Amnesty: pena di morte in calo nel mondo. I dati del rapporto globale: esecuzioni diminuite del 31% rispetto alle 993 dell'anno precedente. La Cina resta al primo posto; seguono Iran e Arabia Saudita
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Riprendiamo dal sito Roma Sette un articolo redazionale pubblicato il 10/4/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Carcere e pena di morte.
Il Centro culturale Gli scritti (28/4/2019)
Nel 2018 le esecuzioni capitali nel mondo sono state 690: è il numero più basso negli ultimi 10 anni ed è il 31% in meno rispetto alle 993 dell’anno precedente. Ne dà notizia Amnesty International nel suo rapporto globale sulla pena di morte, diffuso oggi, 10 aprile. Complessivamente i dati del 2018 mostrano che la pena di morte è stabilmente in declino e che in varie parti del mondo vengono prese iniziative per porre fine a questa punizione crudele e inumana.
Come nel Burkina Faso, dove a giugno è stato adottato un nuovo codice penale abolizionista. Rispettivamente a febbraio e a luglio, Gambia e Malaysia hanno annunciato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Negli Usa, a ottobre, la legge sulla pena di morte dello stato di Washington è stata dichiarata incostituzionale. A dicembre, nel corso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 121 stati (un numero senza precedenti) hanno votato a favore di una moratoria globale sulla pena di morte, cui si sono opposti solo 35 stati.
Il rapporto prende in esame le esecuzioni in tutto il mondo con l’eccezione della Cina, dove si ritiene siano state migliaia ma il dato rimane un segreto di Stato. Dopo la modifica alla legislazione contro la droga, in Iran – dove comunque l’uso della pena di morte resta elevato – le esecuzioni sono diminuite di uno sbalorditivo 50 per cento, riferiscono da Amnesty.
Una significativa riduzione delle esecuzioni è stata registrata anche in Iraq, Pakistan e Somalia. Per il segretario generale di Amnesty International Kumi Naidoo, «la drastica diminuzione delle esecuzioni dimostra che persino gli Stati più riluttanti stanno iniziando a cambiare idea e a rendersi conto che la pena di morte non è la risposta».
Non mancano però le pagine ancora buie. Le esecuzioni sono aumentate in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e Usa. La Thailandia ha eseguito la prima condanna a morte dal 2009 mentre il presidente dello Sri Lanka ha annunciato la ripresa delle esecuzioni dopo oltre 40 anni, pubblicando un bando per l’assunzione dei boia. Con una decisione senza precedenti, le autorità del Vietnam hanno reso noti i dati sulla pena di morte: nel 2018 le esecuzioni sono state 85.
I primi cinque Stati per numero di esecuzioni sono stati dunque la Cina (migliaia), l’Iran (almeno 253), l’Arabia Saudita (149), il Vietnam (85) e l’Iraq (almeno 52).