“Il mio secondo nome spiegato a Battisti che con cinque spari cambiò le nostre vite”. Lettera di Chiara Andrea Ajelli, nipote di Andrea Campagna, una delle vittime del terrorista arrestato in Bolivia [Amore e giustizia]
Riprendiamo da Repubblica del 18/1/2019 una lettera scritta da Chiara Andrea Ajelli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Giustizia e carcere.
Il Centro culturale Gli scritti (20/1/2019)
Oggi voglio raccontarvi una storia: quella del mio secondo nome. Come dissi a una persona quest’estate, è una storia lunga e triste. Ma se avete tempo, fermatevi e leggete, penso ne valga la pena. Tutti mi conoscono come Chiara, ma solo poche persone sanno che il mio nome completo è Chiara ANDREA.
Questa è la storia di Andrea, un giovane ragazzo di 24 anni che a causa dell’arroganza umana vide rubarsi la vita prematuramente, e della sua famiglia, che ancora oggi porta le cicatrici delle ferite inflitte quel 19 aprile 1979. Andrea era mio zio, quella famiglia è la mia, e l’uomo che l’ha ucciso è il terrorista, e nessuno dica ex, Cesare Battisti. Non vi racconterò di come è stato ucciso, potete leggerlo sui giornali. Non vi racconterò di che persona era, tutto ciò che so è solo attraverso i ricordi della mia famiglia. Il mio racconto parla di come un uomo malvagio, con un semplice gesto, sia riuscito a condizionare e a stravolgere per sempre la vita di un’intera famiglia.
Fin da bambina la domanda che più spesso ho sentito porre a mia mamma è: «Se dovessi incontrare Cesare Battisti cosa gli chiederesti?». Non essendo mai stata in grado di immaginare quanto grande potesse essere il dolore della perdita di un fratello, la mia mente ha sempre cercato di rispondere in qualche modo a questa domanda, e i fatti recenti di oggi mi hanno aiutata a fare ordine a tutti quei pensieri. Vorrei sapere se aveva pensato a tutte le conseguenze. Che avrebbe ferito una famiglia intera di generazione in generazione, che avrebbe fatto invecchiare di 20 vent’anni un padre e una madre, che avrebbe privato una bambina della sua infanzia, un ragazzo della sua adolescenza e una donna del lieto avvio della sua vita.
Lo sapeva che queste persone avrebbero ringraziato per tutta la vita che gli ultimi momenti insieme ad Andrea erano stati felici? Lo sapeva che a causa sua una mamma avrebbe ascoltato di notte il respiro della figlia per timore di perderla, che avrebbe aspettato i figli sveglia di notte per assicurarsi che fossero tornati a casa sani e salvi? Lo sapeva che avrebbe distrutto l’innocenza di bambini che fin da piccoli hanno sempre saputo che le cose brutte possono accadere anche a loro? Lo sapeva che queste persone non avrebbero mai potuto lasciare qualcuno con rabbia nel timore di non avere più l’occasione di chiarirsi? Lo sapeva che dei nipoti si sarebbero chiesti per tutta la vita come sarebbe stato avere ancora lo zio? Lo sapeva che con un singolo gesto avrebbe cambiato la vita di almeno 20 persone? Ma soprattutto, quale onnipotenza, quale arroganza, quale narcisismo lo ha fatto credere degno di avere il diritto di decidere chi deve vivere e chi invece deve morire? Ecco, questo vorrei sapere.
C’è una famosa canzone che dice «Pensa, prima di sparare pensa, che puoi decidere tu...». Cesare Battisti non ha pensato, ha solo deciso, e lo ha fatto cinque volte. Cinque colpi che riecheggeranno per sempre nella vita dei cari di Andrea. Oggi finalmente inizia a scontare la sua pena, e io spero che per lui sia arrivato il tempo di pensare. Anche se ormai è troppo tardi, perché Andrea si è perso, e nessuno ce lo potrà mai ridare.
Ve l’avevo detto. Era una storia triste. Ma quello che le persone non sanno è che la famiglia Campagna è una famiglia forte. Una famiglia positiva. Una famiglia come l’araba fenice che ha saputo rinascere dalle sue ceneri più forte di prima. Perché alla fine si sa, è con l’amore che si vince l’odio. E noi abbiamo imparato a non darlo per scontato. Ad apprezzare ogni singolo attimo di vita e a condividerlo con l’altro. E nel vivere la vita Andrea è sempre stato con noi, Andrea era vivo, noi abbiamo fatto rinascere Andrea. Non ci siamo mai arresi.
Oggi si chiude un capitolo storico, una missione di vita, un’impresa che quasi sembrava impossibile, e Andrea non è mai stato vivo in noi come lo è stato oggi. Perché i cattivi non perdono solo nelle favole, e anche se amara, quella di oggi è la vittoria più dolce che potessimo avere.
Questa era la storia del mio secondo nome. Un nome vivo, un nome forte, un nome di sacrifici, un nome di amore, un nome carico di responsabilità. Un nome che porto fiera. Il nome di un ragazzo. Il nome di una famiglia. La mia.