1/ L’ombelico di Gesù. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ La fatica del Natale. Perché non è un gioco e lì intorno le nostre relazioni sono quello che sono veramente, di Andrea Lonardo
1/ L’ombelico di Gesù. Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per altri articoli di Andrea Lonardo, vedi al tag scritti_andrea_lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (25/12/2018)
Raffaello, Madonna del Cardellino, particolare
Gesù aveva l’ombelico.
Non vi è uomo che non abbia quella ferita sul ventre. Non vi è donna che non porti il segno della “madre”.
Quella cicatrice è il segno carnale che una madre ci ha “gestato” (dal latino gestatio: il portare e il farsi portare). Una madre ha nutrito e fatto crescere ogni bambino, tramite quel cordone di cui l’ombelico è la memoria. Madre che non è solo un principio spirituale, bensì carnale e materiale. Una madre che è stata incinta, cioè che si è tolta la cinta, per il crescere di quel nuovo corpo nel suo grembo.
Gesù, per farsi uomo, è nato da una madre. Una madre che ha avuto il pancione.
Nella visitazione due donne incinte, Elisabetta e Maria, si abbracciano.
È rivoluzionario parlare di donne incinte. L’evidenza è accuratamente tenuta nell’oblio e nessuno sembra mai pensare che non vi è rivoluzione senza nascite, anzi che la vera rivoluzione è generare un bambino nuovo.
Senza nuove nascite la presente sarebbe l’ultima generazione e il mondo declinerebbe rapidamente verso la fine, verso l’estinzione della specie.
Rivoluzionario è permettere ad una nuova creatura di cambiare il mondo ben oltre la nostra possibilità di cambiarlo con le sole nostre forze.
Per l’invecchiato mondo occidentale scandaloso è non avere un compagno o una compagna. Anche alle vedove si propone di trovarsi uno straccio d’uomo. Chi non ha compagni sembra non aver diritto alla felicità.
Ma, nel profondo, la coscienza avverte la questione. E non è così fuori d’Europa. Mi raccontava una maestra delle novizie africana – una suora, cioè, scelta per accompagnare le future suore – di una madre che era venuta a chiederle che le facesse il favore di rimandare la figlia al villaggio. Lei l’avrebbe fatta mettere incinta, la ragazza avrebbe partorito un bambino, e poi l’avrebbe rimandata in convento, ma ormai come madre.
Perché non era possibile, per lei africana, concepire una figlia che non divenisse madre. Chi non è madre, da noi, non è donna – sembrava volesse dire.
Ma anche in occidente, nel segreto, esiste tale segreta consapevolezza. Un’amica mi parlava della sua esperienza di tante colleghe che l’aveva convinta dell’esistenza di quello che lei chiamava “orologio biologico”: a 37 anni, quando le sue amiche e colleghe avevano realizzato che sarebbe presto divenuto impossibile per loro diventare madri e generare bambini, scattava una molla per la quale improvvisamente cominciavano a guardarsi intorno per cercare un compagno che fosse padre dei figli desiderati.
Ed è pure il dolore di chi desidera un figlio e non riesce ad averlo – e, per fortuna, la fede cristiana annuncia che esistono una maternità e una paternità spirituale e che si può essere madri e padri di bambini che non sono figli della carne, ma hanno ombelichi di altre madri.
Gesù è stato nel grembo. È stato figlio prima di venire alla luce. Ha cambiato la vita di sua madre, prima che lei lo vedesse uscire dal proprio grembo. Maria sapeva che c’era. Sapeva che c’era un figlio in Elisabetta. C’erano due bambini, non due embrioni. E le due donne si sono salutate e abbracciate e hanno cantato.
Erano incinte. Il Magnificat è il canto di una donna incinta che loda Dio per il suo bambino – che poi è anche il Suo bambino.
Andrea Mantegna, Cristo morto, particolare
2/ La fatica e la gioia del Natale. Perché non è un gioco e lì intorno le nostre relazioni sono quello che sono veramente, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per altri articoli di Andrea Lonardo, vedi al tag scritti_andrea_lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (25/12/2018)
Perché il Natale può essere bello o terribile? Perché mette allo scoperto la vita con i suoi pranzi e le sue cene, con i suoi regali e le sue telefonate. Il Natale non è un videogioco dove se perdi o se vinci non cambia niente. Obbliga a fare i conti con la propria vita, con i lutti, le amicizie, le gioie, le famiglie, le appartenenze.
A Natale ognuno fa i conti con i propri rapporti, con ciò che ha costruito e con i suoi fallimenti. È come se ognuno fosse obbligato a mettere in fila chi c’è ancora, chi c’è più di prima, chi non c’è più o semplicemente c’è meno di prima.
A Natale non si scherza come in un videogioco. Ci si accorge che un po’ si è perso e un po’ si è vinto. Nella vita non è mai possibile vincere su tutta la linea e, nemmeno, perdere su tutta la linea. Si guadagna qualcosa e, allo stesso tempo, si perde qualchecosa d’altro.
Ma, dinanzi alla vita che non è uno scherzo e che si decide scelta dopo scelta, nasce un Bambino. Lui si aggiunge alle vittorie e ai fallimenti, alle sconfitte e alle conquiste. Ed è lui a dare serenità, sia riguardo a ciò che si è vinto, sia riguardo a ciò che si è perso. Lui libera dalle angosce e infonde pace.
È normale che a Natale si sentano le assenze e le presenze, i fallimenti ed i successi. Si sentono ma non è il Natale a generarli. Si sentono perché essi sono là. Il Natale, piuttosto, restituisce a chi crede - e fa intuire a chi non crede - quella serenità che né i fallimenti, né i successi possono togliere o dare.
Ciò che conta è che quel Bambino visiti i fallimenti ed i successi.