Il tophet/tofet fenicio da Mozia a Cartagine, luogo rituale per la sepoltura delle vittime sacrificali. Gli studi antropologici e archeologici recenti confermano l’antica prospettiva, dopo periodi nella quale essa era stata invece sottoposta a revisione, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. le sezioni I luoghi della Bibbia e Storia del Vicino Oriente antico.
Il Centro culturale Gli scritti (19/5/2019)
Il tofet di Nora
Gli studi della Sapienza di Roma (con gli scavi di Mozia e i lavori di Antonia Ciasca) e gli interventi di diversi specialisti, a partire dalla H. Bénichou-Safarda fino a Sabatino Moscati e ai più recenti Piero Bartoloni, Bruno D’Andrea, Stefano Franchini e altri[1], hanno inteso reagire ad una visione del tophet troppo dipendente dagli scritti veterotestamentari – come è noto lo stesso termine è tratto dagli scritti biblici[2].
Ciò su cui non vi è dubbio è che il tophet è un luogo di culto centrato sulla presenza di urne cinerarie di bambini frammiste ad ossa di sacrifici animali, segnalate in superfici da steli.
La preoccupazione degli studi segnalati è stata quella di liberare la visione del tophet, come luogo di sepoltura di bambini in alcuni siti fenici soprattutto di area occidentale, da una lettura che intendesse esaltare il culto israelitico come superiore a quello punico, proprio in quanto quest’ultimo comprendeva anche la possibilità del sacrificio umano.
Si è venuta così elaborando un modello interpretativo che ha proposto che il tofet fosse semplicemente una necropoli infantile, ipotizzando un diverso rituale di sepoltura per adulti e per infanti morti precocemente.
Con tale interpretazione si riteneva di poter sfuggire ad una lettura “moralistica”, certamente presente in molte delle fonti antiche, che tendeva a “demonizzare” come crudeli le modalità di vita dei fenici, quasi che essi fossero un popolo con usi radicalmente diversi da quelli dalle culture circostanti.
Ma, con tale ipotesi, ancora una volta si è voluto utilizzare criteri moderni che prescindono dal reale senso sacrificale che i popoli antichi vivevano, quasi a voler preservare, altrettanto ideologicamente, i fenici da modalità che sconcertano il contemporaneo.
Gli studi di Paolo Xella[3] dimostrano, invece, pur con le zone d’ombra che ogni ricerca archeologica e antropologica sull’antichità comporta, che la tesi interpretativa del tophet come necropoli per i bambini non regge alla critica storica seria e che bisogna comprendere quel luogo sacro come luogo di sepoltura di vere e proprie vittime sacrificali umane. Solo uno studio libero da scrupoli moralistici può avvicinarsi a ciò che sembra aberrante agli occhi moderni, troppo ideologicamente condizionati, e precisamente all’idea del sacrifico antico come rito di pietà e di retta religione.
Tutte le fonti antiche rinviano al fatto che il riferimento del culto praticato nel tophet fosse innanzitutto Baal Hammon con la sua paredra (compagna) Tinnit/Tanit- dove nelle fonti letterarie Baal Hammon diviene anche Kronos e Saturno, per le equivalenze note.
Le vittime offerte a Baal Hammon sono individuate nelle fonti letterari come bambini, ragazzi, figli (e ciò coerentemente con i resti rinvenuti in archeologia). La combustione sembra essere non tanto la forma sacrificale stessa, che è invece piuttosto quella dello sgozzamento, quanto quella della “trasformazione” della vittima che sale alla divinità quando viene bruciata, una volta già morta.
Dalle fonti letterarie sembra ipotizzabile, senza una reale opposizione fra le due forme, che siano esistiti sia sacrifici “statali”, “cittadini”, celebrati a nome dell’intera comunità, sia sacrifici più strettamente legati a contesti familiari.
Il rito dell’offerta di vittime sacrificali umane e in specie di figli, sembra essere rimasto in uso in Cartagine stessa, fino al momento della sua distruzione.
Il fatto che il tophet sia semplicemente un luogo rituale per le sepolture infantili, in quanto distinte dagli adulti, viene smentito da una semplice analisi del dato archeologico. Innanzitutto nelle necropoli puniche vere e proprie sono sepolti infanti, sia bambini che ragazzi, e, quindi, tali sepolture avvenivano negli stessi luoghi degli adulti e non richiedevano generalmente un sito apposito[4].
Ma, soprattutto, da un’analisi quantitativa dei resti umani presenti, si può ipotizzate che nel tophet delle diverse città fenicie venissero sepolti circa 1 o 2 bambini all’anno e questo impedisce di pensare quel luogo come una necropoli per bambini, data l’altissima mortalità infantile dell’epoca. Il piccolo numero di sepolture presenti nel tophet indica che lì venivano sepolti categorie particolarissime di bambini e ragazzi.
Si deve, poi, ancor più considerare che nelle iscrizioni presenti sulle steli che sovrastano le urne cinerarie vi è esplicito riferimento alle divinità, con una terminologia che è assolutamente simile a quella degli altari dove venivano sacrificate vittime animali. A Mozia si legge, ad esempio: “Al signore Baal Hammon, questa è la stele che ha dedicato x y”, oppure “Al signore Baal Hammon, questo è il dono che ha dedicato x y”. Spesso si legge anche una frase ulteriore: “Poiché Baal Hammon ha ascoltato le richieste di x y”.
Veduta aerea di Mozia
Il tofet di Mozia (al tempo dello scavo)
Il contesto dell’epoca lascia ritenere che effettivamente la ritualità punica – non dissimilmente da altre culture del tempo – non si limitasse ad offrire alle divinità sacrifici animali, bensì, spingendo all’estremo quella che è la logica sacrificale stessa del tempo, offrisse anche, sebbene ovviamente più raramente, anche vittime umane – bambini ma anche nemici. Questo doveva avvenire non solo in occasione di pericoli imminenti, come una guerra, ma anche in periodi di pace, proprio perché l’idea era quella che le divinità tanto più tenessero lontani i pericoli quanto più prezioso e ricco era il sacrificio offerto loro dall’intera città o da una singola famiglia.
Se ci si libera da preoccupazioni moralistiche tipiche dell’età moderna, ci si accorge che sono così tali e tante le fonti letterarie che attestano tale prassi sacrificale presso i fenici, da non esservi dubbio sul ruolo svolto dal tofet, poiché nessun dato archeologico è in contrasto con tali fonti.
Il tofet di Tharros
Il tofet di Cartagine
Note al testo
[1] Cfr. B. D’Andrea, Bambini nel ‘limbo’. Dati e proposte interpretative sui tofet fenici e punici, Roma, Collection dell’Ecole Française de Rome, 55, 2018; S. Franchini, Moloch e i bambini del re. Il sacrificio dei figli nella Bibbia, Roma, Studium, 2016, P. Xella, Per un ‘modello interpretativo’ del tofet. Il tofet come necropoli infantile?, in G. Bartoloni – P. Matthiae – L. Nigro – L. Romano (ed.), Tiro, Cartagine, Lixus: nuove acquisizioni. Atti Conv. Intern. in onore di Maria Giulia Amadasi Guzzo (Quad. Vicino Oriente, IV), Roma 2010, pp. 259-279. Cfr. anche la recensione ai volumi di D’Andrea e Franchini di P. Bartoloni, Bambini fenici nel Tofet, in “Vicino Oriente” 22 (2018), pp. 141-147.
[2] Non si dimentichi che gli studi moderni affermano a ragione che quelli che nelle fonti bibliche sono definiti come “cananei” sono semplicemente i fenici della zona. Usi, costumi e divinità dei cananei appaiono identici a quelli dei fenici conosciuti altrove nel Mediterraneo.
[3] Cfr. P. Xella, Sacrifici di bambini nel mondo fenicio e punico nelle testimonianze in lingua greca e latina – I, in “Studi Epigrafici e Linguistici sul Vicino Oriente antico” 26 (2009), pp. 59-100.
[4] Su quanto segue, cfr. P. Xella, Per un ‘modello interpretativo’ del tofet. Il tofet come necropoli infantile?, in G. Bartoloni – P. Matthiae – L. Nigro – L. Romano (ed.), Tiro, Cartagine, Lixus: nuove acquisizioni. Atti Conv. Intern. in onore di Maria Giulia Amadasi Guzzo (Quad. Vicino Oriente, IV), Roma 2010, pp. 259-279.