1/ Uno sguardo alla comunità e non solo alla famiglia nucleare. Attenti, non è bene che la famiglia sia sola, di Davide Rondoni 2/ Ci vuole una tribù per potersi gustare una cosa indifendibile come la famiglia. L’hanno ridotta a una monade che dovrebbe reggere gli urti della vita e del tempo restando sospesa al millesimo piano di un condominio di estranei. Lui, lei, un figlio, un cane, le fette biscottate del Mulino Bianco, di Davide Rondoni
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1/ Uno sguardo che guardi alla comunità. Attenti, non è bene che la famiglia sia sola, di Davide Rondoni
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Davide Rondoni pubblicato il 27/3/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia e affettività.
Il Centro culturale Gli scritti (9/6/2019)
In queste settimane in cui si agitano polemiche intorno al tema della famiglia, mi permetto di suggerire a chi riflette su tale questione certo seria e meritevole uno sguardo per così dire più ampio. A volte leggere libri serve e la grande letteratura ci ha mostrato alcune cose importanti a riguardo.
Per esempio, che la famiglia senza la comunità va in crisi. Senza una esperienza di comunità, sia in senso stretto di amici ma anche di comunità civile, di un ambiente insomma vivo e propizio, la famiglia muore. Per questo, una certa insistenza sul tema, giocato sul terreno della società e della laica 'convenienza' della istituzione familiare, presente in tutte le civiltà, potrebbe essere cieco o addirittura dannoso se non tenesse conto che la famiglia non è un organismo che può vivere isolato, come spesso invece accade e come viene presentato da una pubblicistica banale. Lui e lei in appartamento con un cane e forse un bambino e le fette biscottate di marca sul tavolo, e tutto intorno il deserto di relazioni e comunità.
Ecco, tale organismo è – oltre che poco attraente – astratto e destinato al fallimento. Ad esempio, la famiglia più famosa della letteratura italiana, quella de 'I Promessi Sposi', diviene una famiglia, in mezzo alle convulsioni e alle prove della storia che ieri come oggi non mancano, proprio grazie al sostegno e alla presenza di figure esterne, di una civitas che sostiene e dà respiro a quel progetto di vita.
Non a caso, è proprio la vista di una comunità in cammino verso l’appuntamento con il cardinal Federico che smuove infine il cuore del crudele Innominato a liberar Lucia. Intendo che in quel magnetico e profondissimo romanzo, come nella esperienza di molte famiglie, il senso vivo di appartenenza a una tribù o una comunità è determinante. Non si può pensar di salvar le famiglie mentre le comunità vanno a ramengo.
Del resto, come si vede nel potente romanzo 'I Buddenbrook' di Thomas Mann, la famiglia che intende far leva solo su di sé, che ritiene di resistere alle intemperie e di essere un’isola (in nome dei soldi o del buon nome) è destinata alla rovina. La famiglia così come riceve dalla comunità trova un suo senso in quanto dona alla comunità: non solo l’essenziale nuova vita con i figli, ma anche reciprocità di sostegno. Una famiglia-monade è, insomma, un controsenso, asfittico e poco vitale. Non a caso, specie quando si allentano le relazioni con la comunità (a partire da quelle elementari, di vicinato, o parentali) la famiglia può divenire un gorgo oscuro di problemi, di solitudini, fino a esplosioni drammatiche.
Per questo, unitamente al tema della famiglia dev’essere posto quello della comunità. Lo sanno bene i cristiani, ma è esperienza che riguarda tutti. La insistenza sul tema famiglia, preso in sé, può essere meritorio al fine di sottolineare le necessità specie in campo fiscale e dei servizi, alle quali una politica intelligente deve dedicare attenzione e risorse, ma può anche divenire parziale e ideologico. La questione politica della famiglia è la medesima della comunità.
Ed è questione molto scomoda oggi che il pensiero dominante, specie con una potente azione sull’immaginario dei più giovani, tende a isolare gli individui, a renderli neutri consumatori, ad allargare quel che il primo attento studioso della democrazia, Tocqueville, vedeva essere il suo buco nero e la ragione della sua crisi, oggi evidente: l’individuo trattenuto nel breve giro della ricerca delle soddisfazioni individuali, perciò ansioso e scontento.
2/ Ci vuole una tribù per potersi gustare una cosa indifendibile come la famiglia. L’hanno ridotta a una monade che dovrebbe reggere gli urti della vita e del tempo restando sospesa al millesimo piano di un condominio di estranei. Lui, lei, un figlio, un cane, le fette biscottate del Mulino Bianco, di Davide Rondoni
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Davide Rondoni pubblicato il 31 maggio 2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia e affettività.
Il Centro culturale Gli scritti (9/6/2019)
L’uomo è fatto per la tribù, più che per la famiglia. Anche la donna, naturalmente. Quando lo affermo mi guardano strano. Ma in fondo sanno tutti che è così. Dicono: ah, la famiglia. Dicono così, e hanno ragione. Dedicano convegni, ritrovi, leggi. Ma devono stare attenti, i predicatori del “viva la famiglia”. Perché l’idea che oggi è in voga di famiglia è indifendibile. E fatalmente destinata a tramontare. La famiglia è importante. Lo si vede anche dai guai che provoca, o dalle fatiche che genera. Se non fosse importante, chissenefrega. Invece, si torna sempre lì, nel bene, nel male. Lo sapeva pure Marx che indicava nella famiglia l’icona della Sacra Famiglia da abbattere per costruire la sua società degli eguali – con quali risultati, s’è visto.
Siamo fatti per la tribù. Nessuna famiglia può davvero essere viva e luogo di vita se non sta dentro una tribù. Chiamate la tribù come vi pare – clan parentale, comunità, fraternità eccetera. Invece l’hanno ridotta a una monade, a una specie di organismo a se stante, che dovrebbe reggere gli urti della vita e del tempo restando sospesa al millesimo piano di un condominio di estranei, o sperduta in un reticolo di strade, in una composizione che ormai è cristallizzata: lui, lei, un figlio (se va bene), un cane, le fette biscottate del Mulino Bianco. Un organismo mostruoso. Una specie di liofilizzato “Buddenbrock” (la famiglia borghese del romanzo di Thomas Mann). È naturale che prima o poi lui morda lei o il cane morda lui o il figlio o la figlia si sfoghino sulle fette biscottate. In crisi c’è questo modello mostruoso di famiglia. La famiglia borghese, autosufficiente, monade, autofondata, e isolata. Preda di ogni moda e di ogni “riflesso pavloviano” indotto dai media e dal potere dominante. Quale ragazzo o ragazza sana di mente e di corpo potrebbe avere come ideale di andare a infilarsi in questo cubicolo asfittico? E infatti lo evitano come la peste. Magari a parole lo amano, se ne hanno avuto qualche resto di esperienza positiva. Ma via, alla larga. Vogliono aria, preferiscono la famiglia “allargata” a cui la tv di Stato continua a dedicare fiction carucce e astute. Allargata “male” con seconde mogli, figliastri eccetera ma pur sempre ombra e simulacro di quella che era la famiglia tribù, un organismo vasto dove stavano non solo zii rincoglioniti e nonni a traino, ma anche parenti vari, consanguinei di vario grado. E dove l’amicizia di una tribù collaborava a dare sostegno, ad alleviare, stemperare, consolare, accudire.
Non che manchino esperienze di questo genere. Credo che le famiglie che reggono lo debbono tutte a una sorta di appartenenza a una tribù. Se si richiama il valore della famiglia ma non si richiama il necessario legame con una tribù, si fa del danno. Ovviamente non sto mettendo in discussione il fondamento teologico della famiglia. Non sono né teologo né sposo e padre perfetto. Anzi. Ma ho gli occhi e il cuore. Vedo che le molte asfissie che schiantano molte famiglie dipendono dalla loro solitudine – e intendo la solitudine dei singoli, che non appartengono più a nulla se non a quel microorganismo il quale se non vive dell’aria e delle tempeste del mare, non può che essiccarsi. Ci sono naturalmente delle eccezioni – il mondo è bello per le sue continue eccezioni, no? Capita di vedere famiglie che paiono così concentrate su se stesse da escludere quasi il mondo. Ma il più delle volte si tratta di persone che hanno per così dire a tal punto interiorizzato una dimensione di tribù che grazie ad essa “sopportano” e anzi si gustano la vita familiare. Capita ad esempio nel caso di imprenditori molto dediti alla tribù delle loro aziende, o a professionisti molto esposti nel servire con il loro lavoro una comunità reale. Viva la famiglia, dunque. Se c’è la tribù.