1/ Preti e suore stranieri in Italia: non solo per fare leva contro il razzismo, ma ancor più per dire che contributo enorme offre l’Italia allo sviluppo, di Andrea Lonardo 2/ I sacerdoti stranieri in Italia (a cura del Centro Studi e Ricerche Idos). Le diocesi interessati alle convenzioni con sacerdoti stranieri sono circa 160 su un totale di 226, a cui sono da aggiungere i preti stranieri studenti. Il 44% dei presbiteri in servizio proviene dall’Africa 3/ Noi, sacerdoti senza frontiere, Gli immigrati con la tonaca hanno superato quota duemila, di Gianni Santamaria 4/ In Italia molti «don» parlano straniero. Sono 922 i fidei donum stranieri impegnati nella pastorale ordinaria e 661 coloro che, pur svolgendo studi teologici, prestano servizio pastorale nelle parrocchie, di Giulio Albanese
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1/ Preti e suore stranieri in Italia: non solo per fare leva contro il razzismo, ma ancor più per dire che contributo enorme offre l’Italia allo sviluppo, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo e stralci di alcuni articoli. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Nord-Sud del mondo e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2019)
Per far leva contro il razzismo raramente si sente utilizzare un argomento che è, invece, potentissimo: l’inserimento ormai consolidato di preti e suore stranieri nelle parrocchie e nei conventi italiani. Molti italiani beneficiano del servizio preziosissimo di queste persone e moltissimi di costoro sono in Italia per studiare e tornare poi nei loro paesi per promuovere sviluppo nei loro luoghi di origine.
Questo servizio è di una preziosità immensa, anche se le analisi superficiali non se ne avvedono nemmeno. Un giovane prete o una giovane suora che studia teologia o catechetica, scienze economiche o infermieristiche, relazioni internazionali o diritto qui in Italia – e a Roma in particolare – porterà, una volta ritornato a casa, un potenziale di sviluppo enorme per la sua terra e la sua gente.
Ricordo un episodio che mi accadde alcuni fa quando ero parroco nella zona sud di Roma. Dopo un viaggio missionario, ritornai, fiero dell’accordo che avevamo raggiunto, dicendo che avremmo sostenuto gli studi di pedagogia e di psicologia di una giovane suora del paese che avevo visitato. Riferita la notizia al gruppo missionario, la responsabile mi rispose: “No, non va bene, perché aiutando quella suora, toglieremo soldi ai poveri”. Le risposi con affetto (mi volevano bene e mi potevo permettere questi toni): “Stupida che non sei altra, ma non ti rendi conto che non è inviando soldi che noi saremo d’aiuto? L’aiuto vero lo danno lì le ragazze del posto che studiano o si fanno suore. Sono loro ad essere fattore di sviluppo e non i tuoi stupidi soldi. Aiutare una ragazza del posto che si è consacrata al Signore, a studiare per poter meglio aiutare i suoi connazionali, questo è il vero aiuto! I soldi investiti per farla studiare moltiplicheranno il loro effetto per mille. Aiuta veramente un paese, solo chi vive lì, e non tu che resti in Italia a raccogliere soldi!”. Alla fine lei e tutto il gruppo convennero che quello di sostenere gli studi di questa giovane suora era un vero investimento e la richiesta che ci avevano fatto quelli che vivevano lì era la cosa più intelligente, più intelligente delle ipotesi stupide partorite dai nostri schemi occidentali che non sono capaci di rendersi conto di quanto cambia un villaggio se vi si radica la presenza di una comunità di suore del posto ben preparate.
Ecco ciò che fa innanzitutto l’Italia e la comunità cristiana per l’Africa: promuovere lo studio di tanti preti, suore e laici che vengono da noi per tornare poi a lavorare nei loro paesi.
Da uno studio privato, ma documentatissimo, fatto da un confratello, risulta che nell’anno 2013-2014 su 959 preti in servizio a Roma come parroci, vice-parroci o collaboratori ben 384 non erano italiani (il 40% del totale), molti dei quali studenti.
Che testimonianza magnifica è questa, nelle nostre parrocchie, capace di promuovere una cultura contraria al razzismo e che contributo enorme per fare leva contro le chiusure. Visitate le parrocchie romane e diverrete immediatamente capaci di intercultura per le tantissime e splendide presenze straniere.
La stima che i romani hanno per i preti e le suore straniere, le migliaia di omelie e di confessioni che essi ci donano ogni giorno, la loro presenza in tanti gruppi di giovani e anziani sono elementi troppo sottovalutati e, invece, centrali, che dicono l’intercultura e l’inculturazione.
Dalla stessa indagine privata risultava che ben 31 parrocchie romane su un totale di 335 non avevano nessun prete italiano in servizio e ben 81 un solo prete italiano a fronte di uno o più preti stranieri, per un totale del 33% delle parrocchie. Che testimonianza enorme contro il razzismo.
Come docente di un corso di formazione di teologia e catechesi per suore giovani, organizzato dall’USMI di Roma, posso attestare personalmente che, delle 100 suore presenti, solo una decina sono italiane, mentre la maggior parte di esse è africana o dell’estremo oriente, con un contributo estremamente significativo al servizio che svolgeranno nei loro paesi, quando torneranno a lavoravi, ma allo stesso tempo con una testimonianza grande di superamento di ogni tentazione razzistica per quelle che resteranno in Italia.
Uno studio del 2012 mostrava che su 967 novizie nei conventi femminili, solo 228 giovani erano nate in Italia. Se certamente la Chiesa deve svolgere un attento esame di tale dato, d’altro lato questo fatto, visto nella nuova prospettiva dei migranti che giungono nel paese e in vista di una loro reale integrazione, è un fattore che può essere letto con occhi nuovi e valorizzato in ben altri termini.
2/ I sacerdoti stranieri in Italia (a cura del Centro Studi e Ricerche Idos). Le diocesi interessati alle convenzioni con sacerdoti stranieri sono circa 160 su un totale di 226, a cui sono da aggiungere i preti stranieri studenti. Il 44% dei presbiteri in servizio proviene dall’Africa
Riprendiamo dal link http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2012/ottobre/idos-sacerdoti.pdf un’analisi del Centro Studi e Ricerche Idos. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Nord-Sud del mondo e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2019)
N.B. de Gli scritti Alcuni preti stranieri divengono preti di una determinata diocesi italiana per sempre, incardinandosi, cioè divenendo a tutti gli effetti preti di quella diocesi, come quelli che hanno fatto il seminario in quel determinato luogo. Altri, invece, chiamati fidei donum, restano preti della loro diocesi di origine che però li invia per un determinato periodo in una determinata diocesi, in questo caso italiana, per svolgere un servizio e poi ritornare nel proprio paese. Per questo i numeri dei quattro articoli possono differire tra di loro a seconda che si tratti solo dei preti temporaneamente presenti in Italia o di quelli che sono ormai stabilmente in Italia o di entrambe le categorie.
Al 31 dicembre 2010 vi erano in Italia circa 25mila cittadini non comunitari presenti per motivi religiosi, ai quali si aggiungevano quelli comunitari presenti per lo stesso motivo ma non registrati come tali in quanto dal 2007 non più soggetti all’acquisizione del permesso di soggiorno. Della presenza religiosa (religiosi e religiose, seminaristi, sacerdoti presenti per motivi di studio e per motivi pastorali) l’espressione più significativa è quella dei sacerdoti in servizio pastorale presso le diocesi italiane, e posti in carico all’Istituto per il sostentamento del clero, erano 1.780 nel 2005, 1.870 nel 2006, 2.041 nel 2008, 2.145 nel 2009 e sono diventati 2.260 al 1° maggio 2010 (+ 28,3%): nel corso dell’intero periodo l’aumento è stato di 480 unità.
Le diocesi interessati alle convenzioni con sacerdoti stranieri sono circa 160 su un totale di 226. Questa statistica non include quelli che sono presenti in Italia unicamente per motivi di studio. Il 44% dei presbiteri in servizio proviene dall’Africa, il 22% dall’Europa, il 20% dall’America Latina ed il 14% da Asia-Oceania: complessivamente, nell’invio di questi operatori pastorali, sono coinvolti un centinaio di paesi del mondo.
Le provenienze riguardano in prevalenza i paesi del Sud del Mondo, in particolare l’Africa (oltre allo Zaire, la Nigeria, la Tanzania e il Benin) e l’America Latina (oltre alla Colombia anche il Brasile). Per quanto riguarda l’Europa, sono consistenti le presenze dei sacerdoti polacchi e sono cresciute anche quelle dalla Romania e dall’Ucraina.
L’Asia, fatta eccezione per l’India, ha una presenza minimale, e così anche l’Oceania. Nel periodo gennaio 2005-maggio 2010 il numero dei sacerdoti è aumentato complessivamente del 28,3%. Pur tenendo conto che la valutazione è differente a seconda che il numero di partenza sia più o meno elevato, su un piano più generale si riscontra che le regioni con il più elevato numero di sacerdoti stranieri registrano un tasso di aumento più contenuto (Lazio + 8,2%, Toscana + 8,9%, Abruzzo + 11,5%), con un numero supplementari di sacerdoti stranieri rispettivamente di 47 nel Lazio, 26 in Toscane e 16 in Abruzzo.
Vi sono regioni che hanno registrano un raddoppio (Piemonte + 98% e 50 sacerdoti in più, Sicilia + 88,9% e 48 sacerdoti in più) e Basilicata (+ 84,2% e 16 sacerdoti in più). I sacerdoti stranieri sono più giovani di quelli italiani e sono così divisi per classi di età: fino a 30 anni il 3,3%; tra i 35 e i 45 anni il 61,8%; tra i 46 e i 64 anni il 31,8%, 65 anni e più il 3,1%. La loro età media è di 44,1 anni, contro la media dei 60 anni dei preti italiani.
Essi incidono per il 6,3% (1 ogni 16) sul totale del clero diocesano (italiani e stranieri presi complessivamente): come si vede, l’incidenza pastorale è simile a quella demografica, considerato che la popolazione straniera incide sul totale dei residenti per il 7% (1 ogni 14).
Questo valore medio conosce notevoli differenze territoriali. Si registra una incidenza dei sacerdoti stranieri pari al 13-4% in Toscana, Abruzzo e Umbria e, addirittura, il valore massimo del 20% nel Lazio. Ma non mancano gli scostamenti verso il basso: l’incidenza scende al 4% in diverse regioni (Piemonte, Lombardia, Triveneto, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna).
La ripartizione dei sacerdoti stranieri in Italia è a geografia rovesciata. Il Centro totalizza più della metà delle presenze (mentre questa posizione preminente spetta al Nord per quanto riguarda i residenti stranieri); la quota del Meridione supera un quarto del totale e al Nord spetta appena un quinto. Nella graduatoria delle regioni per quota di sacerdoti stranieri convenzionati con l’Istituto di Sostentamento dei Sacerdoti Cattolici troviamo all’apice il Lazio (621 sacerdoti di cui 292 nella diocesi di Roma). Oltre 300 sacerdoti stranieri operano in Toscana, oltre 150 in Abruzzo e Molise prese congiuntamente e oltre 100 in numerose regioni (Calabria, Campania, Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Sicilia, Triveneto e Umbria).
3/ Noi, sacerdoti senza frontiere, Gli immigrati con la tonaca hanno superato quota duemila, di Gianni Santamaria
Riprendiamo da Avvenire del 16/2/2001 un articolo di Gianni Santamaria. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Nord-Sud del mondo e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2019)
Non solo cappellani etnici, incaricati di seguire pastoralmente i connazionali e favorire l'integrazione nel tessuto parrocchiale italiano, ma risorsa preziosa per la Chiesa italiana da valorizzare di per sé. Così vogliono essere considerati i sacerdoti stranieri che nelle nostre chiese non sono più una rarità, tantomeno una curiosità. Anzi, le storie dei "preti senza confini" si inseriscono sempre più in quelle di ordinaria immigrazione: c'è chi viene per studio, ma anche chi per sfuggire a situazioni sociali e politiche terribili, chiamato dal proprio ordine religioso o nell'ambito di gemellaggi e cooperazione tra Chiese locali.
Per capire le esigenze di questi ministri di Dio con la valigia e far sì che possano sempre meglio inserirsi nella vita di quelle parrocchie nelle quali per i più disparati motivi sono stati chiamati a svolgere il servizio pastorale, il Centro unitario missionario (Cum) di Verona, ha organizzato il secondo seminario, apertosi nei giorni scorsi e che si chiude oggi, sui "Sacerdoti non italiani impegnati nella pastorale della Chiesa italiana". Il primo appuntamento si tenne due anni fa.
Ma quante sono le tonache "trapiantate" da noi? Attualmente circa 2.300, delle quali 1.200 godono anche dell'assistenza dell'Istituto per il sostentamento del clero. I più numerosi sono gli europei, 312, (fanno la parte del leone i polacchi con 141). Tra i 270 africani le nazioni più rappresentate sono la Repubblica democratica del Congo- ex Zaire (88) e la Nigeria (55). Colombiani (68) e brasiliani (42) guidano il drappello dei 232 sudamericani. Buona metà degli asiatici è composta dagli indiani: 92 su 191. «È un numero quanto mai rilevante, se pensiamo che i nostri sacerdoti diocesani che lavorano all'estero come missionari fidei donum sono circa 700», dice il direttore del Cum, don Sergio Bertozzi. E non si tratta certo solo di una "copertura" dei tanti campanili che restano vacanti da noi».
Ma quali sono le attese, i problemi, i contributi che loro si sentono di poter dare, nell'opinione della piccola rappresentanza di una ventina di sacerdoti "formato mondo" presenti a Verona? Un contributo, ha sottolineato ieri padre Bruno Mioli della Fondazione Migrantes, può essere senz'altro nell'aiuto ai connazionali che vengono nel nostro Paese per bisogno. E nell'animazione delle comunità etniche in vista dell'inserimento nelle parrocchie italiane dei nuovi arrivati.
Non solo questo e non da soli però, sottolinea il sacerdote peruviano Luis Sandoval, unico reduce dall'incontro precedente («oggi sono a Grottammare, provincia di Ascoli, ma sono stato a lungo incardinato in una diocesi dell'Honduras, quindi l'esperienza dello "straniero" l'ho già fatta nel mio continente»). La comunità etnica può presentare il rischio del "ghetto" e rendere più difficile l'integrazione, dice. «Come per tutti una delle primissime difficoltà che ho avuto - prosegue - è stata la lingua. Con una comunità spagnola forse mi sarei dato meno da fare a imparare l'italiano. E anch'io - sottolinea -devo mettermi in atteggiamento di accoglienza della cultura che mi accoglie».
Per aiutare gli immigrati il peruviano propone di «coinvolgere maggiormente i sacerdoti che rientrano dalla missione e che conoscono bene le nostre realtà di provenienza. Inoltre formare di più i sacerdoti italiani, già in seminario, sulle migrazioni». Occorrono anche strutture di accoglienza e informazione all'interno degli ordini religiosi, ha detto il brasiliano José Manoel Rosa, di San Paolo e attualmente a Pozzuoli, altrimenti il rischio è di trovarsi davvero spaesati e un po' allo sbaraglio come è accaduto a lui, nell'impatto con la nostra realtà. Alcuni fanno notare, poi, come - in alcuni casi - gli incarichi pastorali affidati siano di quelli minori, per scarsa fiducia da parte dei confratelli italiani. E se al primo impatto si sente già la voglia di andar via, ogni discorso sulla cattolicità e il futuro multietnico delle comunità cattoliche rischia di restare davvero sulla carta.
4/ In Italia molti «don» parlano straniero. Sono 922 i fidei donum stranieri impegnati nella pastorale ordinaria e 661 coloro che, pur svolgendo studi teologici, prestano servizio pastorale nelle parrocchie, di Giulio Albanese
Riprendiamo da Avvenire del 12/5/2018 un articolo di Giulio Albanese. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Nord-Sud del mondo e Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2019)
Oltre sessant’anni fa, veniva pubblicata l’enciclica missionaria “Fidei Donum” di papa Pio XII (21 aprile 1957). Un documento che indicava profeticamente le sfide della Chiesa africana e che ipotizzò, tra l’altro, un nuovo soggetto pastorale per la cooperazione missionaria: il presbitero del clero diocesano a servizio, per un determinato lasso di tempo, di una giovane Chiesa. Nel corso di questi sei decenni, l’invito formulato da Pio XII è stato, a più riprese, ribadito da tutti i suoi successori, grazie anche all’impulso impresso proprio dal dettato conciliare.
Non v’è dubbio, comunque, che il richiamo rivolto da papa Pacelli all’episcopato del suo tempo, di sentire «l’imperioso dovere di propagare il Vangelo e di fondare la Chiesa nel mondo intero» (Fd 14), rimane, ancora oggi, di grande attualità. Il fatto stesso che, oggi, una Chiesa particolare si ponga a servizio di Chiese sorelle disseminate nei cinque continenti, inviando dei propri sacerdoti, risponde alla logica dell’universalità, quella cioè di un Vangelo senza confini, nella consapevolezza, come scriveva san Giovanni Paolo II nell’enciclica “Redemptoris Missio”, che «la fede si rafforza donandola» (Rm 2).
Questo protagonismo missionario, a seguito di una costante e progressiva trasformazione dei paradigmi dell’attività di evangelizzazione e l’affermazione di nuovi modelli ecclesiologici, ha anche fatto scaturire la figura del fidei donum laico. Sempre più numerosi sono infatti i laici che hanno scelto, a seguito di un discernimento vocazionale, di vivere un periodo di servizio apostolico in missione per la promozione umana e lo sviluppo, ma anche nella prima evangelizzazione. In sessant’anni di storia, la Chiesa italiana ha offerto un contributo di oltre duemila fidei donum che si vanno ad aggiungere alle migliaia di missionari e di congregazioni religiose o istituti di vita apostolica.
Ciò nonostante, si registra, numericamente parlando, un calo dei presbiteri rispetto al passato, mentre vi è una crescita del laicato. Mentre nel 2005 i sacerdoti fidei donum erano 550, oggi sono 406. Di converso, i laici fidei donum, che dodici anni fa risultavano essere 240, oggi sono 331, a riprova di una sensibilità in aumento dei Christifideles laici nella cooperazione missionaria. Purtroppo, l’invecchiamento del clero in Italia e la diminuzione delle vocazioni sacerdotali, non ha indotto a comprendere che la partenza di un presbitero diocesano per la missione è in realtà, nella sua chiesa d’origine, fermento di nuove vocazioni e motivo di credibilità per l’azione pastorale diocesana. Inoltre, il rientro dei fidei donum dopo 3, 6 o 9 anni, molte volte è stato percepito problematicamente per le diocesi di provenienza, anziché valorizzarne i saperi e dunque lo scambio esperienziale.
Dimenticando, peraltro, che il loro servizio missionario, prim’ancora che essere una scelta personale, è un’opzione ecclesiale. Emerge comunque, nonostante il calo numerico dei presbiteri inviati, una prospettiva decisamente innovativa che fa ben sperare: il superamento della concezione di una missione assistenziale, per cui Chiese ricche inviano risorse di personale e mezzi a Chiese indigenti. Un cambiamento di mentalità, questo, decisamente più rispettoso nel contesto di una cooperazione all’insegna del dare e del ricevere. Anche perché, guardando al panorama italiano, crescono a dismisura i sacerdoti stranieri in servizio nelle diocesi disseminate sul territorio nazionale. Sono 922 quelli oggi impegnati nella pastorale ordinaria e 661 coloro che, pur svolgendo studi teologici, prestano servizio pastorale nelle parrocchie.
Ne consegue che la nostra Chiesa italiana sta supplendo al calo di vocazioni sacerdotali con l’aiuto di fidei donum che provengono dalle giovani Chiese. Se da una parte la loro presenza rappresenta un innegabile apporto spirituale dalle periferie del mondo, dall’altra è sempre più evidente la necessità di riconfigurare i criteri di distribuzione del clero nel nostro Paese, come anche nelle Chiese europee di antica tradizione. Stando all’Annuario statistico pontificio 2017, in Europa, nonostante la crisi delle vocazioni, vi sono mediamente, 1.595 cattolici per sacerdote, mentre ad esempio in Africa sono 5mila i cattolici per sacerdote. Una sproporzione su cui vale la pena riflettere e che comunque mette in evidenza le necessità di ottimizzare le risorse umane e spirituali per la causa del Regno.