[«Gli uomini si dividono in due categorie, quelli che credono al peccato originale e gli sciocchi»] Nicolás Gómez Dávila. Dandy dal braccino corto, di Stefano Borselli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /04 /2019 - 23:19 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito Il covile (https://www.ilcovile.it/news/archivio/00000426.html) un articolo di Stefano Borselli pubblicato il 2/2/2010. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (7/4/2019)

Andrà studiata la storia dell’edizione italiana di Escolios a un texto implìcito, di Nicolás Gómez Dávila. Quando Calasso e i suoi della Adelphi decisero di presentare in Italia il pensatore colombiano, questi grandi teorizzatori dell’eccesso e della dissipazione, per non esporsi subito al rischio economico della pubblicazione dei cinque volumi dell’opera completa, prudentemente fecero preparare a Franco Volpi un ballon d’essai, una selezione dal primo volume che uscì nella collana piccola nel 2001, col titolo dell’intera opera, reso con In margine a un testo implicito, senza accenno al suo esserne minima parte.
Quali furono i criteri della scelta? Cercare, per quanto possibile, di far somigliare Dávila a Cioran, figura per Calasso ben più digeribile e che infatti citerà nel retro di copertina? Con sicurezza non lo potremo mai sapere. Certo è che nei giacimenti daviliani ovunque scavi trovi materiale aureo: il frutto di quella prima estrazione è perciò comunque prezioso ed ha avuto il merito di far leggere Dávila in Italia. Il Covile, che già conosceva qualcosa dell’autore grazie alla densa presentazione di Giovanni Cantoni (v. Un contro-rivoluzionario cattolico iberoamericano nell’età della Rivoluzione culturale, in Cristianità n. 298, 2000), darà notizia della traduzione italiana agli allora veramente pochissimi amici nel terzo numero, il 10 settembre 2001.

La pietra scartata dai costruttori

Qualche anno dopo, visto il successo, in casa Adelphi si pensò di proseguire con la pubblicazione. A quel punto le strade percorribili erano solo due: 1 ricominciare da capo, magari in un’altra collana, con la pubblicazione ordinata dell’intera opera (sarebbe stata la scelta più corretta e costosa, verrebbe da dire più degna), 2 pubblicare intanto il resto, l’insieme complemento al primo volume, come seguito e secondo ballon; decisione sparagnina, che viene poi presa. Ovviamente si doveva inventare anche un titolo, che è stato Tra poche parole, mantenendo così l’edizione italiana all’insegna dell’arbitrarietà. Un pasticcio. Che sia una vendetta postuma di Elisabeth Förster, la manipolatrice sorella di Nietzsche, che Adelphi con la benemerita edizione Colli-Montinari contribuì a smascherare?

Implicito, quindi comprensibile

implìcito = lat. IMPLICĬTUS = implicàtus, che è il part. pass di IMPLICÀRE avviluppare, avvolgere (v. Piegare).
Propr. Intricato; e fig. Che è compreso e quasi avviluppato in altro, d’onde si deduce per via d’illazioni, d’induzioni. Compreso tacitamente nel discorso. Sottinteso. Contrario di Esplicito. (fonte: www.etimo.it)

Spiegavamo sopra come l’edizione di Tra poche parole non ha permesso selezioni. Il risultato è straordinario: il testo non solo è superiore al primo, anche quantitativamente (a questo punto per i lettori che volessero iniziare ora consiglierei di partire da lì...), ma finalmente rende giustizia al titolo daviliano. In effetti “esplicito” non ha connotazione di “nascosto” o “esoterico”, altrimenti la proposizione “Ma era implicito...” non avrebbe senso. Ci aspettiamo perciò che il “testo implicito” si possa vedere facilmente e che dia unità all’opera rendendo impossibile parlare di “schegge”, come invece faceva un sonnecchiante Calasso nella nota citata al primo volumetto. Ecco, in Tra poche parole il testo implicito si delinea direi con molta chiarezza. Tornando decine di volte su un argomento, Dávila riesce a rappresentarne tutti gli aspetti per sommazione (più sotto presento una piccolissima raccolta organizzata che spero renda una pallida idea; a qualcuno non sfuggirà un’anticipazione della Spe salvi…). Del resto lo scrittore aveva descritto con precisione la sua tecnica, perché non prenderlo sul serio?

Ciò che il lettore troverà in queste pagine non sono aforismi. Le mie brevi frasi sono tocchi cromatici di una composizione pointilliste.

L’armeria di Bogotà

Che fosse questo il criterio inconscio della prima cernita adelphiana: impedire la percezione dell’insieme sotteso per rendere l’idea di un pensatore soprattutto brillante? Mi sa che non è un caso che tra i non scelti vi sia un brano nel quale Dávila allude alle motivazioni della sua fatica:

Il mondo moderno non è una calamità definitiva. Esistono depositi clandestini di armi.

Così ora sappiamo cos’è davvero Escolios: un’armeria, un vero manuale di sopravvivenza che credo sarebbe piaciuto a Giorgio Cesarano. Suvvia Adelphi, bando all’avarizia, ci serve l’opera completa, ne abbiamo bisogno.

Dagli escolios di Nicolás Gómez Dávila

Fonti: In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 2001 e Tra poche parole, Adelphi, Milano 2007. Entrambi a cura di Franco Volpi e traduzione di Lucio Sessa. […]

La discussione intelligente deve limitarsi a chiarire divergenze.
 
La libertà altrui ci sta a cuore perché senza di essa il trionfo delle nostre opinioni è vano. Evitiamo perciò la bigotteria di rispettare opinioni scellerate. Difendo la tua libertà perché aspiro a convincerti. Perché la tua libertà è la condizione della mia vittoria. Rispettando la tua libertà, non rispetto però i tuoi errori, bensì la possibilità che tu ti arrenda liberamente alle mie verità.
 
Non rifiutare, ma preferire.
 
Chi accetta il lessico del nemico si arrende senza saperlo. Prima di diventare espliciti nelle proposizioni, i giudizi sono impliciti nei vocaboli.
 
Il termine comune è sempre preferibile ai suoi sinonimi rari, ma un lessico preciso giustifica qualsiasi pedanteria. L’esattezza verbale è qualità estetica, mentre la rarità di una voce è un fatto sociologico.

[…]

In un secolo in cui i mezzi di comunicazione divulgano infinite stupidaggini, l’uomo non si definisce colto per quello che sa ma per quello che ignora.
 
Limitiamo la nostra ambizione a praticare contro il mondo moderno un metodico sabotaggio spirituale.
 
Forse non c’è scempiaggine pari a quella di passare la vita a leggere scrittori mediocri perché nostri contemporanei.
 
È facile apprezzare l’antico o il moderno; ma solo nella capacità di apprezzare l’obsoleto si ha il trionfo del gusto autentico.
 
Ammirare soltanto le opere davvero degne di ammirazione è indizio di gusto incerto. Il vero tatto letterario, la passione autentica, apprezzano il fascino del poeta minore e la finezza di prose secondarie.

[…]

Il problema di fondo di tutte le ex colonie, cioè il problema del servaggio intellettuale, della povertà di tradizioni, della spiritualità subalterna, della civiltà inautentica, dell’imitazione forzata e avvilente, mi è stato risolto con somma semplicità: il cattolicesimo è la mia patria.

La mia fede cresce negli anni, come le fronde di una primavera silenziosa.
 
Ascolto tutte le prediche con involontaria ironia. Tanto la mia religione quanto la mia filosofia si riducono a confidare in Dio.
 
Più che pratica di un’etica, o adesione a una dottrina, il cristianesimo è lealtà a una persona.
 
Più che un cristiano, sono forse un pagano che crede a Cristo.
 
Se Dio fosse il punto d’arrivo di un ragionamento, non sentirei alcuna necessità di adorarlo. Ma Dio non è solo la sostanza di ciò che spero, è anche la sostanza di ciò che vivo.
 
Le ragioni, le argomentazioni, le prove sembrano a chi crede sempre meno evidenti. E ciò in cui crede più evidente.
 
Il miscredente si stupisce che i suoi argomenti non allarmino il cattolico, dimenticando che il cattolico è un miscredente sconfitto. Le sue obiezioni sono il fondamento della nostra fede.

[…]

L’unica realtà del male è quella del bene che annienta.
 
Mille le verità, uno solo l’errore.

[…]

L’ architettura dell’Ottocento ha confuso l’organismo con il vestito, quella del Novecento lo confonde con lo scheletro.
 
Abbiamo visto un solo urbanista geniale: il tempo.
 
La Messa può essere celebrata in palazzi o in capanne, ma non in quartieri residenziali.
 
Nessuna città rivela la sua bellezza quando il torrente diurno l’attraversa.
 
Il moderno distrugge più quando costruisce che quando distrugge.
 
L’uomo moderno teme il potenziale distruttivo della tecnica, mentre è il suo potenziale costruttivo la vera minaccia.
 
Una tradizione non è un presunto catalogo di virtù che si oppone a un catalogo di errori, ma uno stile nel risolvere problemi. La tradizione non è soluzione pietrificata, ma metodo flessibile.
 
L’architettura coloniale di questo continente fa parte del paesaggio. L’architettura posteriore lo insudicia soltanto.

[…]

Per il cattolico di sinistra il cattolicesimo è il grande peccato del cattolico.
 
Il cristiano di oggi non si cruccia del fatto che gli altri non sono d’accordo con lui, ma del fatto che lui non è d’accordo con gli altri.
 
Il cattolicesimo popolare è il bersaglio di tutte le ire progressiste. Fede popolare, speranza popolare, carità popolare irritano un clero di estrazione piccolo-borghese.
 
I cristiani di Nietzsche non sono quelli di ieri, ma quelli di oggi. Storico impreciso, ma forse profeta.
 
Il cattolico progressista vorrebbe restaurare il cristianesimo primitivo imitando il moralismo umanitario dei chierici miscredenti del Settecento.
 
Il primato di san Pietro disturba il clero progressista, il misticismo di san Giovanni lo annoia, la teologia di san Paolo lo irrita. Non sarà che il suo patrono è l’apostolo dotato di coscienza sociale, colui che protestò contro lo spreco cerimoniale di unguenti e propose di vendere la mirra liturgica per dividere il ricavato tra i poveri?
 
Per stupido che sia un catechismo, lo è sempre meno di una personale professione di fede.
 
L’esistenza di una carmelitana scalza ammonisce il miscredente più seriamente dell’attività sindacale di un prete.

[…]

Dato che Marx dice chiaramente che le forze produttive di una società alla fine ne determinano la struttura, e dato che, d’altro canto, le forze produttive dell’attuale società comunista e quelle dell’attuale società capitalista sono chiaramente le stesse, Marx di fatto mostra che la differenza tra capitalismo e comunismo può consistere soltanto nella differenza passeggera tra alcuni dei loro aspetti giuridici. La società industriale comunista e la società industriale capitalista schiacciano l’uomo sotto lo stesso peso.
 
Con l’industrializzazione della società comunista l’egemonia borghese tocca il vertice. La borghesia non è tanto una classe sociale quanto l’ethos della società industriale stessa.
 
Società totalitaria è il nome volgare di quella specie sociale la cui denominazione scientifica è società industriale. L’embrione attuale lascia prevedere la fierezza dell’animale adulto.

[…]

Rifiutarsi di ammettere una conclusione che ci spaventa è sufficiente a provocare un’anchilosi intellettuale permanente.
 
Non sarà facile assistere senza provare ripugnanza a questa “fine delle ideologie” annunciata con giubilo. La rinuncia a un’ideologia porta la maggior parte della gente soltanto a perdere ogni pudore.
 
Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che credono nel peccato originale e gli sciocchi.