Non abbiamo più le categorie politiche ed ecclesiali per comprendere il presente. Tutto ciò che ci è stato insegnato per decenni sembrerebbe invecchiato e ormai inadatto: bisogna tornare a pensare e con categorie nuove. Breve nota politico-teologica di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. la sezione Laicità.
Il Centro culturale Gli scritti (17/2/2019)
Laicità, dove sei?
Ci avevano insegnato che la laicità era essenziale. Che un prete non doveva schierarsi partiticamente. Che poteva criticare un provvedimento, ma mai un partito. Ed ora che tanti preti danno addosso al PD o alla Lega o ai 5Stelle, come la mettiamo? Ma non è violazione della laicità questa? Blog e testate cattoliche ufficiali che se la prendono ora con Renzi, ora con Salvini ora con Di Maio quasi fossero il male in persona? Fratelli, ma dov’è la laicità? Vale ancora il principio della laicità? Oppure dobbiamo invitare i nostri preti a prendere parte per un partito? Ridateci la laicità, ve ne prego!
Minoranza sei sempre bella, perché Dio opera anche al di fuori dei confini delle nostre parrocchie?
Ci avevano insegnato che non bisogna angosciarsi di essere minoranza. Anzi che è bello essere minoranza. Che Dio opera sempre, anche dove gli altri non la pensano come noi. Ricordo una dotta relazione di un catecheta belga che raccontava di una foresta rasa al suolo da una tempesta. Mentre alcuni si disperavano della distruzione di tale foresta, gli studiosi avevano, invece, affermato che la vita sarebbe rinata più rigogliosa di prima e che non c’era da temere per la foresta, invitandoci così a non aver paura del nuovo che avanzava[1].
Di una chiesa di minoranza ci avevano parlato teologi d’oltralpe, come catecheti e pastoralisti nostrani che guadavano oltralpe. Ma vale ancora tutto questo? Ora che al governo ci sono la Lega e i 5Stelle gli stessi teologi e pastoralisti perché hanno cambiato idea? Perché non affermano più che è bene essere minoranza e che Dio opera comunque al di fuori dei confini delle nostre parrocchie? Oppure Dio operava solo quando a governare la società c’erano persone che la pensavano come loro?
Insomma la categoria della Chiesa come minoranza che è contenta di essere tale e non demonizza i cambiamenti vale anche oggi?
La cristianità è finita, oppure non troppo?
Ci avevano insegnato che la cristianità era finita e che non sarebbe mai più rinato un cristianesimo sociale, che non fosse convintamente evangelico e fondato nei cuori. Che i legacci con schemi vecchi non erano più nemmeno pensabili, dato che la cultura avanzava verso una secolarizzazione irreversibile. Ma oggi come si dichiara il popolo italiano? Perché vuole il presepe a scuola? Ma il cristianesimo non di convinzione intima è minoranza o maggioranza? Il popolo è minoranza o maggioranza? E poi cosa è il popolo?
Meglio una presenza trasversale dei cattolici nei diversi partiti o forse questo sparpagliarsi non va più bene?
Ci avevano insegnato che la forma migliore di presenza dei cattolici in politica era quella dello sparpagliarsi, perdendosi come lievito nella massa, perché il lievito avrebbe fermentato la massa. Dunque, meglio i cattolici un po’ qui e un po’ là. Dunque è bene che i cattolici si disperdano un po’ nei 5Stelle, un po’ nella Lega e un po’ nel PD? Dunque, questo che ci avevate chiesto di fare, va bene an che oggi? Questa presenza come il lievito sparso qua e là va ancora bene o i cattolici dovrebbero stare tutti da una parte, o a destra o a sinistra?
L’Europa è il nostro riferimento, ma la Russia e il mondo ortodosso sono Europa? E se l’Europa si sposta più al centro o addirittura più a destra, resta sempre da appoggiare?
Ci avevano insegnato che l’Europa è intoccabile e che era giusto che le leggi del Parlamento Europeo si imponessero sulle leggi nazionali. Ma se l’ago della bilancia si spostasse politicamente più al centro o più a destra e se in Europa andassero al potere forze diverse da quelle che sono ora alla guida, sarebbe corretto ascoltare l’Europa e le indicazioni economiche europee - con i cambi di destinazione dei fondi europei, ad esempio, in ambito culturale -, sarebbero sempre da accogliere?
L’Europa poi? Ma non comprende anche l’Europa dell’est, secondo polmone, rispetto all’occidente? Ma amare l’Europa non significa dialogare innanzitutto con la Polonia, con la Russia e con il mondo ortodosso? O l’Europa è solo il nord Europa?
Cinque domande aperte
Le domande relative a questi cinque ambiti non sono retoriche. Tutti i criteri che ci sono stati insegnati sembrano oggi non più validi. Come orientarsi oggi? Quale categorie utilizzare per leggere la realtà? Dobbiamo rimetterci al lavoro. E presto. Perché ciò che ci ha insegnato la tradizione recente non è adatto a interpretare il presente.
Note al testo
[1] Così, ad esempio, A. Fossion: «Per comprendere lo spirito di questa pastorale di accompagnamento (d’engendrement), vorrei ispirarmi ad un fatto reale, in tutt’altro campo, ma analogicamente istruttivo per il nostro scopo. Il 26 dicembre 1999, un uragano chiamato «Lothar» ha dilagato sull’Europa, in particolar modo nell’Est della Francia, con venti a più di 150 km orari. Si stima che 300 milioni di alberi siano stati abbattuti sul territorio francese. L’uragano ha lasciato dietro di sé uno spettacolo desolante. Si sono contati una sessantina di morti e un certo numero di suicidi di forestali o proprietari che non hanno potuto sopportare l’enormità della catastrofe. «Una cattedrale crollata non è grave, dice un forestale, può essere ricostruita. Una quercia di 300 o 400 anni, no». Dopo la catastrofe, alcuni uffici tecnici hanno velocemente elaborato programmi di rimboschimento, progetti di reimpianto, piani di semina. Si trattava di approfittare della catastrofe per ricostruire la foresta secondo l’immagine ideale che era possibile farsene. Ma una volta che si è trattato di attuare questi piani di rimboschimento, gli ingegneri forestali hanno constatato che la foresta li aveva anticipati. Hanno osservato una rigenerazione più rapida di quella prevista che veniva ad ostacolare i piani di rimboschimento manifestando talora delle configurazioni nuove, più vantaggiose, alle quali gli uffici tecnici non avevano pensato. La rigenerazione naturale della foresta manifestava, sotto molti aspetti, una migliore bio-diversità e un miglior equilibrio ecologico tra gli abeti rossi e le latifoglie. Specie che erano state soffocate dalla vecchia foresta potevano rinascere. La catastrofe risultava utile anche per la rinascita o la diffusione di alcune specie animali. Da una politica volontaristica di ricostruzione della foresta secondo i loro piani, gli ingegneri forestali sono passati ad una politica più duttile di accompagnamento della rigenerazione naturale della foresta, individuando ed afferrando le possibilità nuove e vantaggiose che questa rigenerazione naturale offriva. Non si trattava di rinunciare ad ogni intervento, ma, piuttosto, con più competenza, di accompagnare, in maniera attiva e vigilante, un processo di rigenerazione naturale. Ecco cosa dice un ingegnere forestale di questo atteggiamento di accompagnamento: «Giovani piantine di alberi di varie specie sono cresciute. Il nostro lavoro è stato allora di liberarle delicatamente, di accompagnarle, di accogliere la vita della natura invece di credere che fosse scomparsa, invece di reimpiantarla artificialmente. Questo per noi è stato incoraggiante. In questa logica, abbiamo deciso di lasciare nelle foreste dello Stato e dei comuni le tracce dell’uragano, qualora non fosse necessario farle scomparire per la sicurezza o le condizioni di lavoro degli operai forestali. Abbiamo così lasciato ceppi rovesciati, buchi, tronchi spezzati o mucchi di rami. Tre anni dopo, ho potuto constatare in alcune foreste che queste «anomalie» avevano permesso l’installazione di piante o di animali che non erano presenti nella foresta «normale» di prima» (Jean-Hugues Bartet è ingegnere del Génie Rural des Eaux et des Forêt. È specializzato in gestione delle crisi all’Office National des Forêts. Era responsabile delle foreste pubbliche di Lorena al tempo delle tempeste del 1999. È anche diacono permanente). Procediamo ad un esercizio di transfert. Anche la Chiesa ha conosciuto, soprattutto da una quarantina d’anni, un uragano. Il panorama religioso, almeno nelle sue espressioni tradizionali, è devastato. Certo, il paragone non può diventare norma: l’umanità nonè una foresta e gli esseri umani non sono delle piante. Ma ciò che ci interessa, analogicamente, per il nostro scopo, è il cambiamento di atteggiamento dei forestali: il loro passaggio da una politica volontaristica di ricostruzione della foresta ad una politica di accompagnamento, attiva e lucida, di una rigenerazione in corso. Non si dovrebbe operare lo stesso passaggio anche in pastorale: passaggio da una pastorale di “inquadramento” (d’encadrement) a una pastorale di “accompagnamento” (d’engendrement)?» (A. Fossion, Evangelizzare in modo evangelico. Piccola grammatica spirituale per una pastorale di accompagnamento (d’engendrement), relazione al XLII Convegno nazionale organizzato dall’Ufficio catechistico della CEI a Genova, dal 16 al 19 giugno 2008, dal titolo “La vocazione formativa delle comunità cristiane”; il testo è ripreso da Quaderni della Segreteria Generale CEI, Notiziario Ufficio Catechistico Nazionale, n. 3, settembre, XXXVII (2008), Roma, pp. 41-42).