25 aprile, la Liberazione e la resistenza al di là delle polemiche abituali. La vera novità storiografica è che fu veramente un movimento di tutto il popolo italiano a partire dai suoi vescovi fino ai 650.000 giovani internati nei lager nazisti, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (25/4/2019)
La vera novità storiografica in merito al 25 aprile, ai partigiani e alla Liberazione non consiste in ciò che i revisionisti ancora una volta cercheranno di avvalorare, non consiste cioè nel sottolineare la pochezza dell’apporto militare della resistenza o nel mostrare il rovescio della medaglia dell’azione dei partigiani rossi che, se lottarono contro il nazismo, si macchiarono di sangue innocente, trucidando pure centinaia di persone innocenti, fra cui preti e seminaristi[1].
Non consiste nemmeno nel fatto che esistettero brigate così dette “bianche” – e cioè democristiane – di partigiani che lottarono fianco a fianco con i rossi, contro il comune nemico tedesco e non consiste nemmeno nella legittima e importantissima enumerazione di come numerosi preti martiri persero la vita a fianco dei civili nel disperato tentativo di proteggerli (ma già questo dato indirizza nella giusta via e cioè nel fatto che la Liberazione fu evento di tutto il popolo)[2].
Gli studi storici hanno ormai da tempo comprovato queste due tesi ed esse non hanno ormai più nulla di nuovo.
La novità storiografica consiste, invece, nella scoperta del ruolo giocato dalla Chiesa cattolica, ed in particolare dai vescovi e dal papa, i quali, mentre i partigiani lottavano con le armi, riuscirono nell’intento di preservare la popolazione e le città dalla furia nazista, al punto che nel nord Italia il passaggio di consegne fra i nazisti e il Comitato di Liberazione Nazionale avvenne alla presenza dei vescovi o con la loro mediazione, in maniera identica a ciò che era già avvenuto il 4 giugno 1944 per Roma dove la mediazione vaticana consentì ai tedeschi di uscire dalla città in ritirata senza essere attaccati dagli alleati, mentre le truppe anglo-americane attendevano a Porta San Giovanni che i nemici uscissero.
È stato Durand, storico dell’École française di Roma, ad analizzare il ruolo giocato dalla chiesa nelle città di Milano, Genova, Gerace, Pescia, Alessandria, Alba, Novara, Venezia, Pisa, Brescia, Anagni, Padova, Trieste: in tutte queste città è storicamente accertato che i vescovi svolsero un ruolo decisivo nel passaggio di poteri dall’occupante nazista alle truppe alleate e al CLN[3].
Sale, storico gesuita, è assolutamente d’accordo con Durand: «Furono tanti in quei terribili anni di guerra i vescovi italiani che fecero tutto il possibile, anche mettendo a rischio la propria vita, per proteggere la porzione di "gregge" loro affidata dalle continue azioni di rappresaglia, dai bombardamenti e dalla fame. Durante quegli anni, molti ebrei e partigiani ebbero salva la vita perché trovarono ospitalità presso case religiose o nelle parrocchie, mentre molti vescovi si adoperarono per chiedere la grazia nei confronti dei condannati a morte per motivi politici (l’arcivescovo di Milano l’ottenne per il giornalista Indro Montanelli e molti altri)».
Il caso più clamoroso è proprio quello di Milano, città nella quale la resa tedesca avvenne in arcivescovado, nelle mani dell’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster.
Afferma Durand: «I negoziati di Milano sono quelli che colpiscono di più, a motivo dell’importanza dei protagonisti: il cardinal Schuster, Mussolini, il maresciallo Graziani»[4]. Nel capoluogo lombardo, il passaggio di poteri dai nazifascisti al CLN fu concordato in una serie di incontri distanziati nel tempo che si svolsero presso lo stesso arcivescovado milanese.
Sale spiega in dettaglio: «Davvero importante fu il ruolo che l’arcivescovo di Milano svolse nelle vicende del 25 aprile 1945 per predisporre una "resa" onorevole dei tedeschi occupanti e dell’esercito della Rsi, al fine di evitare la tragedia di una "guerra guerreggiata" per le vie di Milano, che si sarebbe certamente trasformata in una carneficina e in un’ecatombe per la città. Tali attività compiute dall’arcivescovo in quelle frenetiche e tumultuose giornate sono ampiamente documentate nel libro Gli ultimi tempi del regime (a cura di I. card. Schuster, Milano, 1946). Nella prefazione, scritta dallo stesso Schuster, e datata il 10 maggio 1945, tale impegno è designato come una forma specialissima di «attività pastorale», svolta per la salvezza del popolo, «durante i ripetuti colloqui avuti nel semestre scorso con l’ambasciatore di Germania, col console generale del Reich a Milano, colle autorità partigiane, col maresciallo Graziani, e finalmente col Duce medesimo la vigilia della sua caduta». Attraverso tale rete di relazioni l’arcivescovo intendeva da una parte convincere i tedeschi della necessità di una resa. A tal fine, già agli inizi di febbraio incaricò don Giuseppe Bicchierai di trattare in suo nome con le autorità germaniche per impedire le «decise distruzioni», e in particolare perché nel ritiro delle truppe «si evitino tutti quei danni agli impianti di luce, d’acqua e di energia, che, mentre renderebbe assai difficile la vita delle popolazioni, si risolverebbe in grave danno morale e politico per gli stessi dannificanti». Dall’altro egli cercò di convincere i dirigenti del Cln-AI (Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia) ad abbandonare la prospettiva di un’insurrezione armata contro i tedeschi al momento del loro ritiro, la quale avrebbe provocato una forte reazione, come era avvenuto nei mesi precedenti nel centro Italia»[5].
Durand e Sale riprendono, a partire da uno studio analitico delle fonti, quanto affermato dal grande storico Federico Chabod che aveva analizzato il ruolo della chiesa in un suo famoso volume dedicato alla storia d’Italia fino al secondo dopoguerra. Egli aveva così descritto la situazione della Roma del 1944: «Roma si trova, da un giorno all’altro, senza governo; la monarchia è fuggita, il governo pure, e la popolazione volge il suo sguardo a San Pietro. Viene meno un’autorità, ma a Roma – città unica sotto questo aspetto – ne esiste un’altra: e quale autorità! Ciò significa che, benché a Roma vi sia il comitato e l’organizzazione militare del CLN, per la popolazione è di gran lunga più importante e acquista un rilievo ogni giorno maggiore l’azione del papato»[6].
Solo per dare un’idea più concreta dell’apporto della Chiesa, del pontefice e dei vescovi, si pensi al fatto che nel Seminario Maggiore di Roma trovarono rifugio per diversi mesi, in quanto zona extra-territoriale, personaggi della levatura di Ivanoe Bonomi, presidente del CLN, e di Pietro Nenni, di Giuseppe Saragat e di Meuccio Ruini, di Marcello Soleri e di Alberto Bergamini, di Alessandro Casati e di Alcide De Gasperi, del generale Bencivenga come dell’allora diciassettenne Gian Giacomo Feltrinelli.
Si pensi, a comprendere il ruolo mediatore che giocò la Chiesa nel vuoto di potere creatosi con la fuga di tutte le autorità civili, anche al fatto che dall’autunno del 1943 al luglio 1944 i capolavori della Pinacoteca di Brera e del Castello Sforzesco, dell'Accademia di Venezia, della Galleria di Urbino, dell'Accademia Carrara di Bergamo, insieme ai dipinti dei Musei romani e ad opere d'arte provenienti da chiese, come il Tesoro di San Marco o le tele di Caravaggio furono custodite in Vaticano[7].
Ma, ovviamente, ciò che è decisivo è l’apporto del papa perché non si combattesse in Roma. Egli riuscì a moderare, all’arrivo degli alleati, sia i partigiani, sia i tedeschi perché la città fosse preservata dalla distruzione[8].
Ciò che avvenne prima a Roma, avvenne poi nelle principali città del nord, dove i vescovi seppero impedire l’azione dei nazisti che spesso avevano già minato luoghi importantissimi delle città italiane, come nel caso di Genova[9].
Un’immagine permette di dare concretezza a questo ruolo della Chiesa che fu decisiva nel sostenere indirettamente il CLN e i partigiani, facendosi garante della popolazione civile e garantendo che la Liberazione potesse avvenire il più delle volte in modo pacifico. La fornisce Guareschi nei suoi volumi e nella versione cinematografica dei racconti di Peppone e don Camillo, quando, in Don Camillo e l’onorevole Peppone, mentre Peppone racconta delle sue gloriose azioni da partigiano, in un flashback emerge che è stato proprio don Camillo a trarlo dai guai dinanzi ai soldati nazisti.
Di tutt’altro tipo, allora, rispetto alle polemiche sui massacri pre e post-Liberazione compiuti dai partigiani e rispetto alla rivendicazione del contributo militare dei cattolici, è la novità storiografica che emerge dalle fonti: non ci fu solo chi combattè con le armi, mentre le truppe alleate avanzavano. Ci fu chi svolse un ruolo decisivo nel far sì che le due parti non si scontrassero direttamente, ma si giungesse alla resa senza spargimento eccessivo di sangue. Tale fu il contributo enorme della Chiesa.
Guai, quindi, a non celebrare il 25 aprile o a vederlo come una celebrazione di parte. Esso fu un evento di liberazione cui partecipò tutto il popolo italiano.
Merita ricordare anche che il gruppo di resistenza più numeroso è certamente quello dei 650.000 militari italiani che si lasciò rinchiudere nei lager nazisti dopo l’8 settembre 1943 piuttosto che continuare la guerra[10] a fianco dei tedeschi, con pene subite inenarrabili e morti a migliaia. In una visione della “resistenza” del popolo italiano al fascismo e al nazismo questo fatto enorme merita di essere rivalutato, proprio nell’ottica del 25 aprile come giorno di tutti. Si pensi a Guareschi che scrive dal Lager: «Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente. Sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano»[11].
Ma certo, in questo processo di liberazione e nella precisa svolta del 25 aprile 1945, decisivi furono i vescovi che protessero egregiamente il Paese e la sua popolazione, in quel frangente difficilissimo, in un ruolo che venne allora riconosciuto dal CLN, come dalle brigate partigiane di ogni città, come dalla popolazione tutta che si riversò nella piazza di San Pietro, come dinanzi ai diversi duomi e cattedrali delle città del nord Italia a ringraziare chi aveva coraggiosamente sostenuto e di fatto realizzato con successo il 25 aprile.
Note al testo
[1] Cfr. su questo Pansa: tutte le falsità sulla Resistenza, di Giampaolo Pansa, disponibile on-line.
[2] Cfr. su questo Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto/Montesole e le altre stragi: dove interi paesi furono sterminati stretti intorno ai loro preti e alle loro chiese. Breve nota di Andrea Lonardo, disponibile on-line.
[3] J.-D. Durand, L’église catholique dans la crise de l’Italie (1943-1948), Rome, École Française de Rome, 1991, pp. 154-160.
[4] Cfr. sempre J.-D. Durand, L’église catholique dans la crise de l’Italie (1943-1948), Rome, École Française de Rome, 1991, pp. 154-160.
[5] Da Il 25 aprile in arcivescovado, di Giovanni Sale, disponibile on-line, tratto dall’articolo scritto per Jesus, numero dell’1/1/2005.
[6] F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1978 (il volume è la traduzione di una serie di 12 lezioni che lo Chabod tenne nel 1950 presso l’Institut d’Études politiques dell’Università di Parigi; la prima edizione in traduzione italiana è del 1961), pp. 124-125.
[7] Cfr. M. Forti, Dall’autunno del 1943 al luglio 1944 i capolavori della Pinacoteca di Brera e del Castello Sforzesco, dell'Accademia di Venezia, della Galleria di Urbino, dell'Accademia Carrara di Bergamo, insieme ai dipinti dei Musei romani e ad opere d'arte provenienti da chiese, come il Tesoro di San Marco o le tele di Caravaggio furono custodite in Vaticano, disponibile on-line (lo stesso in M. Forti, Pio XII e le arti: dalla tutela del patrimonio artistico italiano all’ingresso dell’arte contemporanea nei Musei Vaticani, in Pontificio Comitato di Scienze storiche (ed.), Pio XII. L’uomo e il suo pontificato, LEV, Città del Vaticano, 2008, pp. 70-73).
[8] Cfr. su questo 4 giugno 1944, Roma è salva: il senso della neutralità di Pio XII (di Andrea Lonardo), disponibile on-line: lo studio analizza la prima pagina dell’Osservatore Romano del 6 giugno 1944, il primo numero successivo alla Liberazione dell’Urbe.
[9] Durand ricorda come fosse stato già minato dai nazisti l’intero porto di Genova e come l’arcivescovo Boetto riuscì ad ottenere che esso non venisse fatto esplodere; cfr. J.-D. Durand, L’église catholique dans la crise de l’Italie (1943-1948), Rome, École Française de Rome, 1991, pp. 154-160 e Boetto, il vescovo che salvò Genova, di Filippo Rizzi, disponibile on-line.
[10] Cfr. su questo
-Militari italiani internati nei lager nazisti: anch’essi combatterono la Resistenza. Una recensione di Roberto Beretta al volume di Mario Avagliano e Marco Palmieri, Gli internati militari italiani
-la scheda del volume Vittorio Emanuele Giuntella, Il nazismo e i lager
-G. Guareschi, Diario clandestino 1943-1945
[11] Cfr. su questo «Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente. Sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano». Dove nasce la vita di Peppone e don Camillo. L'intuizione di Giovanni Guareschi nel lager, di Tommaso Spinelli, disponibile on-line.