L’ex -pontefice propone, da teologo, alcune considerazioni sull’intrinsece malum, sulla visione della sessualità caratteristica degli ultimi decenni e sul legame fra fede e celibato, di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. la sezione Le nuove schiavitù.
Il Centro culturale Gli scritti (22/4/2019)
Leggere, anche solo rapidamente, l’articolo che l’ex pontefice Benedetto XVI ha scritto per il mensile tedesco Klerusblatt[1], fa capire immediatamente quanto siano false le letture che ne sono state date sia a sinistra che a destra.
Di fatto, Benedetto aggiunge poco alla questione degli abusi ed è evidente che non è questo il suo intento. Invece, come è sempre stato solito fare, è interessato a cogliere le implicazioni spirituali e teologiche della questione e in questa ottica va letto.
Nel primo punto, emerge il riferimento importante al ’68. Ratzinger non lo considera in sé e nemmeno in diretta relazione con gli abusi, bensì per le conseguenze che esso ha avuto in campo teologico. Il riferimento a Franz Böckle è chiarissimo. Böckle ha sostenuto che si debba cancellare – ricorda l’ex-pontefice – la nozione di intrinsce malum. Con tale espressione la riflessione cristiana ha denominato quei gesti che sono male in sé, affermando l’esistenza di azioni che sono “intrinsecamente” mali e che non possono essere scusate a seconda delle motivazioni e della finalità per le quali si compiono. Böckle affermava che tale nozione era da superare: non esistono, per lui, atti intrinsecamente cattivi, bensì di ognuno bisogna vedere quali intenzioni avesse chi li commetteva.
Ora l’ex pontefice Benedetto, da teologo, domanda: la pedofilia non è forse un intrinsice malum? Essa dimostra che esiste il “male intrinseco”: esso è inescusabile e senza motivazioni che lo rendano accettabile e moralmente lecito!
Si noti subito la prospettiva dell’ex-pontefice. Egli sta aggravando ancor più il giudizio morale sull’atto degli abusi, ma il suo interesse è sulla teologia morale, sull’importanza cioè di mantenere alcune prospettive senza le quali mancherebbero i criteri per orientare la nostra azione.
Insomma Ratzinger è interessato a che si parli dell’intrinsece malum e intende subito allargare la questione dall’atto alla prospettiva teologica che educa in profondo. Sbagliano coloro che, sia da destra che da sinistra, affermano che in questo modo Ratzinger intenderebbe dare la colpa della situazione presente al sessantotto.
Egli è piuttosto interessato a dire che la teologia morale è decisiva.
Ciò che certamente Ratzinger nell’articolo attribuisce al sessantotto – e soprattutto ai maestri teorici di esso – è l’idea della riduzione della sessualità a puro ambito della libera decisione personale, con l’affermazione conseguente che la comunità cristiana non sarebbe in grado, anzi sarebbe delegittimata, ad apportare qualsiasi contributo chiarificatore in merito.
Anche qui Ratzinger non fa dipendere la pedofilia in maniera diretta dalle teorie contestatrici di quel periodo, anche perché essa purtroppo è sempre esistita e sempre esisterà come deviazione e come peccato. L’ex pontefice è piuttosto interessato a dire che la visione che la Chiesa ha della sessualità è non solo giusta, ma anche necessaria e fondamentale e che senza di essa, non è possibile comprendere appieno la questione delle deviazioni e dei peccati nel mondo degli affetti.
Come si potrebbe educare ad una lotta contro gli abusi se al contempo non si denunciassero la precocizzazione della sessualità[2], il grande mercato consumistico della pornografia con gli enormi danni che crea ad attori e consumatori, la piaga dell’aborto, le infinite violenze che le donne debbono subire non solo nelle città, ma addirittura nel mondo dello spettacolo, dei media, del cinema, una visione dell’identità sessuale come di qualcosa da decidere di volta in volta nel tempo o ancora l’utilizzo spregiudicato del corpo nella pubblicità? E come si potrebbe educare prescindendo dal riflettere sulla differenza fondante fra amore fedele e indissolubile e gesti sessuali senza prospettive?
Ratzinger non intende accusare il sessantotto della piaga degli abusi, intende piuttosto collocare tale piaga in una riflessione educativa.
In effetti, è paradossale che il discorso pubblico sugli abusi isoli tale questione dal contesto, senza mai giungere a scoperchiare la pentola della violenza sottile che pervade le giovani generazioni sin dalla primissima pre-adolescenza, mostrando una falsa visione degli affetti e del corpo, e che invita gli aduli a non avere remora alcuna nell’utilizzo del corpo proprio e altrui.
In tal senso è interessante che Ratzinger non si soffermi ad elencare tutta una serie di nomi di intellettuali che difesero la pedofilia negli anni sessanta e settanta, perché non è questo il suo interesse ed egli vi accenna solo di passaggio. Il suo discorso è incentrato su di una revisione critica dello sguardo sessantottino sulla sessualità che non è stato ancora mai affrontato in ambito pubblico. L’unico che ha avuto il coraggio di domandare se la Chiesa si sia mai misurata con l’esigente compito di cominciare ad educare nuovamente alla sessualità è stato papa Francesco in Amoris Laetitia: «Il Concilio Vaticano II prospettava la necessità di “una positiva e prudente educazione sessuale” che raggiungesse i bambini e gli adolescenti “man mano che cresce la loro età” e “tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica”. Dovremmo domandarci se le nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida. È difficile pensare l’educazione sessuale in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità. Si potrebbe intenderla solo nel quadro di una educazione all’amore, alla reciproca donazione. In tal modo il linguaggio della sessualità non si vede tristemente impoverito, ma illuminato. L’impulso sessuale può essere coltivato in un percorso di conoscenza di sé e nello sviluppo di una capacità di dominio di sé, che possano aiutare a far emergere capacità preziose di gioia e di incontro amoroso» (AL 280).
Anche qui – riteniamo – Ratzinger continua a fare quello che ha sempre fatto: allargare le questioni. Egli, a partire dalla questione degli abusi, si domanda se quel preciso contesto culturale che a partire dal sessantotto ha indebolito ogni sguardo sapiente sulla sessualità non sia oggi da ridiscutere.
Nella seconda parte del suo articolo l’ex-pontefice riflette sulla questione dei luoghi di formazione al sacerdozio. Anche qui egli non sembra essere preoccupato tanto direttamente degli abusi, quanto di sottolineare come la mancanza di una chiara comprensione della necessità di essere maturi affettivamente abbia contribuito all’ordinazione di persone con una non chiara definizione sessuale.
In più egli sottolinea come le questioni morali non siano mai semplicemente questioni etiche, bensì siano decisive per la fede. La disciplina della Chiesa deve difendere dallo scandalo i piccoli, sia perché sono delitti gravissimi contro di loro quelli che sono stati compiuti, sia perché essi hanno fatto loro perdere la fede – ed è ciò che è avvenuto in numerosi casi ed anche in parte dell’opinione pubblica. Egli intende riaffermare che è esplicita esigenza di fede – e non solamente questione giuridica o moralistica – che il clero sia preparato ad un vero celibato.
L’articolo di Ratzinger ha il limite di non sottolineare che è mancata, nella Chiesa e nella società tutta, la consapevolezza che una persona colpevole di tali abusi andava punita immediatamente con processi e pene e che doveva essere dimessa immediatamente dal sacerdozio e non trasferita ad altri incarichi, nella falsa speranza che potesse cambiare, senza intraprendere un’adeguata terapia farmacologica e piscologica.
L’articolo manca di ricordare come fosse sbagliato l’atteggiamento dei decenni precedenti, presente nella comunità cristiana e nella società, di pensare che fosse giusto affermare che “i panni sporchi si lavano in casa”. Un’affermazione netta in merito sul passato sarebbe stata preziosa e utile.
D’altro canto, affermando che gli abusi attentano alla fede, l’ex-pontefice non solo non intende diminuire la gravità di tali atti, ma anzi accentuarla.
Ciò diviene ancora più esplicito nella terza parte dell’articolo dove Benedetto afferma che gli abusi vanno di pari passo con la perdita della fede, in una comunità cristiana che smette di porre al centro il suo Signore. Egli intende ancora una volta porre in evidenza il nesso fra morale e fede.
Una comunità che crede nel suo Signore ed un clero che abbia una fede viva troveranno in Lui il coraggio di far venire alla luce ogni grave peccato, per esserne guariti. Gli abusi non sono il segno della pericolosità della fede per l’integrità personale, bensì esattamente l’opposto: ciò che è pericolosissimo è che una comunità cristiana – e prima ancora il suo clero - perda lo splendore della fede. Dove un seminario non abbia posto la verifica e la maturazione della fede al centro del suo sguardo, sarà meno impossibile che una persona sia ordinata prete nonostante i suoi gravi problemi psichici e la sua mancanza di orientamento sessuale chiaro.
Ratzinger ricorda, infine, come la debolezza della comunità umana e cristiana sia costitutiva. E lo ricorda perché tale dimensione viene spesso dimenticata, nonostante papa Francesco insista ripetutamente, sulla peccaminosità della comunità intera e dei suoi ministri che annunziano che Dio è misericordia proprio per aver sperimentato il suo perdono sui propri peccati.
Anche qui l’ex-pontefice è interessato ad allargare lo sguardo che molti dei media vorrebbero invece ristretto. Egli sottolinea, infatti, con forza che la comunità cristiana è necessaria ed è un dono di Dio. Senza la Chiesa, per quanto costituita da peccatori, nessun uomo potrà conoscere Gesù e ricevere il Battesimo. Nonostante essa sia sempre costituita da peccatori, la Chiesa sempre è stata e sarà il grande dono attraverso il quale Dio ci raggiunge.
Abbiamo voluto scrivere queste righe perché riteniamo che danneggino i papi tanto quelli che sono più papisti di loro, quanto coloro che li attaccano da antipapisti. Non ci interessava assolutamente cogliere consonanze, né contrapposizioni fra l’attuale pontefice e il suo predecessore, perché tale non è l’intento dell’articolo di Ratzinger, bensì intendevamo riflettere su di un articolo che ci è sembrato indirizzato a toccare altri temi rispetto a quelli abitualmente toccati dai media.
Certo è che l’ex-pontefice fornisce ulteriori argomenti alla giustissima “tolleranza zero” di papa Francesco, non solo confermandola, ma in più affermando che gli abusi sono dei “mali intrinseci” e che sono doppiamente peccati gravissimi, perché lo sono sia contro gli uomini, sia contro la fede.
Note al testo
[1] Il Corriere della Sera lo ha pubblicato in esclusiva per l’Italia, con numerosi errori di traduzione, l’11 aprile 2019.
[2] Nessuno riflette sul paradosso di una cultura che, mentre condanna giustamente in maniera irrevocabile la pedofilia, incoraggia in maniera incomprensibile i 12enni alla sessualità e a scuola fa giocare bambini ancora più piccoli con sex toys, quasi tendendo normale che si abbiano rapporti da minorenni.