Addio a Wisława Szymborska, la poetessa di Solidarnosc. [Riflettendo sul Qoèlet/Ecclesiaste], di Daniele Ciacci
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Riprendiamo dalla rivista Tempi un articolo di Daniele Ciacci pubblicato il 2/2/2012 (https://www.tempi.it/addio-wislawa-szymborska-la-poetessa-di-solidarnosc/). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (7/4/2019)
Con Wislawa Szymborska muore un testimone attuale e profondo del nostro secolo e di quello precedente. Nata nel 1923 a Kornik, un piccolo paese polacco, ha sempre vissuto lontano dalle luci della ribalta. Scampata al terrore nazista perché impiegata alle ferrovie polacche, la Szymborska non si laureò mai, per mantenere la sua povera famiglia di periferia. Appoggiò Solidarnosc, seguendone gli eventi, non cedendo mai alle lusinghe dell’utopia comunista.
Scrisse per testate culturali locali e venne tradotta in Russia, da Anna Achmatova, e il suo nome suonò alle orecchie di Josif Brodskij che la citò nel suo discorso al Nobel del 1987. Ed ecco la fama, da lei spesso scansata. In Italia arriva tardi: nel 1996 l’editrice Scheiwiller traduce la prima opera, Gente sul ponte. Nello stesso anno vince il premio Nobel per la letteratura. È morta ieri, a 88 anni, a Cracovia.
«Mi capita di sognare situazioni irrealizzabili – disse a Stoccolma ritirando il Nobel –. Nella mia temerarietà immagino ad esempio di avere l’occasione di conversare con l’Ecclesiaste, autore di un lamento quanto mai profondo sulla vanità di ogni agire umano. Mi inchinerei profondamente di fronte a lui, perché si tratta – almeno per me – di uno dei poeti più importanti. E poi gli prenderei la mano. “Nulla di nuovo sotto il sole” hai scritto, Ecclesiaste. Però Tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è anch’esso nuovo sotto il sole, perché prima di Te non lo ha scritto nessuno. E nuovi sotto il sole sono tutti i Tuoi lettori, perché quelli che sono vissuti prima di Te, dopotutto non hanno potuto leggerlo. Anche il cipresso, alla cui ombra stavi seduto, non cresce qui dall’inizio del mondo. Gli ha dato inizio un qualche altro cipresso, simile al Tuo, ma non proprio lo stesso. E inoltre vorrei chiederti, o Ecclesiaste, che cosa intendi scrivere, adesso, di nuovo sotto il sole. Qualcosa con cui contemplerai ancora i Tuoi pensieri, o non sei forse tentato di smentirne qualcuno? Nel Tuo poema precedente hai intravisto la gioia – che importa se passeggera? Forse dunque è di essa che parlerà il Tuo nuovo poema sotto il sole? Hai già degli appunti, degli schizzi iniziali? Non credo che dirai: “Ho scritto tutto, non ho nulla da aggiungere”. Nessun poeta al mondo può dirlo, figuriamoci un grande come Te».
Wisława Szymborska, Ogni caso
Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.
Wisława Szymborska, Amore a prima vista (in La fine e l’inizio, Scheiwiller)
Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.