Eritrea: caccia ai cattolici, di Simone Baroncia
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Riprendiamo dal sito Korazym un articolo di Simone Baroncia pubblicato il 19/7/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Nord-Sud del mondo e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (28/7/2019)
Profonda preoccupazione e forte condanna sono stati espressi da mons. Charles Kasonde, presidente dell’Amecea, l’Associazione dei membri delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale, di fronte alla decisione del governo dell’Eritrea di chiudere 22 strutture sanitarie gestite dalla Chiesa cattolica locale nelle quattro eparchie dell’Eritrea: “Possa lo Spirito nutrire la speranza e donare il coraggio e la resistenza necessari alla strenua difesa dei diritti della Chiesa e del popolo di Dio in Eritrea”.
Una preoccupazione che fa eco a quella espressa da fonti locali che mostrano rammarico per la chiusura di questi servizi che erano della migliore qualità e accoglievano persone senza fare distinzioni religiose o etniche, a seguito della decisione del regime di Isaias Afewerki, al potere da 26 anni, soprattutto per le sorti dei 170.000 malati, che vengono assistiti ogni anno.
Secondo le fonti locali c’è la volontà governativa che la Chiesa non faccia questo lavoro sociale in seguito alla lettera pastorale dei vescovi cattolici dello scorso aprile, che chiedeva l’impegno del governo eritreo a ‘cambiamento deciso e storico’ e a garantire giustizia sociale, considerando anche la conclusione del conflitto con l’Etiopia.
Nella lettera i vescovi invitavano a non ‘costruire’ nuove divisioni: “In questo mondo senza scrupoli dove si vogliono costruire i muri della divisione noi vogliamo eliminare ogni separazione: solo così possiamo costruire una nazione caratterizzata da unità e armonia”.
I vescovi eritrei hanno affrontato la questione della guerra: “A causa della guerra, in passato il nostro Paese ha vissuto una grande marginalizzazione. Per vari motivi il destino dei nostri giovani, delle nostre madri e delle famiglie era diventato soltanto di emigrare e abbandonare la propria casa. In mancanza di soluzioni adeguate, tutto questo continua e la diaspora della nostra gente mette in pericolo l’esistenza del Paese”.
Ed avevano proposto soluzioni per permettere di uscire dalla difficile situazione in cui si trova il Paese. Prima fra tutte il dialogo che deve coinvolgere sia chi sta in Eritrea, sia chi fa parte della diaspora, perché solo sulla base solida del dialogo, della pace e del perdono è possibile costruire il futuro:
“È necessario crescere insieme come popolo e come Paese, senza lasciare nessuno indietro… In questo momento di dura prova per il Paese c’è bisogno più che mai della Sua protezione che ha guardato al suo popolo sempre con uno sguardo di misericordia e di amore”.
Inoltre in una lettera aperta, indirizzata al governo eritreo i vescovi hanno raccontato i soprusi compiuti dai militari nei confronti dei religiosi: “Quello che più di tutto ci ha rattristato, e ci rattrista, è quanto è avvenuto: persone inviate dallo stato (dall’esercito, dalla polizia e dai settori dei servizi della sanità) si sono presentate a chiedere la consegna delle cliniche della Chiesa cattolica; un fatto che non riusciamo a comprendere né nei suoi contenuti, né nei suoi modi.
In alcuni centri, i soldati sono stati visti intimidire il personale a servizio delle nostre cliniche, costringere i pazienti a evacuare i locali: in altri casi hanno perfino circondato e sorvegliato le case dei religiosi. Come è possibile che questi fatti si verifichino in uno stato di diritto?
È così che questo stato recide di colpo, senza un gesto di riconoscimento, un collaborazione che la Chiesa gli ha offerto per decenni, per il bene del popolo e della nazione? Una cosa è dichiarare che lo stato non ha bisogno dei servizi della Chiesa, ben altro cosa è invece intimare le consegne delle legittime proprietà della medesima: è assolutamente ingiusto”.
Ed hanno proseguito denunciando la violazione dei diritti: “Pertanto, nel manifestare la nostra profonda amarezza per quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi in questi giorni, dichiariamo che non consegneremo di nostra volontà le nostre istituzioni e nulla di quanto attiene alla loro dotazione.
Se le cose procedono nella maniera in cui sono iniziate, in ciò noi vedremo l’aperta violazione dei diritti della Chiesa. Considerato che ogni iniziativa che si serve della forza ha conseguenze molto pesanti, la Chiesa non se ne assumerà le responsabilità. In fine, oggi come sempre, la Chiesa Cattolica rimane aperta e disponibile al dialogo e alla mutua comprensione.
Raccomandiamo, nel contempo, che quanto viene messo in atto da questo punto di vista avvenga nel rispetto del diritto e della legge, e si effettui in maniera dignitosa e con dovuto riguardo per l’inviolabilità dei diritti che la chiesa detiene sulle sue istituzioni”.
Intanto dal sito dell’Agenzia Habeshia si critica il silenzio dell’Italia: “Il silenzio dell’Italia su quanto sta accadendo è surreale. Dettato da interessi ‘per non rompere le uova nel paniere’ si preferisce di far finta di non vedere e non sentire… Una suora è in prigione perché non ha voluto dare le chiavi della sua clinica.
Adesso tutte le nostre cliniche ed ospedali (29 in tutte) che servivano più di 200.000 persone all’anno, sono state forzatamente prese alla Chiesa Cattolica. Si dice che il governo sta preparandosi anche di far lo stesso con le nostre scuole che sono più di 50. È un momento difficile e per questo la chiesa locale ha indetto quasi tre settimane di preghiere, digiuno e implorazioni in tutto il paese (25 Giugno – 12 Luglio).
La situazione eritrea che si sperava andasse migliorando dopo la firma di pace con la vicina Etiopia, invece va peggiorando. Assistiamo ad una recrudescenza del regime contro fedeli in preghiera in diverse parti del paese, come nel caso dei pentecostali, cosi come con l’arresto di 5 monaci ortodossi di cui 3 ultra 70enni, ora l’arresto di una suora cattolica e l’irruzione militare nelle strutture sanitarie della chiesa cattolica di fatto espropriandola, è un atto criminale che lede il diritto e la libertà della chiesa cattolica che è una minoranza nel paese…
Chiediamo a tutte le istituzioni democratiche di ascoltare il grido di dolore del popolo eritreo, di intraprendere tutte le iniziative utili per chiedere il rispetto dei diritti e la libertà religiosa piena, libertà di azione per il bene del popolo eritreo”.