Appunti dalla Russia 9/ La Galleria Tretyakov e le icone di Andrej Rublëv, di Teofane il Greco e degli altri, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /05 /2019 - 01:58 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione  Chiese ortodosse.

Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2019)

N.B. Per alcune osservazioni di questo testo sulla Galleria Tretyakov sono grato alla prof. Michelina Tenace e alle sue sapienti parole

Perché visitare le icone della Galleria Tretyakov, se tutto si potesse spiegare con le parole? Visitare il più famoso Museo di Mosca ha senso per questo, per scoprire che le parole non bastano e che servono gli sguardi e il silenzio. Altrimenti si farebbe meglio ad impiegare il proprio tempo altrove.

“Tu veux que je te fasse un dessin?” (Vuoi che ti faccia un disegno?) è l’espressione che si usa in francese per dire che qualcuno è stupido e non sta capendo ciò che gli si sta spiegando. Disegnare e fare immagini è qui utilizzato come espressione di qualcosa di poco importante e significativo. L’espressione ha come sottofondo l’idea che ciò che contano sono le parole e le spiegazioni: solo se qualcuno non riesce a capire con le parole, allora bisogna ricorrere ad un banale disegnino, adatto per gli stupidi!

Con l’icona non è così. L’immagine parla, mostra ben più che le parole. Non si tratta di parlare del Cristo, bisogna vederlo, bisogna esserne affascinati, bisogna incontrare il suo sguardo. Non solo bisogna: prima ancora l’icona annuncia che ciò è possibile.

L’icona provoca il mondo occidentale che cerca di spiegare tutto con le parole. Se un innamorato regala una rosa all’amata non deve spiegare cosa significa quel fiore. Se lo spiegasse, tutto si perderebbe. D’altro canto non basta che la regali. Esiste un rituale per questo. Se l’avesse rubata dal giardino del vicino, un secondo prima di incontrare l’innamorata, quel segno perderebbe di significato.

L’oriente, tramite le icone, mostra, da un lato, come è fatto il cuore rumano e, dall’altro, cosa sia il cristianesimo. In Russia sarebbe fuori luogo l’espressione francese: “Tu veux que je te fasse un dessin?”.

Si direbbe piuttosto, per indicare che si ha dinanzi una mente povera e incapace: “Vuoi che ti spieghi l’immagine?”.

Visitare la Galleria Tretyakov vuol dire provare a fare l’esperienza della bellezza della fede, senza dare il primato alle spiegazioni.

Si noti bene subito. Non che le spiegazioni non servano. Tanto è vero che questa è una spiegazione. E che i professori che insegnano l’oriente cristiano spendono fiumi di parole per spiegare le icone e scrivono libri di esse.

Il problema è che la spiegazione non può bastare. Dinanzi ad un’icona bisogna poi fermarsi in silenzio e contemplarla. Bisogna poi dire una preghiera. Non basta spiegare che quella è una determinata immagine della Madre di Dio, ma bisogna amare la Madre di Dio, la Panaghia. Bisogna dire l’Ave Maria prima di allontanarsi dalla sua icona.

Dinanzi all’icona si presenta a noi il dramma della critica d’arte occidentale che ha ridotto l’arte a spiegazione, a critica che utilizza retroscena sessuali e politici per parlare di un’opera, perché non è più in grado di lasciarla parlare.

Il Cristo di Andrej Rublëv

Foto Francesco Indelicato

Valga per tutte le altre icone il Cristo di Andrei Rublëv presente alla Tretyakov. L’icona con il volto di Gesù faceva parte di una Deesis. Deesis (o Intercessione) è il secondo registro dell’iconostasi di una chiesa d’oriente, nella quale tutti i santi rappresentati sono rivolti verso Cristo ad intercedere presso di lui. Al fianco ci sono sempre, per primi, la Madre di Dio a sinistra e San Giovanni Battista a destra e poi a seguire gli altri.

La Deesis della quale faceva parte l’icona del Cristo di Rublëv  doveva essere composta di almeno sette icone. Era stata dipinta per la Cattedrale della Dormizione di Gorodok “sulla collina”, nella città di Zvenigorod (da cui il nome di Deesis di Zvenigorod. Nella  Tretyakov sono conservate, di quella Deesis, anche le icone dell’Arcangelo Michele e dell’apostolo Paolo.

Contemplare l’icona e non semplicemente spiegarla, vale quanto mai dinanzi a quella con il volto del Cristo. Non si tratta di spiegarlo. Si tratta di guardarlo e di esserne guardati.

La Deesis

Il registro della Deesis è il secondo a partire dal basso nell’iconostasi e presenta icone slanciate. Tutti gli sguardi si fissano sul Cristo che è al centro. Tutti gli sguardi dei santi ai suoi lati convergano verso di lui. Sempre si rivolgono a lui per la salvezza del mondo e attirano tutti nella loro intercessione. L’intera liturgia che si svolge in terra è come attratta da quella preghiera che si svolge in eterno.

Oltre alle tre icone della Deesis di Zvenigorod, la Galleria Tretyakov presenta una Deesis più completa, con il Cristo, la Vergine e il Battista e due arcangeli, della Cattedrale della Dormizione della Santissima Madre di Dio di Vladimir.

Anche queste icone sono attribuite a Rublëv o, comunque, alla sua scuola.

I “misteri” nelle icone delle feste

A fianco della Deesis di Zvenigorod stanno alcune icone del terzo registro dell’iconostasi, quello che è dedicato alle feste. Le feste – quasi sempre in numero di 12 – presentano la storia di Gesù così come viene presentata dall’anno liturgico. L’anno liturgico è forse la più grande creazione della Chiesa, è un’opera d’arte vivente, ben più grande della Sistina o dei cicli caravaggeschi, come delle stesse icone che ne dipendono. La tradizione della Chiesa ha imparato, guidata dallo Spirito, a presentare Gesù non a partire da un solo vangelo, ma dai suoi “misteri”, cioè dagli eventi più importanti della sua vita, ognuno di essi capace di manifestare la presenza del Padre in lui. Da qui il termine “misteri”, cioè avvenimenti rivelativi della presenza di Dio che sarebbero rimasti “segreti” se Cristo non li avesse rivelati. Il termine “misteri” dice non solo che l’amore di Dio non sarebbe stato conosciuto se Cristo non fosse nato, dice anche che quegli eventi agiscono e trasformano i cuori trasformandosi in feste e sacramenti della Chiesa: “misteri” sono chiamate anche le celebrazioni stesse.

Quella dei “misteri”, quella delle dodici feste, è la cristologia della Chiesa: solo essa fa entrare in comunione con il vero Gesù, mentre ogni altra interpretazione delle Scritture risulta parziale e imprecisa e, alla fin fine, assolutamente inefficace nel trasformare la vita. Si conosce e si ama Gesù contemplando quei dodici momenti decisivi della su avita.

Nella Tretyakov sono presenti solo 3 dei 12 misteri dipinti da Rublëv e Danil – o, come altrove, dalla loro scuola. Appartenevano all’iconostasi della Cattedrale della Dormizione della Santissima Madre di Dio di Vladimir e sono le icone con i “misteri” dell’Annunciazione, della Discesa agli inferi e dell’Ascensione, dipinte probabilmente nel 1408.

La Trinità di Rublëv

Foto Franceso Indelicato

La Trinità di Rublëv fa invece parte del primo registro, il registro più basso dell’iconostasi, quello nel quale le icone possono essere baciate.

L’oriente ha elaborato un suo “ordine” nella disposizione delle icone, proprio perché esse non sono semplicemente oggetti singoli, ma rivelano l’unità di cui fanno parte, insegnando agli uomini il senso dell’intero universo e dell’intera storia. Anche in occidente ciò avveniva ancora fino al medioevo, ma in una chiesa moderna spesso tale visione d’insieme è stata assolutamente persa. Ci sono singole statue e immagini, senza un ordine preciso che indirizzi a cogliere un senso di insieme armonico.

Nelle chiese d’oriente, sempre, a destra delle Porte regali, la porta cioè dalla quale entra ed esce il sacerdote, sta sempre Cristo. Cristo e solo lui. Nella liturgia si incontra il Cristo e il suo amore ed egli è lì, nel suo posto, il primo.

Alla sinistra, invece, sta la Vergine Maria, sempre e solo lei. Perché è tramite lei che il Signore ha preso la natura umana e si è fatto carne. Cristo a destra e la Madre di Dio a sinistra. In mezzo le Porte regali che permettono a tutti di accogliere dal sacerdote il dono del Cristo presente nel pane eucaristico al momento della comunione.

La seconda icona  destra, dopo quella del Cristo, è invece sempre quella del “mistero” o del santo a cui la Chiesa è dedicata.

Ecco perché la Trinità di Andrei Rublëv (1425-1427) era l’icona che seguiva a destra quella del Cristo, nella Cattedrale della Trinità nel Monastero (Lavra) della Trinità e di San Sergio di Radonež. Essendo la chiesa dedicata alla Trinità, subito a destra dell’icona del Cristo, si trova l’icona del Dio trino ed unico.

La Trinità di Rublëv venne depredata dai comunisti nel 1918 e trasferita poi alla Tretyakov, mentre nella Cattedrale della Trinità a Sergev Posad è stata sostituita da una nuova icona dipinta sul modello di Rublëv. L’intero monastero venne trasformato in Museo dell’ateismo. Il grande matematico e teologo Pavel Florenskij in un lancinante testo intitolato Il rito ortodosso come sintesi delle arti descrive in modo ciò che si andava preparando negli anni 1918-19, con la chiusura forzata del monastero di San Sergio e la sua trasformazione in Museo, opponendosi al regime che lo voleva incaricare di tale operazione (il testo è on-line su Gli scritti: Pavel Florenskij, Il rito ortodosso come sintesi delle arti).

Ancora una volta vale la pena soffermarsi dinanzi all’icona per contemplarla, dopo averla spiegata, per quanto possibile in questo breve testo. Rublëv spinge all’estremo la capacità dell’icona di mostrare la trascendenza di Dio e ciò anche in questa che è la sua opera più famosa, appunto la Trinità.

Innanzitutto bisogna sottolineare che ogni volta che la Chiesa in oriente – ma anche in occidente – ha voluto raffigurare la Trinità non lo ha fatto con la pretesa di rappresentarlo in sé stesso, bensì a partire dalla sua rivelazione con la quale Egli ha mostrato di voler venire incontro all’uomo.

Rublëv riprende una delle modalità più utilizzata per rappresentare la Trinità a partire dall’episodio della Genesi nel quale tre angeli - che poi si rivelano essere un solo angelo ed, infine, il Signore stesso - si presentano ad Abramo. In quella visita veterotestamentaria la Chiesa ha sempre letto una prefigurazione di quanto che si sarebbe compiuto con l’incarnazione: Dio desidera venire in mezzo agli uomini.

Nelle icone della Trinità, insieme alle tre persone divine nascoste nei tre angeli, sono spesso raffigurati anche Abramo e Sara che preparano il banchetto per i tre ospiti, con la carne che viene imbandita per loro. Nella Trinità di Rublëv scompaiono i due patriarchi, ma, soprattutto, l’agnello che è al centro della mensa nella coppa non rappresenta assolutamente un qualcosa che viene offerto a Dio, bensì è il segno della consegna che il Figlio fa di se stesso, è il segno che è Cristo il vero agnello.

Delle tre persone divine rappresentate come angeli, il Figlio è quella al centro dell’icona, vestito con una veste di colore azzurro alla quale si sovrappone il rosso. L’azzurro rappresenta la natura divina alla quale si sovrappone il rosso che rappresenta la carne, assunta con l’incarnazione.

Le mani del Figlio sull’agnello sacrificato indicano il suo assenso al disegno d’amore del Padre: il Figlio offrirà se stesso per amore degli uomini. Il Padre è a sinistra e l’azzurro della sua divinità traspare, senza la presenza del colore rosso dell’incarnazione, ma tutto è circonfuso dal colore oro. Lo Spirito Santo, invece, è a destra e l’azzurro della sua veste si unisce al verde: Egli, nel Battesimo, condurrà al Figlio e al Padre tutti i credenti.

Il Figlio e lo Spirito guardano entrambi al Padre. Il Padre è l’origine di tutto. Egli genera il Figlio e “spira” lo Spirito.

Sembra che Rublëv abbia voluto inserire nell’icona anche un marcato simbolismo del calice, cioè della coppa dell’offerta. Essa si vede come forma che struttura le tre figure dall’esterno, ma anche dall’interno. La Trinità è per noi uomini un calice nel quale ci viene offerta, nel sacrificio d’amore del Figlio unito al Padre nello Spirito, la salvezza.

La Chiesa russa ha canonizzato Rublëv, dichiarandolo santo nel 1988.

La Trasfigurazione di Teofane il Greco

Poiché doveva rappresentare la materia trasfigurata, la Trasfigurazione era una delle icone che solo un pittore maturo poteva – e può – dipingere.

Nella Galleria Tretyakov è custodita quella della cerchia di Teofane il Greco, dipinta agli inizi del XV secolo (1403 ?). Essa si trovava  fino al 1923 presso la Cattedrale del Salvatore e della Trasfigurazione di Pereslavl-Zalessky e venne anch’essa trafugata dal regime comunista per finire alla Tretyakov.

Il compito di questa icona è quello di rappresentare l’evento della Trasfigurazione. Nella carne umana di Gesù, di fatto, risplende la luce di Dio. È la novità cristiana. Altri possono riferirsi ad una luce divina, ma che non si manifesta in una creatura umana, oppure possono affezionarsi ad una creatura umana, senza però scorgere in essa la presenza di Dio.

Nel Cristo trasfigurato la carne diviene trasparenza di Dio. Non smette di essere carne, è proprio la carne di un uomo, la carne quotidiana, il vissuto feriale e storico, eppure ora lì abita la pienezza della divinità.

L’icona deve rappresentare ciò che è avvenuto nella storia. Ciò che ha trasformato la storia stessa, perché da quel momento, attraverso lo Spirito, anche nell’uomo può trasparire la luce divina. Come è già avvenuto nella Madre di Dio.

Teofane raffigura tutto questo, riprendendo la traduzione iconografica di tale icona, mostrando come l’uomo, proprio dinanzi a Cristo, riesca a vedere la luce di Dio. Ma, al contempo, è Dio che guarda l’uomo e lo ama attraverso l’umanità del suo Figlio.

Nell’icona di Pereslavl-Zalessky, Gesù Cristo è come inserito in una sfera che è la luce del sole: la luce del Figlio è più luminosa della luce del sole stesso: due movimenti di luce vanno dagli uomini a Dio, tramite il Figlio, e da Dio agli uomini, sempre tramite il Figlio. L’uomo vede il volto di Dio e Dio vede l’uomo nel suo Figlio.

La Vergine di Vladimir o Madonna della tenerezza

L’arte, per certi aspetti, è sempre sacra, se è vera arte, perché apre lo sguardo dell’uomo a qualcosa che non è possibile vedere con occhi puramente naturali. Non è illegittimo, però, parlare di un arte religiosa, intendendo con questo un’arte che raffigura soggetti religiosi.

Ma, se si intende parlare con precisione di “arte sacra”, bisogna riferirsi a quell’arte che è pensata per un luogo ove si celebra la liturgia e perché i fedeli che si radunano in quel luogo possano pregare comunitariamente attraverso di essa.

Tale è l’icona: essa pensata per un luogo liturgico e per una precisa collocazione in esso. Pensata per essere incensata e perché i fedeli vi accendano lumi dinanzi. Pensata perché la comunità preghi dinanzi ad essa e celebri i santi Misteri proprio attraverso quell’immagine.

L’icona appartiene all’arte sacra in questo senso stretto, anzi strettissimo, e insieme larghissimo, proprio perché sottrae l’arte alla fruizione di soli intellettuali o intenditori, per offrirla a chiunque si rechi gratuitamente e liberalmente in quel luogo liturgico per una festa.

Si noti bene che tale è anche il senso delle opere di qualsiasi pittore italiano che abbia lavorato per una chiesa. Solo per fare un esempio, le opere di Caravaggio nella Cappella Contarelli o nella Cappella Cerasi sono “arte sacra” in senso stretto perché pensate per essere guardate durante la celebrazione della liturgia. Assolutamente unico è, ad esempio, il caso della Cerasi, nella quale Caravaggio dipinge San Pietro che, mentre viene crocifisso, volge il suo capo all’indietro per assistere, per l’ultima volta in terra, alla celebrazione eucaristica e “vedere” ancora con i proprio occhi nel sacramento quel Signore che aveva visto con i suoi occhi in Galilea e Giudea (cfr. su questo Punti di vista: il san Pietro crocifisso di Michelangelo e Caravaggio, i laici, il clero e l'eucarestia, di Andrea Lonardo e Cappella Paolina. Quell’ultimo sguardo rivolto all’Eucaristia. Nell’affresco di Michelangelo, gli occhi di Pietro prima del martirio sono puntati verso l’altare. Un’idea fatta propria anche da Caravaggio, di Andrea Lonardo).

Da questo punto di vista si vede come la Galleria Tretyakov sia una contraddizione in termini. In essa le icone sono sottratte alla preghiera e alla celebrazione. Le icone furono sottratte all’utilizzo liturgico che è loro proprio vuoi perché acquistate dallo stesso collezionista Tretyakov, vuoi perché depredate dal regime comunista alle chiese, in particolare con la sottrazione di quelle che erano – e sono – le più venerate dal popolo.

Il caso più emblematico è quello della Madonna[1] di Vladimir, l’icona della Madre di Dio che rappresenta la Russia stessa e, in particolare, Mosca.

Essa è antichissima - forse la più antica esistente in Russia - e proviene probabilmente da Costantinopoli. Giunse a Kiev - il luogo di “origine” della Russia - nel 1130. Nel 1155 venne trasferita da Kiev a Vladimir. Quando nel 1395 i Tartari musulmani, agli ordini di Tamerlano, dopo aver saccheggiato, depredato, stuprato, condotto schiavi e fatto strage di civili in numerosissime città russe, si avvicinarono a Mosca, il metropolita chiese che venisse trasportata da Vladimir a Mosca perché la si invocasse a difesa del terribile invasore.

Sono gli anni della presenza di Rublëv che fu testimone delle orribili violenze perpetrate dai tartari, come narra Tarkovskij nel film Andrei Rublëv.

Una Cronaca racconta che l’icona giunse a Mosca il 26 agosto 1395, sostando dove sorge ora il monastero Sretensky (della Presentazione). Secondo quel racconto quella notte Tamerlano vide apparire la Vergine ed, atterrito, decise di non attaccare la città.

Ciò che è certo è che i Tartari giunti a Mosca non la assediarono, ma si ritirarono da essa. I tartari si presentarono una seconda volta alle porte di Mosca nel 1480, guidato questa volta dal khan Akhmat e anche questa volta la Madonna venne invocata: i Tartari vennero definitivamente sconfitti e si allontanò il pericolo tartaro dalla Russia.

Da allora l’icona, ancor più amata, venne venerata nella Cattedrale della Dormizione del Cremlino, finché nel 1918 venne sottratta dai comunisti, sottoposta a restauri condotti dal Grabar e mai più lì riportata, anche perché quella Cattedrale era stata nel frattempo sconsacrata dal regime. Venne così a finire nella Galleria Tretyakov.

Caduto il comunismo, il popolo iniziò a reclamare l’icona, tale è il legame che la nazione ha con essa. Infine, lo Stato decise per una soluzione intermedia. Essa fu posta nel 1999 in San Nicola in Tolmachi, una chiesa che è annessa alla Galleria Tretyakov, di modo che dalla Galleria stessa si può passare alla Chiesa: l’icona non è così più conservata in una delle sale, bensì in un luogo dove si prega e si prega proprio dinanzi ad essa.

Entrando in San Nicola in Tolmechi appare evidente la venerazione che i moscoviti attribuiscono alla Madonna di Vladimir. Tantissimi entrano a pregare dinanzi ad essa, sebbene essa sia comunque custodita in una teca.

Il fatto che le icone siano ritenute giustamente non quadri, ma oggetti liturgici, è evidente dal fatto che numerose visitatrici russe dinanzi alle icone della Tretyakov si velano il capo e compiono segni di croce dinanzi a quelle che sono per loro più significative. Raramente si vede in Italia un cristiano pregare in un museo dinanzi alle tavole dipinte o alle tele, ma così potrebbe avvenire tranquillamente anche da noi.

L’espressione Madonna della tenerezza non fa riferimento alla tenerezza della Madonna verso il suo Bambino, quanto alla tenerezza di Dio che, tramite Maria, offre a noi il suo Figlio per amore. La Madonna, a sua volta, comprende la tenerezza di Dio e del Figlio suo e l’attesta e la riflette nella sua persona.

Sul retro della Madonna di Vladimir è dipinta l’Etimasia, cioè la croce come oggetto posto in trono a motivo del trionfo di Cristo.

Come si è già detto, nella Cattedrale della Dormizione del Cremlino è ora venerata una copia cinquecentesca della Madonna di Vladimir, più piccola dell’originale.

Per un commento più dettagliato a queste icone, come a quella della Vergine orante o grande Panaghia di Yaroslav, sottratta dal regime comunista nel 1919 al Monastero Spassky (del Salvatore), di Yaroslav, insieme ad accenni a quella della Paternità dei primi del XV secolo, con la questione della rappresentazione di Dio stesso e della Trinità, cfr il file audio Michelina Tenace Galleria Tretyakov icone Madonna orante, Trasfigurazione, Trinità, Madonna Vladimir sul canale Soundcloud de Gli scritti.

Note al testo

[1] Il termine Madonna significa in italiano “Mia Signora”, dal francese “Ma Dame”, con etimologia parallela a quella del maschile “monsieur”.