Più ottantenni che neonati: la Caporetto demografica dell’Italia, di Enrico Marro
Riprendiamo da Il Sole 24 Ore del 2/1/2019 un articolo di Enrico Marro. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Carità e giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2019)
N.B. de Gli scritti Ciò che dovrebbe destare interesse è che ad affrontare tale tema sia Il Sole 24 Ore e non un qualsiasi giornale cattolico. Per favore, cari politici del Comune, della Regione, della Nazione, cari giornalisti, cari “intellettuali” laici, potremmo incominciare a pensarci?
La Caporetto demografica italiana continua a peggiorare. Di recente l’Istat ha pubblicato i nuovi dati su “Natalità e fecondità della popolazione residente” confermando come il numero di nuovi nati registrati nel 2017 (458.151 bambini) sia il più basso dall’Unità d’Italia in poi, compresi i due conflitti mondiali.
È dal 2013 che, ogni anno, battiamo al ribasso questo record negativo. Non solo: lo squilibrio strutturale della popolazione italiana è arrivato a livelli tali che oggi, per la prima volta, il numero dei nuovi nati è sceso sotto quello degli ottantenni (482 mila al 1 gennaio 2018). I bambini nati l’anno scorso in Italia rappresentano meno della metà dei neonati del 1965, con il numero medio di figli per donna crollato da 2,7 a 1,3.
Ma c’è di peggio. L’Italia è diventata il Paese con i maggiori squilibri demografici all’interno dell’Unione europea. Il vero fanalino di coda, alle spalle della Grecia, penultima in classifica. Vediamo i dati Eurostat sul rapporto nuovi nati-ottantenni relativi al 2016: sul podio spicca l’Irlanda, dove abbiamo oltre tre neonati ogni ottantanne, seguita da Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Svezia e Gran Bretagna. In fondo ci sono Germania, Portogallo, Grecia e Italia.
RAPPORTO TRA NEONATI (TRA ZERO E UN ANNO) E OTTANTENNI AL 1° GENNAIO 2017 Fonte: elaborazione su dati Eurostat
Come sottolineano su Neodemos.info Corrado Bonifazi e Angela Paparusso, dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr, secondo le previsioni Onu, «tra il 2015 e il 2035 la popolazione in età lavorativa diminuirà in Europa di 49,3 milioni con le migrazioni e di 64,9 senza migrazioni: in termini relativi si tratta di un calo, nelle due ipotesi, del 10,8 e del 14,2%.
Germania e Italia sono quelli con le perdite maggiori in termini assoluti e relativi: senza alcun apporto migratorio la fascia di popolazione in età di lavoro diminuirà in entrambi i Paesi di circa un quinto, con un calo di 10,8 milioni di unità nel primo caso e di 6,8 nel secondo».
In Italia, Paese con una fecondità particolarmente bassa, «a rendere ancora più preoccupante la situazione è la diminuzione delle donne in età feconda (15-49 anni), scese di circa 900mila unità tra il 2008 e il 2017». Bassa fecondità e diminuzione delle donne in età riproduttiva rappresentano un doppio colpo mortale per la situazione demografica del nostro Paese.
Siamo, insomma, il Paese che più sta indebolendo le nuove generazioni, fondamentali per trainare la crescita e finanziare il sistema di welfare nei prossimi decenni, mentre assistiamo contemporaneamente a un aumento della popolazione anziana, che assorbe ricchezza.
Le conseguenze di questa situazione rischiano di essere pesantissime per l’Italia. «Se qualsiasi bene economico prodotto nel nostro Paese subisse un crollo, quello che al più si rischia è perdere un settore economico strategico - spiega sempre su Neodemos.info Alessandro Rosina, docente di Demografia all'Università Cattolica di Milano - . Anche le nascite possono essere considerate un bene prodotto: ma se si azzerano è però tutto il Paese, non solo qualche settore produttivo, che chiude».
«La diminuzione delle nascite non fa diminuire una popolazione in modo proporzionale a tutte le età, la erode dal basso: gli anziani rimangono (anzi aumentano), mentre si riduce la consistenza delle nuove generazioni. Si accentua quindi il peso della popolazione più vecchia, producendo squilibri generazionali che più si allargano e più costituiscono un freno alla crescita economica e alla sostenibilità del sistema sociale», conclude Rosina.
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