Senza legami. Sempre più anziani e più soli un'emergenza in molti Paesi. Dopo i 75 anni quattro persone su dieci non hanno vicino né parenti né amici. In Inghilterra le prime politiche pubbliche. I rischi e le opportunità della tecnologia, di Marco Trabucchi
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Riprendiamo da Avvenire del 15/3/2019 un articolo di Marco Trabucchi, dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Carità e giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (17/3/2019)
La persona dominata dalla solitudine non ha nessuno a cui rivolgersi nel momento del bisogno per ottenere un aiuto. È una definizione operativa, che descrive la condizione vitale di chi soffre perché guardandosi attorno non vede nessuno disponibile ad intervenire per aiutarlo nelle cose concrete della vita o per consolarlo nel momento dell’angoscia. Nell’anziano la situazione è resa ancor più disperata a causa dell’indebolirsi delle forze che gli potrebbero permettere di fare da sé e per il fisiologico rarefarsi di punti di supporto. L’Istat nel 2018 rileva che in Italia il 13% della popolazione vive da solo.
Questa condizione varia a seconda dell’età: al di sotto dei 25 anni vive solo l’1% degli italiani, tra i 25 e i 34 anni vive solo l’11%, tra i 35 e i 54 anni la percentuale resta intorno al 12%, tra i 55 e i 74 vive solo il 16% della popolazione, mentre nelle età successive la percentuale si raddoppia (attorno al 38%). Sempre l’Istat mette in luce come tra gli ultra settantacinquenni vi è un’alta percentuale di individui che non hanno né parenti né amici in caso di bisogno: sono quasi il 40%, con circa il 12% che può rivolgersi solo a una vicina di casa. In risposta a questi dati – che non sono solo italiani – negli ultimi anni alcuni Stati hanno impostato scelte strategiche, collocando il problema della solitudine al centro dei problemi ai quali destinare attenzione politica e provvedimenti concreti, sia sul piano della diffusione di una cultura della solidarietà sia su quello dell’organizzazione di interventi specifici (centri di aggregazione, strade sociali, punti di interesse condiviso, accessi telefonici, ecc.).
Ha iniziato qualche anno fa il governo inglese, che per primo ha istituito un ministero per la solitudine (suscitando allora un po’ di sorpresa, ma poi avendo molti imitatori); la decisone era stata presa da Theresa May sotto la pressione di numeri preoccupanti; più di un settantacinquenne su tre ha dichiarato 'fuori controllo' il proprio sentirsi solo, per esprimere come il suo stato fosse senza rimedio e senza possibilità concrete di essere modificato. Negli ultra sessantacinquenni 3,6 milioni di cittadini del Regno Unito considerano la televisione come principale, e spesso unica, compagna delle loro giornate.
Le persone che assistono i propri cari affetti da demenza o da altre malattie invalidanti sono anche loro particolarmente esposte al rischio di solitudine, perché nel tempo si rarefanno i contatti con parenti, amici, vicini di casa; il dato inglese è simile a quanto rilevato in Italia, secondo il quale circa un terzo delle coppie malato-caregiver vive in condizioni di isolamento e, soprattutto, nell’impossibilità di chiedere aiuto nel momento del bisogno. Il provvedimento del governo inglese è consistito in un rilevante finanziamento diretto alle associazioni che si ponevano l’obiettivo di ridurre la solitudine di specifici gruppi di cittadini. Di grande importanza anche la decisione di rivalersi sui giganti della tecnologia, considerati responsabili, almeno in parte, dell’epidemia di solitudine. Ad esempio, è stato scritto che Amazon in breve 'guiderà il mondo', per la sua capacità di determinare comportamenti che taluni giudicano positivi, altri invece ritengono siano assolutamente negativi (ad esempio, la riduzione delle relazioni fuori di casa).
All’Inghilterra sono seguiti altri Stati, come l’Australia, il Canada, la Francia, gli Usa (il ministro della salute di quel Paese ha dichiarato che «in America è attualmente in corso un’epidemia di solitudine»). Anche in Spagna, Paese culturalmente vicino a noi, è stata da più parti richiesta l’istituzione di un ministero per la solitudine, sotto la pressione di una demografia sempre più preoccupante. Molte altre nazioni hanno iniziato a dedicare attenzione specifica ai problemi posti dalla solitudine in generale e dell’anziano in particolare: la Germania, la Svizzera, i Paesi nordici, ma anche il Sud America e la Russia. Particolare attenzione è data alla Cina, dove una dissennata politica di controllo delle nascite adottata in passato ha provocato l’attuale drammatica crisi sociale, in un Paese tradizionalmente fondato sulla famiglia. In Giappone la situazione è ancor più spaventosa e costituisce per molti studiosi un esempio da osservare con attenzione perché precorre una realtà che probabilmente vivremo anche noi. Circa 18 milioni di persone vivono sole, il doppio rispetto a 30 anni fa. Nel 2017 45.000 persone sono morte da sole, senza alcun supporto e senza esequie funebri.
In Italia da tempo la solitudine richiama l’attenzione dei programmatori e gestori della cosa pubblica più attenti; il presidente Mattarella nel discorso della fine dell’anno 2018 ha ricordato la solitudine di un’anziana portata ad esempio di una condizione pervasiva che deve richiamare l’attenzione di tutti. La differenza di storie e di culture non cancella una realtà che si va sempre più frequentemente palesando, cioè quella di un disastro diffuso che richiede interventi rapidi, anche considerando che il fenomeno solitudine a tutte le età non è in grado di autocontrollarsi, ma che – al contrario – la solitudine del vicino contagia il vicino, ne blocca l’iniziativa per la costruzione di una rete, il desiderio di uscire dal guscio. È un disastro che dilaga.
Una problematica del tutto particolare, ma rilevante sul piano quantitativo e qualitativo, riguarda il mondo dei servizi sociali e dell’assistenza. Purtroppo, nei luoghi dove l’anziano dovrebbe percepire che la sua fragilità è maggiormente protetta e quindi dove si dovrebbero evitare percorsi di solitudine sono invece diffuse condizioni che espongono da soli i cittadini alle difficoltà provocate dalla malattia, dall’invalidità e dai relativi trattamenti. Questi si trovano ad affrontare il dolore somatico provocato dalle diverse patologie senza la protezione di un ambiente caloroso, senza la vicinanza di operatori attenti, esposti a interventi di vario tipo in solitudine, per cui al dolore del corpo si associa la sofferenza dello spirito. La nostra società così sviluppata sul piano tecnologico lascia spesso malati (e operatori) da soli nel momento più difficile. In questo ambito l’evoluzione della tecnologia, caratterizzata dalla guida dei sistemi di salute da parte dell’intelligenza artificiale, porrà nove sfide. C’è infatti chi sostiene che la persona ammalata sarà sempre più sola davanti alle macchine e chi, invece, sostiene che gli operatori, liberati da compiti tecnici, avranno più tempo da dedicare per lenire le paure e accompagnare le solitudini di chi si sente più fragile.