Missionarietà e dialogo, di mons. Luigi Padovese [Il supermarket e il buffet del religioso come problema e come opportunità]
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Riprendiamo sul nostro testo alcuni passaggi di una conferenza di mons. Luigi Padovese, ucciso in Turchia il 3 giugno 2010, e pubblicata da “Missionari Cappuccini”, Milano, 56/2 (aprile-giugno 2018), pp. 62-64. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Cristianesimo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (19/5/2019)
“È giusto ritenere uno Colui che tutti adorano... Cosa interessa sapere, con quale riflessione ciascuno ricerca il vero? Per una sola strada non si può giungere a cogliere un così gran mistero”: con queste parole, nel 384, il prefetto pagano di Roma Simmaco, cugino d’Ambrogio [Sant’Ambrogio], chiedeva all’imperatore Valentiniano II che venisse reintrodotto l’altare della Vittoria nel Senato della città.
Queste espressioni di Simmaco ai nostri giorni troverebbero il consenso di molti per i quali le credenze religiose si equivalgono nella ricerca dell’Assoluto. Alla base di questo sentire odierno si coglie la realtà di un pluralismo o ‘mercato religioso’ e il disagio dell’uomo moderno dinanzi a sistemi che pretendono di dare risposte diverse ma totalizzanti circa Dio, mondo, esistenza.
Veramente ci troviamo in un labirinto di offerte di senso e di salvezza, le più differenti tra loro, non differentemente da quanto avveniva nella Chiesa precostantiniana. Nel futuro quest’orientamento sembra destinato ad accrescersi, poiché l’amplificazione dei mezzi di comunicazione audio-visuale sta facendo emergere un ‘supermarket’ o un ‘buffet’ del religioso che propone a dei consumatori sempre più numerosi i prodotti di religioni diverse, di credenze, di pratiche, di sette da cui attingere e il cui criterio di verità è la sperimentazione. D’altra parte, il vistoso fenomeno dell’immigrazione musulmana (oltre 14 milioni in Europa) e l’accresciuta mobilità creata dal turismo mette a contatto con altre espressioni religiose sciogliendo l’amalgama, tipico della nostra gente, tra religiosità popolare e cattolicesimo o tra fede in Dio e cristianesimo come unica strada di accesso al soprannaturale.
Tutto ciò induce a relativizzare l’idea di una ‘vera religione’ o insinua il dubbio circa l’esistenza di una verità assoluta. Se poi, il più delle volte, non si rinuncia in modo esplicito alla propria identità religiosa, le ragioni possono essere di ordine emozionale o etico o culturale o comunitario, senza che questo comporti però una scelta sufficientemente riflessa della fede ricevuta.
Si pensi, ad es., alla strumentalizzazione del cristianesimo in difesa delle identità etniche e culturali. Accanto e spesso in connessione a questo fenomeno del pluralismo ne troviamo altri due: quello del fondamentalismo e quello dell’indifferentismo.
Il primo rappresenta una risposta allo spirito globalizzante contro il quale si fa valere una tradizione difesa in modo esclusivo. Quantunque i fondamentalisti – a qualsiasi ideologia o religione appartengano – si servono delle nuove tecniche della globalizzazione, essi rifiutano il dialogo in un mondo la cui sopravvivenza dipende proprio dal dialogo, ma denunciano e reagiscono al tempo stesso ad un disagio reale: come è possibile vivere in un mondo dove tutto è relativo?
II fenomeno dell’indifferentismo talora proviene da un senso di sfiducia nelle religioni, viste come serbatoi di nazionalismi, fanatismi e comunque praticamente incapaci di risolvere i drammi dell’umanità, ma più comunemente è frutto della società dei consumi che ammanta di carattere religioso beni e prestazioni, trasformando i più profondi desideri del cuore in bisogni che si possono saziare con della merce. È una visione riduttiva che limita e confonde quanto veramente serve alla vita con quanto l’industria offre.
Dinanzi a questa situazione non meraviglia che in taluni si sviluppi l’impressione di una progressiva scristianizzazione dell’Europa. “Ho il timore che Dio lasci andare in rovina la Chiesa nei nostri territori a causa dei costumi depravati e delle nuove dottrine che si vanno affermando. Allo stato attuale delle cose penso che tra 100 anni della Chiesa in Europa non rimarrà nulla o assai poco”. Forse non saremmo del tutto d’accordo con quest’analisi pessimistica di San Vincenzo de Paoli che risale al lontano 1646 e che si può definire la ‘sindrome nord africana’, ossia quell’insieme di sintomi che lascia presagire la fine del cristianesimo, com’è avvenuto per le regioni del nord dell’Africa dove la Chiesa nell’antichità era fiorente.
Ancora Vincenzo de Paoli osserva che Gesù ha promesso di rimanere sempre con la sua Chiesa, ma non ha precisato che questa debba essere sempre in Francia, Spagna, ecc. Del resto – aggiunge – basta guardare alla Terra Santa.
Certo è un fatto che i fenomeni sopra registrati possono indurre ad un senso di scoraggiamento e di rassegnazione. Quanto desta perplessità è la concorrenzialità di valori e di scelte che il fenomeno della globalizzazione introduce. E se è vero che ciò comporta la possibilità di scelte sbagliate, è anche vero che questo stato costituisce la condizione migliore per la maturazione degli individui chiamati a scelte sempre più responsabili.
Com’è stato rilevato “la molteplicità dei valori, da sola, non garantisce che gli io morali cresceranno e matureranno, ma senza quella molteplicità le probabilità che ciò avvenga sono poche”. Da questo punto di vista il pluralismo religioso e culturale può essere un kairòs, ossia un momento di grazia, perché spinge ad una più cosciente presa d’identità e di autochiarificazione e richiede di giustificare incessantemente le nostre convinzioni sia verso noi stessi (necessità psicologica) che verso gli altri (necessità apologetica), proprio come avvenne nel mondo antico dove il cristianesimo è cresciuto.
Non è forse vero che la Chiesa ha preso coscienza del suo depositum fidei attraverso il confronto con i non cristiani e spesso attraverso le eresie? Il pluralismo religioso non è una minaccia per l’azione pastorale, ma il luogo in cui questa va esplicitata. Del resto la ruota della storia non si può né fermare né far ruotare all’indietro. È in quanto ci si confronta con altri che si diviene coscienti della propria identità e tradizione, ma anche delle proprie incoerenze.
Al riguardo potremmo affermare che la funzione di chi non crede è apologetica in quanto difende Cristo dai ‘falsi cristiani’. Per questo – come ci ricorda la Evangelii Nuntiandi 15 – l’evangelizzazione inizia sempre con l’autoevangelizzazione.