Il cristianesimo è la religione che ha più “capacità” di inculturazione: non c’è niente di più inculturabile del Vangelo, di Andrea Lonardo
- Tag usati: dialogo_interreligioso, intercultura, scritti_andrea_lonardo
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Intercultura.
Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2019)
L’atteggiamento dinanzi al cibo e alle bevande mostra immediatamente come mai il cristianesimo sia la religione con più “capacità” di inculturazione. Il fatto che non esistano cibi proibiti per la fede cristiana permette ad una persona che volesse accogliere il Vangelo di mangiare ciò che gli piace, senza dover cambiare alimentazione.
Il tabù alimentare, invece, che vieta non solo determinati cibi e bevande, ma anche che esige determinati modi di macellazione delle carni o di conservazione dei viveri perché non siano a contatto con altri viveri determinati diminuisce la capacità di “inculturazione”.
In un pranzo interculturale un cristiano può assaggiare le specialità di qualsiasi altra regione del mondo, mentre esponenti di altri culti non possono assaggiare molte delle migliori specialità italiane.
Meno evidente, ma forse ancor più importante, come questione che permette o blocca l’inculturazione è la questione del rapporto fra uomo e donna – e, più in generale, la questione del tabù sessuale. Se, chiaramente, il cristianesimo ha precise indicazioni riguardo al matrimonio o al sacerdozio e sa che esistono peccato in tale ambito, nondimeno il rapporto che Gesù ha avuto con donne come la samaritana, l’adultera, la Maddalena, ecc. ecc. ha fatto sì che non vi fosse alcun tabù in merito, nella frequentazione, nell’amicizia, nel perdono. Il rapporto di amicizia fra l’uomo e la donna, a tu per tu, senza alcun vincolo di parentela non solo non è proibito, ma anzi è, in molte storie di santità, presente. La donna studia e prega sia da sola sia in compagnia con l’uomo, senza alcun problema, anzi studio e preghiera sono incoraggiati. La donna divorziata e la vedova hanno la stessa libertà delle donne sposate o ancora vergini e, soprattutto, la stessa dignità. Quanto detto sembra ovvio, ma non lo è se si utilizza tale angolo visuale per indagare la “capacità” di inculturazione di diversi culti. Talvolta, in alcuni di essi, non è nemmeno consentito ad una donna di parlare a tu per tu, da sola e in segreto, non solo con un amico che non sia un parente, ma nemmeno con un ministro di culto dell’altro sesso. Ciò porta a limitazioni conseguenti nell’ambito dello studio e della preghiera, poiché alla donna sola possono essere limitati gli accessi alle occasioni di studio dove c’è presenza di maschi.
Ciò che è ancora meno evidente – e forse ancora più decisivo – è la “capacità” di inglobare una serrata critica alla stessa religione, ai suoi ministri e alle sue fonti. Nel cristianesimo, in questo in piena conformità con l’ebraismo, vige una libertà di ricerca totale sulle fonti. Non per niente l’ateismo è compagno di cammino della fede cristiana ed ebraica e, da secoli - anche se in alcuni periodi con forti tensioni e con persecuzioni che sono state sconfessate oggi come erronee - rappresenta l’altra faccia della medaglia della stessa fede. L’ateismo si è generato in paesi a maggioranza cristiani e lì, fino ad oggi, ha libertà di esprimersi pienamente, mentre altrove incontrerebbe vincoli e censure.
Anche questo può apparire scontato a prima vista e anzi può apparire ovvio che sui media si esprimano critiche alla storicità della vicenda di Gesù e, più ancora, di Abramo o di Mosè o che si dissenta con grande eco massmediatico sulle posizioni di un papa o dei vescovi o del clero, così come si dissenta dalla morale da essi proposta, o ancora che si contestino singoli dogmi o tutta intera la fede, ma ciò non appare più tale se solo ci si immagina cosa comporterebbe il criticare altri libri sacri o i ministri di culto o la morale religiosa in paesi che abbiano una maggioranza e delle leggi ispirate a culti diversi.
In questo ambiti – ed in altri ancora – è in gioco la “capacità” potenziale che ha un culto ha di inculturarsi, non solo rispettando ciò che un popolo ha prodotto nei secoli, ma ancor più apprezzandolo ed esaltandolo come contributo laico alla costruzione di una società più matura.