Il vero scandalo del Giudizio universale di Michelangelo secondo Marcello Venusti, di Andrea Lonardo
- Tag usati: giudizio_universale, marcello_venusti, michelangelo, scritti_andrea_lonardo
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Michelangelo e Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (13/1/2019)
Papa Paolo III con il cardinal nipote Alessandro
Farnese (a sinistra) e l'altro nipote, Ottavio Farnese,
duca di Parma (a destra), nel celebre dipinto di Tiziano
La copia del Giudizio universale michelangiolesco del Venusti viene ricordata perché, prima dell’ultima pulitura dell’affresco, permetteva di farsi un’idea dell’opera senza i “braghettoni” di Daniele da Volterra oggi rimossi e dava agio a dibattere del presunto scandalo dei “nudi”.
L’opera del Venusti ricorda, invece, esattamente il contrario e cioè come per il cardinal Alessandro Farnese che gli commissionò il dipinto, non vi fosse all’epoca niente di scandaloso nella rappresentazione delle figure umane.
Non si dimentichi che il Cardinal Alessandro Farnese il Giovane, detto il Gran Cardinale, era cardinal “nepote” del più importante Alessandro Farnese che sedeva allora come papa Paolo III (che fu papa dal 1534 fino al 10 novembre 1549, giorno della sua morte) e che aveva commissionato il Giudizio universale a Michelangelo[1].
La copia del Venusti venne realizzata nell’ultimo anno di vita del pontefice, il 1549[2], perché il Cardinal nepote Alessandro desiderava una copia dell’opera fatta realizzare nella Sistina dallo “zio” papa[3].
Esiste però uno “scandalo” coperto dal Venusti che non consiste nei “braghettoni”, bensì è di tutt’altra natura.
Il copista, infatti, si sentì obbligato ad inserire nell’impianto iconografico del Buonarroti le figure del Padre e dello Spirito. Mentre nel Giudizio universale della Cappella Sistina è il Cristo solo a giudicare il mondo, nella riduzione del Venusti al di sopra di lui appaiono le altre due persone della Trinità[4].
Michelangelo, infatti, riproduce alla lettera un particolare impressionante del giudizio universale così come Gesù lo descrive nelle sue parole e precisamente il fatto che sarà lui stesso il Giudice e non Dio Padre.
È uno dei rilievi più forti delle parole di Gesù riportate in Mt 25: sarà egli stesso a giudicare il mondo. Non il Padre, ma egli stesso, con tutta la pretesa che ne risulta di essere non un rabbino qualsiasi, bensì il Figlio stesso di Dio:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,31-36).
Quando buoni e cattivi gli chiederanno quando mai lo abbiano incontrato in terra, egli risponderà loro che ogni volta che prestarono soccorso al più piccolo fra gli uomini, lo fecero non solo a quella persona, non a Dio Padre, ma a lui stesso. “Lo avete fatto a me”.
Michelangelo Buonarroti ebbe il coraggio di rappresentare alla lettera tali parole. Infatti nel suo Giudizio universale della Cappella Sistina al centro si vede solo il Cristo: egli giudica, egli condanna, egli salva. Michelangelo non rappresentò così né il Padre, né lo Spirito Santo (pur essendo essi, ovviamente, implicitamente presenti, sia nelle parole di Gesù, sia nella mens del Buonarroti).
L’azzardo rappresentativo – che implica la pretesa di Gesù di essere lui il giudice, il Figlio del Padre, il suo rivelatore e la sua Parola – appare con evidenza se si raffronta l’affresco di Michelangelo con la copia che ne fece Marcello Venusti.
Il Venusti inserì al di sopra del Cristo giudice e salvatore la colomba dello Spirito Santo e più in alto ancora la figura del Padre.
Volle insomma mostrare che era l’intera Trinità a giudicare il mondo.
Michelangelo non avvertì, invece, tale necessità poiché, nella Sistina, la rappresentazione del Figlio è sufficiente.
Venusti volle innovare rispetto a tale rappresentazione, “velando” la figura del Cristo di modo che fosse accompagnata dallo Spirito Santo e dal Padre e non giudicasse isolata.
Note al testo
[1] Paolo III (Alessandro Farnese) portò a compimento il disegno già concepito da Clemente VII che già nel 1533 aveva richiesto al Buonarroti di realizzare il Giudizio. Paolo III (che fu l’ultimo papa rinascimentale e insieme colui che aprì il Concilio di Trento nel 1545) chiamò Michelangelo nel 1534 ad iniziare i lavori, anche se essi ebbero inizio solamente nel 1536, quando l’artista aveva 61 anni. L’affresco venne “scoperto”, cioè rivelato al pubblico con una solenne inaugurazione, la Vigilia della festa di Ognissanti del 1541, quattro anni prima dell’apertura di Trento (cfr. su questo A. Lonardo, Dove si eleggono i papi. Guida ai Musei Vaticani. Cappella Sistina, Stanze di Raffaello, Museo Pio Cristiano, Bologna, EDB, 2015, pp. 40-49 e Guida alla visita della Cappella Sistina (Musei Vaticani), di Andrea Lonardo.
[2] Venusti risulta essere a Roma già verso la fine del 1541, intento a “disegnare” il Giudizio Universale appena scoperto, come dimostrano le lettere dell’ambasciatore dei Gonzaga a Roma, Nino Sernini, al cardinale Ercole in data 4 dicembre 1541 e 5 agosto 1542, che attestano la volontà del Gonzaga di avere una copia a disegno del Giudizio Universale di Michelangelo (per il testo delle lettere, cfr. G.W. Kamp, Marcello Venusti. Religiöse Kunst in Umfeld Michelangelos, Egelsbach-Köln-New York 1993, documenti 1 e 2, pp. 132-133). Nella seconda delle due lettere vi è un accenno alla stima che nacque allora nel Buonarroti per il Venusti: «Di nuovo ricordo a V. Ill.ma che al mio ritorno di costa’ truovai a sorte un giovine mantovano il qual ritrova l’opera nuova ch’ a’ fatto in Capella Michelangelo, il quale intendo ch’à hauto a dire che non conosce giovane di quella età che sia suo pari et che se farà grand’huomo et se ben me n’intendo a pare che avanzasse tutti gli altri che vi andavano. M. Curtio mi ha detto che Michelangelo lo lauda tanto» (cfr. G.W. Kamp, marcello Venusti, op. cit, documento 2, pp. 132-133; due disegni di Marcello Venusti del Giudizio Universale erano segnalati infatti nell’inventario dell’archivio Gonzaga del 1627 da C. D`Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, Mantua 1857, II, p. 161, p. 166 riportato in B. Davidson, Drawings by Marcello Venusti, in Master Drawings, 11 (1973), p. 17 nota 8); mentre un disegno del Giudizio Universale di mano di Marcello Venusti è ricordato anche negli Inventari – indicazioni tratte da A. Forcellino). Forse proprio a partire da questi giudizi meritevoli del Buonarroti nacque la richiesta al Venusti di una copia del Giudizio Universale da parte dei Farnese non “romani” nel 1549.
[3] La copia del Giudizio universale del Venusti finì, insieme a tutta la Collezione Farnese (con opere che erano state raccolte nelle collezioni Farnese di Parma e Piacenza e di Roma), al Museo Nazionale di Capodimonte (dove si trova tuttora) quando nel 1734 Carlo di Borbone, divenuto re di Napoli, decise di trasferire la collezione ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese, nella capitale del suo nuovo regno (cfr. su questo M. Utili – N. Spinosa (a cura di), Museo di Capodimonte, Milano, TCI, 2002).
[4] Fra l’altro nella disposizione architettonica della Sistina non ci sarebbe stato spazio per le due figure dello Spirito e del Padre, mentre il Venusti, avendo deciso di trasportare l’opera su di un impianto rettangolare, si trovò forse a ritenere lo spazio al di sopra del Cristo pittoricamente vuoto.