L’Ospedale Santo Spirito in Sassia. La Tradizione Assistenziale Romana, di Pier Paolo Visentin
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Riprendiamo sul nostro sito, per gentile concessione, un testo del dott. Pier Paolo Visentin, sintesi dell’intervento che egli ha tenuto per il cic lo Roma by night il 14/12/2018. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche. Qui il file audio dell'incontro: La storia della medicina negli ospedali di Roma.
Il Centro culturale Gli scritti (13/1/2019)
Nella storia dell’umanità la malattia è sempre stata considerata come il paradigma fondamentale del dolore ma non l’unico, ad esso spesso si accompagnano aspetti estremi dell’esistenza quali la miseria, l’emarginazione, le persecuzioni che danno vita ad una prospettiva globale di sofferenza che ha sempre spinto colui che soffre a cercare un rifugio ove trovare sollievo e ospitalità per il proprio dolore.
È in questo contesto che l’uomo edifica l’ospedale come asilo alle pene fisiche e morali, un luogo dove sotto diverse e mutanti prospettive nel corso dei secoli si è cercato e si cerca di esprimere una solidarietà che giunga sino alla estrema conclusione della vita.
L’Ospedale quindi è una istituzione e uno spazio che nei suoi molteplici significati accompagna la storia dell’uomo sin dai tempi dell’antichità, è il luogo individuato nelle civiltà pagane in un tempio di una divinità benevola che attraverso i suoi sacerdoti dava suggestioni di guarigione, è il luogo dove nei secoli dopo la venuta di Cristo si dava una speranza attraverso un significato trascendentale del dolore, è il luogo dove oggi in moderni e avveniristici edifici intrisi di tecnologia alberga la fiducia che fornisce le certezza della scienza.
[Gli studiosi] hanno individuato diversi aspetti che contribuiscono alla cura complessiva della persona nelle manifestazioni più drammatiche quale il dolore, tra cui segnalano anche l’aspetto umanistico della medicina come viene descritto dalle testimonianze della storia, aspetto che questa relazione vuole rappresentare attraverso una narrazione delle principali vicende dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia di Roma, l’ospedale più antico del mondo che nei secoli sino ai giorni nostri ha espresso una tradizione assistenziale che lo annovera tra i protagonisti della Storia della Medicina.
Roma fu una delle principali città che recepì la concezione della creazione di un luogo polivalente nel fornire una serie di servizi che oggi definiremmo sociali, quali l'assistenza ai poveri, orfani e gruppi marginali, l'assistenza al viaggiatore o pellegrino, l'assistenza al malato.
Nell'alto medioevo queste strutture erano note prevalentemente con il nome di xenodochio (ricovero per forestieri), e costituivano la prima forma d'assistenza organizzata lungo le strade o nei centri urbani, indirizzata specificamente ai forestieri. È importante notare che nei secoli VIII-X queste istituzioni erano sempre annesse o parte integrante di abbazie e chiese, anche se architettonicamente costituivano delle strutture distinte.
I primi ospedali nati nell'alto medioevo erano quindi strutture non specializzate e che soddisfacevano le diverse esigenze che caratterizzavano la società del periodo. Dall'XI secolo il termine ospedale sostituì quello di xenodochio in modo definitivo, anche se non si accompagnarono contestualmente a cambiamenti sostanziali nelle funzioni e nell'organizzazione dell'assistenza.
La storia dell’attuale Ospedale di S. Spirito, la possiamo far iniziare nell’VIII secolo, quando nell’attuale tratto di riva del Tevere, non lontano dalla basilica sorta sulla tomba di S. Pietro, il re del Wessex, Ina, fondò la “Schola Saxonum” luogo che era ad un tempo albergo, ospizio, ospedale, chiesa (allora denominata S. Maria in Saxia) e cimitero per assistere gli Angli ed i Sassoni, che sempre più numerosi, dopo la conversione ad opera di Gregorio Magno, giungevano in pellegrinaggio alla tomba del principe degli apostoli.
Dunque il nostro Ospedale trae le sue origini da una istituzione britannica per l’assistenza ai propri pellegrini, tra cui i più illustri in quest’epoca si annoverarono importanti personaggi quali il re inglese Alfred e il Macbeth immortalato da Shakespeare, e il re Ina va ricordato come sovrano illuminato e benefattore in quanto la sua opera di soccorso venne diffusa anche a beneficio delle classi più misere dei cittadini romani, ispirando in definitiva quella che sarà la “politica” assistenziale del nosocomio fondata sulla preminenza del debole e del sofferente.
A seguito della conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni, assistiamo alla decadenza della Schola che alla fine del sec XII era deserta e fatiscente. La crescente domanda determinata da disagio economico e sociale della popolazione romana, venne avvertita da un grande pontefice Innocenzo III, che inquadrò geometricamente nelle linee di un grande programma spirituale l’istituzione di un ospedale che doveva diventare una testimonianza fondamentale dell’azione di riforma promossa nella Chiesa e nel mondo civile da questo pontefice.
Sebbene sia una leggenda sorta oltre cento anni dopo la morte del papa, si volle che la decisione di questa opera fosse il frutto di un sogno del papa che ebbe in visione il ritrovamento da parte di pescatori nel Tevere di cadaverini di neonati uccisi da madri sciagurate. Commosso dal sogno il papa fece dragare il fiume dove vennero rinvenuti parecchi corpicini. Come atto espiatorio sul luogo del ritrovamento in riva al Tevere volle che fosse eretto l’Ospedale.
Tale leggenda ha contribuito forse nel corso dei secoli a caratterizzare il S.Spirito per la particolare attenzione che dette agli orfani, agli abbandonati, alle prostitute che diventerà uno dei capisaldi fondamentali dell’assistenza nei secoli successivi.
In realtà forse Innocenzo III seppe cogliere il significato dell’opera dei saxoni che si era esaurita, e individuò nel luogo della schola rappresentata dalla chiesa di S. Maria in Saxia sulle rive del Tevere il luogo ideale per far sorgere l’Ospedale in favore dei pellegrini.
La scelta venne determinata dalla locazione strategica in quanto era sul passaggio per S. Pietro sia per chi proveniva dalla città dal Ponte Elio (S.Angelo) sia per chi proveniva dal nord attraverso le strade Cornelia e Trionfale, sia per chi arrivava via mare attraverso il fiume e la via Sancta (odierna della Lungara).
Il papa inviò una istanza al sovrano inglese Giovanni Senza Terra per ottenere quei luoghi in donazione dai legittimi proprietari; non abbiamo il testo di questa istanza, ma abbiamo la risposta del munifico Re che oltre alla donazione della Schola aggiunge un’oblazione che egli dona per il mantenimento dei poveri e degli infermi. Re Giovanni Senza Terra, famoso per aver istituito il più antico parlamento, emerge anche quale autore della prima donazione in favore di quello che sarebbe divenuto il più antico ospedale oggi esistente.
Venne quindi edificato questo primo edificio dell’Ospedale che all’inizio mantenne il nome di S.Maria in Saxia, la chiesa su cui veniva eretto. Doveva essere veramente ampio in quanto poteva contenere almeno trecento letti, oltre i quali si deve calcolare anche la possibilità di accogliere almeno un migliaio di persone che oggi definiremo per una assistenza ambulatoriale. Quindi insieme con la funzione ospedaliera, l’istituto assumeva il compito di provvedere in generale alla pubblica indigenza.
Con un documento solenne, la bolla del 1204 indirizzata a “Guido rettore dell’Ospedale Santa Maria in Saxia”, Innocenzo III affida l’istituzione a Guido da Montpellier che aveva già fondato nella città natale, famosa per una scuola di medicina, l’Ordine di Santo Spirito per l’assistenza caritatevole ai poveri e bisognosi.
La regola dello statuto ospedaliero era basata sul principio che “il malato è il padrone e coloro che lo assistono i suoi servitori”. I fasti dell’Ospedale si fondono intimamente con il sodalizio religioso costituito da Guido verso la fine del secolo XII consacrato allo Spirito Santo e nato per “reficiuntur famelici, paupertes vestiuntur, necessaria ministrantur infirmis” come riconosciuto da Innocenzo III che ne diveniva appunto un protettore tanto da affidargli il primo Ospedale romano. È con una lettera del 3 Gennaio 1208 il Papa onora Guido assegnando definitivamente il nome di Santo Spirito in Saxia all’Ospedale; pochi mesi dopo moriva Guido da Montpellier.
I secoli XIII e XIV possono annoverarsi tra i più favorevoli allo sviluppo dell’Ospedale, via via crescono le donazioni che renderanno l’Ospedale particolarmente opulento. Anche durante il periodo avignonese dei papi, questi non mancarono di sostenere l’istituzione ospedaliera favorendone l’estensione dei possedimenti.
Con il ritorno dei papi da Avignone si instaura un periodo buio per l’Ospedale che viene coinvolto nelle lotte cittadine e solo con Eugenio IV si assiste alla rinascita. Questi trasforma l’Ordine da istituzione di frati laici in istituzione ecclesiastica rendendo preponderanti i sacerdoti e l’ordine perde la possibilità di eleggere il Precettore tra i suoi componenti. Vengono nominati periti per indagare sulla cattiva amministrazione dei frati dell’Ordine e viene attuata una politica d’investimento che porta al restauro degli edifici in rovina, il miglioramento d’investimento dei servizi di assistenza grazie all’assunzione di nuovo personale.
Si assiste così all’aumento del numero dei malati accolti. In particolare Eugenio IV verifica l’indisponibilità di locali per assistere donne per cui istituisce nei pressi dell’Ospedale presso il Camposanto Teutonico un edificio solo per donne con personale esclusivamente femminile ed una sua Direttrice. A questo Ospedale assegna inoltre una rendita da aumentare se non dovesse rivelarsi congrua.
Infine l’ultima grande iniziativa di Eugenio IV è l’istituzione della Confraternita secolare dove si associano le persone più importanti che dovranno annualmente lasciare un grosso beneficio all’Ospedale in cambio di lucrose indulgenze ed arriveranno ad essere oltre 100.000.
I papi che seguirono Niccolò V e Callisto III proseguirono l’opera di difesa e risanamento dell’Ospedale, ma è con Sisto IV che il S.Spirito riceve un grande impulso, infatti viene da questo papa riedificato ed assume quel carattere monumentale che ancora oggi conserva.
La ricostruzione ha dell’eccezionale, si pensi che in meno di tre anni furono rasi al suolo gli edifici precedenti e ricostruito l’attuale complesso monumentale; Sisto IV costruì il nosocomio più sontuoso dell’epoca animato dall’intenzione di istituire una vera e propria reggia per il povero, considerato in obbedienza al precetto evangelico come la persona stessa del Redentore.
Appare interessante a questo punto fare dei rapidi accenni che diano un’idea di come fosse regolata l’assistenza nell’Ospedale primitivo, come è stato estrapolato dal più antico e prezioso cimelio posseduto nell’archivio: Il Liber Regular S. Spiritus”, un volume interamente scritto su pergamena ricco di miniature e fregi. Molto brevemente si evince che l’organizzazione era diretta dal Precettore, e ricordiamo alcuni degli aspetti assistenziali più suggestivi.
Ogni settimana una carriola con i fregi dell’ospedale veniva inviata in città a soccorrere infermi abbandonati e li trasportava come primitiva ambulanza in Ospedale dove avveniva una sorta di accettazione che consisteva innanzitutto nei conforti spirituali, confessione e comunione, consegna di eventuali oggetti personali a frate incaricato, e quindi ricovero in letti singoli con consegna di un berretto.
Venivano accolte donne per il parto e per l’allattamento, in particolare si incentivava il ricovero delle donne traviate per essere redente con matrimonio cristiano.
La pulizia dei malati erano divise in due giorni, il martedì la pulizia del capo, il giovedì la lavatura dei piedi. Con la regola della pulizia si stabilisce anche il cambio di biancheria senza termini fissi, bensì ogni volta che sia necessario. Infine si viene a conoscere anche l’esistenza di regole di disciplina per gli inservienti, come quelli che sorpresi essere venuti alle mani, vengono allontanati a calci dall’Ospedale.
Quindi sin dagli esordi l’Ospedale Santo Spirito non fu solo un luogo di rifugio, ma espresse anche il modo come assistere il sofferente divenendo un esempio, come lo testimonia il giudizio lusinghiero di Martin Lutero, un personaggio non certamente benevolo verso il papato, ma coerente nel riconoscere quale era l’assistenza ospedaliera a Roma e in Italia; scrive Martin Lutero al ritorno del suo viaggio in Italia:
“Gli ospedali in Italia sono ben provveduti, hanno splendide sedi, forniscono cibi e bevande ottime, il personale è assai diligente, i medici dottissimi. Appena entra un infermo questi depone il vestiario e quanto altro gli appartiene; di tutto viene presa nota per un’ordinata custodia. Poi l’infermo indossa un camice bianco, e gli viene apprestato un buon letto con biancheria di bucato. Subito dopo sopraggiungono due medici ed inservienti che portano cibi e bevande, contenute in vetri tersi, che non vengono toccati nemmeno con un dito, ma presentati sopra vassoi. Anche matrone velate per alcuni giorni servono gli infermi, quindi non conosciute tornano alle loro case.”
Per confermare l’obiettività di Martin Lutero vediamo cosa aggiunge nel giudicare uno degli aspetti assistenziale del S. Spirito: il Brefotrofio.
“Se v’è un inferno, Roma dev’essere stata sovr’esso edificata: è un abisso da cui escono tutti li peccati… Sono tanti i figli di donne di mala vita, ch’è stato necessario costruire ospizi per ricoverarli e allevarli, e il papa si da il nome di padre di loro e nelle grandi processioni si onora quasi di farli camminare in ischiera innanzi alla sua maestà. Sono i figli del papa, ed il papa non si vergogna di tale paternità!”.
Il Brefotrofio merita una descrizione particolare, in quanto l’assistenza ai bambini esposti oltre ad essere stata nella leggenda la causa ispiratrice della fondazione dell’Ospedale, essa era compresa nella regola di Guido. Tale istituzione fu tanto importante che nel tempo il brefotrofio divenne l’attività assistenziale più impegnativa del Santo Spirito a motivo della spesa ingente e delle cure particolari. Da forma di soccorso offerta accessoriamente si arrivò a ufficializzarla con la costruzione della famosa ruota che ancora oggi, perfettamente conservata, si può vedere in Borgo Santo Spirito.
La ruota su cui veniva deposto il bambino veniva fatta ruotare in maniera che suonava un campanaccio che avvertiva il custode il quale gridava per domandare se questi fosse battezzato. Quindi il bambino veniva deposto in un drappo azzurro colore simbolico del Santo Spirito e deposto in un’altra ruota per essere consegnato alla prioressa delle balie. Questa osservava il bambino, annotava eventuali segni distintivi, ne annotava in un libro il giorno dell’accoglienza come “Filio M. Ignotae” e quindi lo consegnava ad una balia che lo lavava in vino caldo, lo rifocillava e quindi lo deponeva in culla. Le balie erano 25 interne e circa 2000 reclutabili all’esterno.
I maschi rimanevano fino all’età di 7 anni, le femmine fino agli 11 anni.
Con Innocenzo VIII vennero concesse indulgenze per chi li allattava, li adottava o chi prendeva in moglie una delle proiette maritabile. Infatti mentre i maschi dopo i 7 anni venivano avviati ad un mestiere e quindi affidati al mondo esterno, le femmine venivano trattenute sino a che non si fossero sposate, divenendo un incubo per gli amministratori la comunità femminile sempre più numerosa ed inquieta per le regole di clausura imposte.
Il giudizio lusinghiero nei confronti dell’assistenza raccontata da Lutero coincise in realtà con la fine di un’epoca “aurea”; pochi anni dopo Bernardino Cirillo uno dei più attivi Precettori del Santo Spirito dovette riconoscere un preoccupante decadimento dell’assistenza, egli descrive un girone infernale dantesco le corsie di degenza, malati abbandonati da inservienti che si rifiutano di praticare le cure, e cibo, vino e biancheria viene fornita solo pagando. Il Precettore lamenta la negligenza dei medici che non si fanno mai vedere, deplora la condotta dei chirurghi che vedono nei malati strumenti per l’esperienza, e peggio di tutti appare il trattamento delle nutrici verso i poppanti.
Da questa triste condizione si uscì grazie proprio a quei principi su cui venne fondato il Santo Spirito, principi che vennero fatti propri e sviluppati da uomini che si rivelarono grandi santi.
Il primo fu un amico di Bernardino Cirillo, San Filippo Neri che con la fondazione dell’Oratorio organizza praticamente il volontariato negli Ospedali. I suoi seguaci si rivelarono preziose figure per ridare impulso ai doveri assistenziali degli inservienti che rifiutavano trascinati dall’atmosfera edonistica dell’epoca servizi disgustosi. I risultati dovettero essere vantaggiosi perché i commendatori di Santo Spirito da quell’epoca in poi non mancarono di riunire periodicamente i liberi ausiliari della carità per averne informazioni e consigli, mentre non risparmiano severe ordinanze contro i colpevoli di maltrattamenti.
Le visite ai malati erano divise secondo i partecipanti sacerdoti o secolari, che giunti al letto del sofferente si prodigavano sia nel conforto dello spirito, sia con gli opportuni soccorsi della somministrazione di cibo e cure alla persona come la nettezza dei letti e la rasatura e lavaggio dei malati.
Filippo Neri predilesse il Santo Spirito e Bernardino Cirillo non esitò a raccogliere i suggerimenti del santo nell’apportare tutte quelle modifiche utili a migliorare l’assistenza, come quella di separare gli acuti dai cronici costruendo dinanzi al S. Spirito il Pio Istituto della Santissima Trinità per i convalescenti ed i Pellegrini lasciando l’Ospedale solo per gli acuti.
Altro personaggio che si distinse per l’abnegazione e l’esempio nell’assistenza ai malati fu S. Camillo de Lellis a cui fu concessa una stanza all’interno dell’Ospedale per abitarvi. S. Camillo era un assiduo frequentatore dell’ospedale dove s’impegnava a rifare i letti, a dare da mangiare agli ammalati, a pulire la corsia ed ogni altra umile mansione. Ciò fu di esempio soprattutto per i giovani assistenti che frequentavano le corsie per esercitarsi i quali anche loro imitarono il santo nelle pratiche assistenziali. D’ora in poi il corpo medico si riscattò dal periodo buio della seconda metà del 500 e riacquistò il valore etico della tradizione scientifica. S.Camillo morente si fece trasportare nella corsia del S.Spirito dove morì.
Altro santo famoso che ha lasciato un ricordo al S. Spirito è S. Giuseppe Calasanzio contemporaneo di S. Camillo di Lellis, il quale presso l’Ospedale aveva aperto una scuola gratuita ove erano ammessi tutti i ragazzi compresi gli ebrei. Ciò accese nei suoi confronti una disputa dell’assessore del S. Spirito mons. Francesco Albizi che giunse fino a farlo arrestare. La storia volle che un pronipote ed omonimo Mons. Francesco Albizi eletto commendatore del S.Spirito riabilitasse la memoria dell’Opera del Calasanzio facendogli costruire una cappella a lui dedicata all’interno di una Corsia.
Altro Santo che prestò la propria umanità all’Ospedale fu S. Giovanni Battista de Rossi dove si distinse per l’assistenza ai tisici, poco assititi per la paura del contagio. Altri santi romani da ricordare che mantennero con l’apostolato e la presenza il livello assistenziale caritatevole ed irrinunciabile furono S. Gaspare del Bufalo e S. Vincenzo Pallotti.
Da quanto sinora abbiamo esposto appare che la concezione assistenziale di tipo caritativo basata sulla "regula XLII" dell'ospedale fosse l’unica spinta che mantenesse operante l’istituzione, ma in realtà con la riedificazione di Sisto IV comincia ad emergere l'interesse per la specificità dell'ospedale, una specificità che doveva essere salvaguardata di fronte al rischio di un ritorno al passato, di una ritrasformazione cioè dell'ospedale in ospizio. Questa nuova “politica” si concretizzò con la centralità della cultura medica che animerà da ora in avanti l’Ospedale di Santo Spirito.
Sebbene appaia doveroso sottolineare che l’aspetto culturale assistenziale fu presente sin dall’inizio con Innocenzo III quando si cominciò ad accettare che la malattia non fosse più intesa solo come conseguenza del peccato, e quindi venivano stimolate le operazioni atte a contrastarla, tuttavia è nel secolo XVI che si viene ad affermare l’esigenza di ristabilire “l’armonia” perturbata dalla malattia con l’incremento degli studi dal vero, ponendo le basi metodologiche della sperimentazione diretta. Così apprendiamo che Leonardo da Vinci soggiornò per qualche tempo al Santo Spirito dove venne criticato per lo “scorticare” alcuni cadaveri.
Quindi l’organizzazione assistenziale non volendosi più limitare solo agli aspetti caritatevoli, cominciò a volgere l’attenzione anche alle strutture medico-terapeutiche attuando la sistemazione di una farmacia, oramai lo strumento fondamentale dell’attività medica. La Spezieria operava a pieno regime con un capo speziale e quattro aiutanti, organico che poteva aumentare all’occorrenza per curare la qualità e freschezza dei medicinali. Vi era una sorta di controllo di qualità in quanto periodicamente era controllata da medici e personale dell’Amministrazione interna più uno speziale “forestiero e dei più pratici di Roma”. La disponibilità di materie prime era assicurata con un accordo tra i medici ed il collegio degli Aromatori romani secondo la “Lista rerum petendarum”.
Il Santo Spirito per il normale uso si approvvigionava di: canfora, rabarbaro, ruta, cannella, camomilla, aloe, garofani, menta, assenzio, liquirizia, euforbio, papavero, elleboro, capelvenere, orzo, salvia, noce moscata, bacche di lauro, pece greca, allume, trementina, laudano, manna, zafferano. Facevano parte del personale dell’Ospedale i “cicoriari” incaricati di raccogliere viole ed erbe semplici nella campagna intorno a Roma muniti di lasciapassare che li esentava dal pagamento di dazi e gabelle. Le terapie si basavano sull’esperienza dei sintomi e degli effetti su di questi dei prodotti vegetali secondo la tradizione di Galeno.
Il Santo Spirito fu all’avanguardia delle scoperte farmacologiche e con la scoperta dell’America fu tra i primi ad importare droghe e spezie per nuovi rimedi: digitale, curaro, balsamo del Perù (china) cioccolata, caffè, tabacco. L’uso della “Corteccia Peruviana” la china rivoluzionò il metodo di cura della malaria, febbre endemica a Roma e nella campagna circostante. Il rimedio venne diffuso proprio dal Santo Spirito di cui la Spezieria aveva il monopolio della fabbricazione sotto la direzione del Cardinale gesuita Giovanni di Lugo; deve essere sottolineato che la distribuzione era gratuita.
Con il secolo XVIII si viene a definire una organizzazione interna dell’Ospedale rappresentata da: quattro medici principali che visitavano i malati due volte al giorno e medici soprannumerari a seconda delle eccedenze dei malati. Ai medici assistenti spettavano le guardie. Due cerusici principianti coi medici assistenti e due cerusici soprannumerari si incaricavano della chirurgia. Per cavar le pietre, i calcoli ed i mali d’orina veniva chiamato a seconda della necessità il litotomo. Il capo sanguigna aveva il compito delle sanguisughe e dei salassi a freddo e a caldo. All’unzionario competevano le applicazioni dei senapismi, empiastri e tagliare i capelli.
Quattro “caporali” soprintendevano al buon funzionamento e alla sorveglianza dell’operato dei giovani cui erano affidate le funzioni infermieristiche e si suddividevano in novizi, salariati, anziani, dovevano frequentare le scuole dell’ospedale e conoscere il latino per esservi ammessi. Il capo speziale provvedeva sotto il controllo dei medici principali alla preparazione dei farmaci. E ancora “facchini” e “scopatori” tutti dovevano collaborare all’imboccare i malati. Il cuoco coi garzoni e sguatteri di cucina, dispensieri, capo materassaio, portinaio, organista, (durante i pasti veniva suonato l’organo), scrivano, computista, becchino, tutti controllati dall’Ispettore. Così s’indicavano i turni di guardia su quattro diversi orari: di prima, di sciroppo, di visita, quarta o “guardione”.
Su specifici modelli di stampati venivano annotate le diete e i medicamenti prescritti con i vari simboli da riportare sulle tavolette a capo letto. Preciso e dettagliato mansionario nel quale per ciascuna qualifica del personale dipendente, ora per ora della giornata, è specificato quanto va fatto, quali i compiti, quali le punizioni per i trasgressori.
I sistemi di assistenza prevedevano le pene per chi trasgrediva che andavano dalla contumacia, alla privazione della tavola, al licenziamento. Le vecchie indicazioni rimangono come il lavare la testa degli infermi il martedì, e i piedi il giovedì., così come il cambio della biancheria all’occorrenza.
La grande disponibilità dell’Ospedale ad assistere indiscriminatamente chiunque lo chiedesse portò ad abusi che obbligarono alla metà del ‘700 di emanare regole precise di accettazione. Infatti poiché si permetteva ai parenti di assistere i malati, a questi veniva accordato anche il cibo, per cui intere famiglie vivevano a spese dell’istituzione. Si vietò quindi l’accesso alle donne a meno che con certificato del parroco non si dimostrasse la parentela di primo grado, quindi si stabilirono gli orari di vista.
Con Pio VII si arriva ad una decisione fondamentale che tuttavia causò non pochi contrasti e cioè l’istituzione delle Cliniche Chirurgica a S. Giacomo e Medica al Santo Spirito. Così l’Università ebbe a disposizione le corsie per avviare in maniera istituzionale anche la pratica per gli studenti di medicina. L’innovazione ebbe tra i primari dell’Ospedale i più decisi oppositori soprattutto verso l’ordinamento della clinica medica che contemplava dodici letti per uomini e sei per donne con diritto di scelta dei malati nei diversi ospedali.
Con Pio IX l’opera di edificazione diviene sempre più assistenziale, oramai si abbandona l’aspetto artistico per privilegiare la funzionalità mirata alla assistenza; ricordiamo la ricostruzione l’ampliamento di Santa Maria della Pietà per la cura dei folli del quale il Santo Spirito si fece carico dal 1726 e la ristrutturazione delle corsie del S. Spirito che erano dedicati ai tisici con la creazione di camere con aria purificata, terrazze con vista e soleggiate, a cui seguirono un ospizio provvisorio a Civitavecchia e quindi la Colonia marina di Anzio.
Con il 20 Settembre 1870, l’Ospedale passò all’amministrazione italiana accogliendo in gran numero di soldati italiani colpiti dalla malaria durante le fasi che precedettero l’entrata a Porta Pia.
Con il 1870 la caratterizzazione della tradizione ospedaliera romana e in particolare quella del S. Spirito si perde, venendo assoggettato alle normative dello Stato italiano. La legge n. 753, 30 agosto 1862, art. 2 classificava gli ospedali fra le “opere pie” aventi per fine di soccorrere le classi meno agiate, tanto in stato di sanità che di malattia; con la creazione delle IPAB nel 1890 viene sancito un maggior controllo dello Stato e tutti gli Ospedali di Roma vennero riuniti in un unico ente “Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma”. Così si assiste al mutamento del concetto di assistenza legato a quello di beneficenza indirizzato al bisognoso, ad un diritto sempre più esteso al cittadino come concetto di tutela.
E qui entriamo nella storia di oggi che con la riforma sanitaria degli anni 70 porta alla disaggregazione del Pio Istituto e quindi alla aziendalizzazione degli enti ospedalieri che si svilupperanno sulla base dei servizi erogati quale risultato della programmazione di intervento sui bisogni del territorio di competenza. Si viene così a consumare il definitivo distacco dall’originario concetto caritativo-religioso della Regola di Montpellier, marcato anche dall’abbandono delle degenze nelle antiche corsie che sino a prima dell’ultima ristrutturazione del 2000 erano in parte mantenute; ma gli ottocento anni di questo Ospedale continueranno a rappresentare e a ricordare l’indelebile volto umano dell’assistenza e della solidarietà che nessuna moderna qualità dei servizi potrà mai sostituire, contribuendo a rafforzare l’immagine di generosità e di grandezza morale di Roma e della sua tradizione, essendo il Santo Spirito parte integrante della sua storia sanitaria, artistica, religiosa e sociale.