i miei complimenti quando lo zio mi diede un calcio sotto il tavolo e mi fece cenno di stare zitto. Io così feci ma poi gli chiesi il perché. Perché se no - mi rispose - nonna si adagia sugli allori. Invece così cercherà sempre di perfezionarsi".
E oggi?
"Molte di queste cose si sono perse per strada, ma la festa me la godo lo stesso, mia moglie non demorde. È milanese di educazione, ma napoletana di origine, e a Natale recupera le sue radici: il presepe che per farlo ci impiega tre giorni, meraviglioso con accanto uno splendido albero trovato a buon prezzo. E ci sono tutti i nipoti e le mie figlie che sono più tradizionalisti di noi. Quando due anni fa dissi beh sto Natale possiamo farne a meno, si è sollevato un coro di proteste".
I Capodanni della sua adolescenza?
"Bellissimi, giocate interminabili, dolciumi, famiglie riunite, eravamo da venti a trenta persone mentre oggi le famiglie - quando ci sono - sono tutte accorciate. Ricordo con tenerezza le baruffe durante la tombola quando uno sosteneva di avere avuto un numero vincente ma di non averlo sentito estrarre. Poi c'era quello che tirava i numeri ed era bravissimo. Mio padre era un ottimo banditore, non diceva il numero ma usava la Smorfia sollevando le proteste di chi non la conosceva. Un grandissimo divertimento. C'era l'immancabile sette e mezzo, una lira e mi sto. Mi ricordo che da ragazzino mi arrabbiavo moltissimo perché i grandi invece di stare attenti ai numeri parlottavano dei fatti loro e poi cominciavano: è uscito il 25? Ma come è uscito da un'ora! C'era la vecchia zia da controllare, chi faceva un movimento brusco e gli saltava la cartella segnata con i fagioli, e bisognava rifare la conta da capo".
Quanto durava tutto ciò?
"Fino a notte tarda e andava avanti almeno fino all'Epifania finché si esauriva per stanchezza. Ma il gioco sublime del Capodanno era il Mercante in fiera dove soprattutto importante era il banditore che vendeva le carte".
Quali erano i piatti che segnavano il passaggio da un anno all'altro?
"Le sogliole. Gigantesche e fritte. E soprattutto la munnizza della nonna. Una cosa meravigliosa che io continuo a fare e che farò anche quest'anno".
Qual è la ricetta?
"Si comincia con uno strato di gallette da marinaio inumidite d'acqua, gli si sovrappone uno strato di verdure cotte e verdure crude, e così via continuando fino a formare una sorta di panettone. La munnizza si condisce con fette di limone, uova sode tagliate a fettine, patate lesse tagliate a fette, radicchio, sarde, anciove belle sistemate in linea retta. Uno strato dopo l'altro viene una montagnola coloratissima. Bisogna lasciarla riposare anche un giorno".
Quanto tempo impiega a prepararla?
"Una mattinata, però ne vale la pena".
Mentre lei fa questo lavoro, Montalbano che fa?
"Assiste. E subisce la mia fantasia, è una rivincita che mi prendo verso di lui. Perché non potrà gustarla la munnizza".
Era un piatto di Porto Empedocle?
"No, solo di mia nonna materna Elvira, che l'ha inventato lei in tempo di guerra perché di soldi e cibo ce n'era poco. Un piatto per me fantastico che ci tengo a perpetuare".
Che cosa è cambiato da allora ad oggi?
"Il tempo si è contratto. Questo Natale per esempio mi sembra arrivato all'improvviso senza che io ne sapessi niente... In vecchiaia i tempi sfuggono".
Ci ha pensato Schifani a farci accorgere che era Natale.
"Sì abbreviando al massimo la votazione per la riforma Gelmini. Una scena che è bene dimenticare. È anche colpa loro se perfino Natale arriva all'improvviso sommersi come siamo ogni giorno dalle brutte notizie di una brutta politica, di un brutto governo".
Però lei nell'ultimo romanzo, "Il sorriso di Angelica" si è vendicato, perché Montalbano ha potuto risolvere una delicata indagine grazie alle intercettazioni.
"Certo. Non c'è dubbio: "Il sorriso di Angelica" lancia un monito alla politica. Io ogni tanto ci provo, ma loro temo che siano sordi".
Con chi passerà il Capodanno?
"Con moglie, figlie e nipoti ma pochi generi perché uno è dovuto ripartire per l'Africa e un altro ce l'ho in Antartide. Quindi meglio per me, ho le mie figlie più vicine".
E Catarella cosa farà?
"Be', Catarella senza Montalbano proverà a capirsi da solo oppure si farà interpretare da sua sorella perché lo so stasera sarà a casa sua".
C'è un ricordo che stanotte porterà con sé?
"I miei dialoghi a distanza; quello con Leonardo Sciascia che continua sempre e a cui si è aggiunto quello con Elvira Sellerio. Mi mancano, caro amico, mi mancano molto".
Ai siciliani che messaggio manda?
"Un messaggio complesso. La Sicilia è su una buona strada, l'unica cosa è non scordarsi le tradizioni. Più si interpretano correttamente le tradizioni più esse si mantengono al passo con la storia. L'augurio che non riguarda solo la Sicilia è che si possa avere ancora qualche anno di tranquillità sociale e di serenità soprattutto, che sono cose al momento seriamente compromesse perché la situazione politica è molto confusa, a Palermo non meno che a Roma".
Montalbano come sta?
"Sta bene, grazie, la saluta".
Ricambio di vero cuore, ma lei sta lavorando naturalmente. Il prossimo romanzo?
"Si chiama "Il gioco degli specchi", una serie di false piste che si riflettono l'una sull'altra. E assicuro è molto divertente".
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