Caro Le Goff, ricordati le bianche cattedrali, di Franco Cardini
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Riprendiamo da Avvenire del 5/6/2010 un articolo di Franco Cardini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Alto medioevo e Basso medioevo, Europa: le sue radici.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2019)
Cominciamo con il sottolineare che quest’articolo non ha nulla di polemico: non, quanto meno, nei confronti di colui che ne è il protagonista. Parlo di un grande storico, Jacques Le Goff, e della sua intervista raccolta da Nuccio Ordine e pubblicata sul «Corriere della Sera» del 29 maggio scorso.
Sono ormai passati alcuni giorni: perché tornarci sopra? Per due ragioni: anzitutto perché si tratta di un’intervista importante, e non solo perché è importante lo studioso che l’ha rilasciata; e poi perché il modo equivoco scelto per presentarla ha provocato, nel mondo degli studiosi cattolici – ce ne sono, sapete… – una ridda di malumori, di recriminazioni, forse anche di malintesi che tuttavia non hanno trovato espressione pubblica, mentre meritano al contrario di essere espressi.
Jacques le Goff, nato a Tolone nel 1924, esponente di punta fin dagli Anni Sessanta della «Scuola delle Annales», è anzitutto il grande medievista che ci ha insegnato a guardare a un "lungo medioevo", e un "medioevo profondo" dei sentimenti e degli atteggiamenti mentali, costantemente riletto alla luce del rapporto fra storia e scienze umane: non a caso ha lavorato fianco a fianco con Fernand Braudel e con Claude Lévi-Strauss. Chi ha letto la sua biografia di san Luigi non dimenticherà mai che cosa la Francia cristiana abbia significato per l’Europa e per la stessa chiesa cattolica. Dal canto mio, poi, io debbo personalmente a lui in gran parte se ho potuto percorrere una decente carriera accademica. Quando verso la fine degli Anni Settanta il mio caro vecchio Maestro Ernesto Sestan si tirò da parte per raggiunti limiti d’età, come medievalista, mi trovai praticamente «fuori dal giro». Debbo a Jacques Le Goff, ad Alberto Tenenti e a Jean-Claude Schmitt, che allora e più tardi, nei primi Anni Novanta, mi accolsero nell’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales, se riuscii ad attirare l’attenzione dei miei colleghi e se alcuni miei libri furono tradotti in francese.
Con Le Goff, laico e socialista, io cattolico e "reazionario" mi sono sempre potuto esprimere con la massima libertà e mi sono sempre trovato a mio agio. Ho ritrovato quindi con piacere e con commozione, pur non condividendola del tutto, questa sua passione laica nell’intervista del «Corriere»: sono perfettamente d’accordo anche con molte sue riserve sulla storia della Chiesa e dei suoi errori. Il mistero divino della sua elezione, per me credente, permane: ma non può cancellare le responsabilità, gli errori e nemmeno i delitti. Che i cattolici debbono imparare ad affrontare e a discutere, non lasciarsi tentare a nascondere.
Tuttavia, mi ha lasciato un po’ perplesso il titolo dell’intervista, Le Goff: questa mia Europa laica (so che per lui essa è molto di più), e mi ha fatto sobbalzare il sottotitolo, L’amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane. Qui, nella legnosa durezza di quest’affermazione, stento a riconoscere il "mio" Le Goff, sempre così attento alle articolazioni e alle sfumature, all’et-et contrapposto all’aut-aut. Ma ho pluridecennale esperienza di giornali quotidiani, e so che i titoli degli articoli non li sceglie l’autore: li fa la redazione, non sempre in perfetta buonafede.
Ho quindi cercato, nell’intervista, qualche riga che sia pur alla lontana potesse giustificare il titolo. Ed ecco: «Il cristianesimo – osserva con voce animata – ha avuto una grande importanza nella formazione dell’Europa. Ma l’Europa, non bisogna dimenticarlo, è anteriore al cristianesimo: per questo è necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano cristiane. L’Europa attuale non può non essere un’Europa laica».
La chiave di questa frase – se è stata correttamente registrata e tradotta – sta nella "voce appassionata". Jacques Le Goff, in marcia verso i novant’anni, non ha ancora perduto la capacità di commuoversi, di entusiasmarsi, d’indignarsi. Dio lo benedica per questo. Ma quando si parla correntemente – egli è Maestro anche in ciò – non sempre si riesce a pesare i termini come quando si scrive. Per questo, in quella frase compendiosa e stringata, non ho ritrovato in tutto il Le Goff dei suoi grandi libri e nemmeno della sua ultima sintesi, Il medioevo europeo.
È stato proprio Le Goff a dimostrare come l’Europa premedievale – e precristiana – fosse soltanto un’espressione geografica indicante una delle tre parti nelle quali già il mondo greco aveva distinto l’ecumène. L’impero romano era circummediterraneo, non europeo. L’Europa come realtà unitaria – il Le Goff studioso del pellegrinaggio di Santiago e della fioritura delle cattedrali e delle università tra XI e XIV secolo – è nata dall’affermazione, dall’espansione e dalla conquista cristiana (spesso cruenta: non dimentichiamolo).
L’idea di Europa si è progressivamente affermata nella storia concreta della Cristianità latina, di fronte a Bisanzio, all’islam e all’ebraismo ai quali pur tanto deve: le istituzioni cristiano-latine e la lingua comune latina ne sono state il lievito. Mi sembra pertanto che nella frase-chiave dell’intervista il mio caro, grande Maestro abbia soltanto dimenticato un avverbio. Mi permetterei di correggerla semplicemente così: «È necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano soltanto cristiane». Se l’Albero Europeo ha fronde, fiori e frutti "laici" (e nessuno si sogna di negare l’eredità storica della Riforma protestante e della stessa Rivoluzione francese), le sue radici sono greche, romane, ebraiche, anche barbariche e musulmane: ma soprattutto cristiane, eredi della possente sintesi di cui il cristianesimo ha saputo informare il mondo medievale. A questa realtà, diciamo pure a questo primato, i cristiani non possono e non debbono rinunciare.