1/ Dalle vestigia di un'antica chiesa bizantina nel sito archeologico di Shivta (deserto del Neghev, Israele) emerge, appena visibile, il ritratto di un volto, che è forse quello di Gesù mentre riceve il battesimo, di Christophe Lafontaine 2/ Shivta e le altre città bizantine del Neghev abbandonate al tempo dell’invasione araba, di Andrea Lonardo
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1/ Dalle vestigia di un'antica chiesa bizantina nel sito archeologico di Shivta (deserto del Neghev, Israele) emerge, appena visibile, il ritratto di un volto, che è forse quello di Gesù mentre riceve il battesimo, di Christophe Lafontaine
Riprendiamo dal sito terrasanta.net (19 novembre 2018) un articolo di Christophe Lafontaine (http://www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p11223/Nel-sito-di-Shivta-uno-dei-pi-antichi-ritratti-di-Ges). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (9/12/2018)
Il tratto nero consente di ricostruire i contorni del
viso del Cristo rinvenuto a Shivta. (foto Emma Maayan-Fanar)
Capelli ricci e di media lunghezza. L’ovale allungato di un giovane adulto. Grandi occhi. Il naso pronunciato e le guance rasate di fresco. Sono le caratteristiche salienti di un ritratto che molto probabilmente rappresenta Cristo e risale al VI secolo, secondo i calcoli della storica dell'arte Emma Maayan-Fanar, che collabora con gli archeologi Ravit Linn, Yotam Tepper e Guy Bar-Oz dell'Università di Haifa, autori di questa scoperta in una chiesa di Shivta.
L’antico villaggio agricolo sorgeva in epoca bizantina nel deserto del Neghev (Israele meridionale), circa 40 chilometri a sud-ovest di Be'er Sheva, e venne fondato nel I secolo d.C. dai nabatei, raggiunse l’apice della sua parabola in epoca bizantina, prima di perdere importanza all'inizio del periodo islamico (settimo secolo). In questo centro urbano sorgevano tre chiese e il disegno del presunto volto di Gesù appare nella chiesa settentrionale.
Sul quotidiano Haaretz del 12 novembre scorso, Emma Maayan-Fanar descrive la scoperta come un'apparizione: «Mi sono trovata al momento giusto, nel posto giusto, con la luce giusta. E improvvisamente ho visto quegli occhi. Era il volto di Gesù nel pieno del battesimo, che mi guardava».
Ma è grazie a suo marito Dror Maayan, fotografo professionista che ha realizzato scatti ad altissima risoluzione, che l'immagine vecchia di 1.500 anni con i suoi tratti rossicci a malapena visibili ad occhio nudo dopo aver attraversato secoli di storia ed essere sopravvissuta alla polvere di sabbia, si è resa intelligibile e ha potuto essere esaminata e ricostruita dalla stessa Emma Maayan-Fanar. Guardando bene è possibile riconoscere anche il collo e la parte superiore del viso. Gli archeologi che avevano esplorato il sito negli anni Venti del secolo scorso avevano intuito qualcosa, ma non si erano soffermati troppo, soprattutto per via del cattivo stato di conservazione del disegno, ha spiegato la storica dell'arte al quotidiano Haaretz.
La scoperta è stata riportata nel numero di agosto 2018 di Antiquity, la rivista scientifica dedicata all'archeologia mondiale, in un saggio intitolato: Il volto di Cristo rivelato a Shivta: una pittura muraria paleo-bizantina nel deserto della Terra Santa. Gli autori della scoperta l’hanno definita «estremamente importante».
Non è essenziale domandarsi se il volto tratteggiato somigli davvero a quello di Cristo. Gli evangelisti non si soffermano sull'aspetto di Gesù e gli artisti delle epoche successive hanno voluto insistere sul messaggio evangelico da trasmettere, più che su una precisa rappresentazione dei tratti somatici del Maestro. Ciò che in questa scoperta attira l'attenzione è il fatto che dell'arte cristiana primitiva è sopravvissuto ben poco (o quasi nulla) in Terra Santa, tanto meno se pensiamo alle rappresentazioni più antiche dell'aspetto fisico di Gesù. Il ritratto di Gesù a Shivta è una testimonianza tanto più preziosa se si considera che si trovava nel raggio di 250 chilometri dai luoghi che Gesù ha visitato durante la sua vita pubblica.
Fino ad oggi, i ritratti più antichi di Cristo erano stati ritrovati nella Siria orientale, in pitture murali che decorano il battistero della domus ecclesiae nel sito archeologico di Dura Europos, risalenti alla prima parte del III secolo d.C. Un primo dipinto raffigura un Gesù (giovane e dai capelli corti), con le caratteristiche del Buon Pastore, che porta una pecora sulla sua spalla; un secondo rappresenta l'episodio della guarigione del paralitico da parte di Cristo, che appare qui giovane e senza barba. Queste rappresentazioni ripropongono le stesse caratteristiche fisiche del ritratto rinvenuto a Shivta. Ciò significa che la scoperta israeliana è una rappresentazione che obbedisce ai canoni dell'iconografia orientale dell'epoca, allontanandosi dalla tradizione bizantina. «Appartiene allo schema iconografico di un Cristo coi capelli corti, particolarmente diffuso in Egitto e in Siro-Palestina, che è successivamente scomparso dall'arte bizantina», spiegano gli autori del saggio di Antiquity. In effetti, le altre raffigurazioni rappresentano più spesso Gesù con i capelli lunghi e lisci, e talvolta con la barba. Dettagli fisici che risentono dell’influsso dell'iconografia del mondo greco-romano.
Il ritratto di cui parliamo si trova nella volta del catino absidale che ospitava un battistero, appena all’esterno dalla chiesa nord di Shivta. La sua posizione in altezza può spiegare perché sia rimasto trascurato per anni, nel corso degli scavi del sito. A sinistra della figura di Cristo, c'è un altro volto più grande e meno giovane. Secondo le convenzioni iconografiche del periodo paleocristiano è così che venivano rappresentati san Giovanni Battista e Gesù nell’illustrare l'episodio del battesimo nel Giordano: il Cristo aveva tratti giovani, a simboleggiare la rinascita della vita. I due disegni rinvenuti nell'abside del battistero sono in linea. Tracce di pittura suggeriscono inoltre che queste facce facevano parte di una scena più ampia, che includeva altri elementi. Secondo il team di ricercatori, questa rappresentazione sarebbe la prima raffigurazione del battesimo di Cristo di periodo pre-iconoclastico rinvenuta in Terra Santa.
2/ Shivta e le altre città bizantine del Neghev abbandonate al tempo dell’invasione araba, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (9/12/2018)
L’individuazione a Shivta dei resti di un affresco bizantino con volto di Cristo nel suo Battesimo nella chiesa settentrionale (o chiesa nord – così le chiamano gli studiosi; la chiesa apparteneva al complesso monastico della città che venne completata nel 505 d.C.) non è certo una notizia di grande importanza: l’affresco è molto rovinato e l’iconografia del VI secolo dice solo della venerazione per il Signore del tempo.
Nondimeno la scoperta offre l’occasione per parlare di quel luogo meraviglioso che è Shivta e della storia delle città bizantine di confine che dovettero essere abbandonate all’arrivo degli invasori arabi nei primissimi anni dell’Islam.
Il Neghev custodisce, infatti, le rovine di sei città – Mamshit, Elusa (Chaluza), Ruheibe, Shivta, Nitzana e Avdat[1] - che cessarono di esistere come tali nel corso del VII secolo, dopo essere state centri, anche se relativamente, fiorenti e vivaci.
Le regioni bizantine immediatamente a ridosso del deserto vennero attaccate prima dai persiani e, quando venne respinto quel pericolo, crollarono sotto l’avanzata militare degli arabi. Ciò portò al rapido spopolamento delle stesse e il declino di queste città mostra, di per se stesso, il cambiamento che quelle regioni dovettero subire a motivo dell’arrivo dei nuovi invasori.
Shivta, in particolare, è un testimone peculiare di tale difficilissimo momento poiché conserva i resti dell’ultimo edificio costruito in essa subito prima del definitivo abbandono, e precisamente di una piccola moschea del VII secolo. Quel primitivo luogo di culto islamico è una delle più antiche moschee di cui restano le rovine: gli invasori la costruirono proprio a ridosso del battistero della chiesa detta oggi “meridionale”, l’edificio cristiano, cioè, che era posto al centro della città ed era il più importante luogo di raduno nella Shivta bizantina.
Negli stessi anni vennero abbandonati pure Petra, al di là del Giordano, così come il castello di Shawbak[2].
Gli storici ritengono che le sei città bizantine del deserto del Neghev poterono prosperare finché ebbero alle spalle l’impero bizantino che ne assicurava la protezione: sicure per tale rapporto esse esistettero come luoghi di sosta per i mercanti e come città che potevano giovare al controllo dei confini.
Ma non appena quei luoghi divennero esposti al passaggio di truppe nemiche e senza un solido rapporto con le zone più fertili, fu necessario abbandonarle, perché vivere in esse divenne troppo pericoloso.
Chi visita oggi le rovine delle sei città le trova rovinate dalle intemperie dei secoli, ma non distrutte, poiché esse non recano segni di combattimenti. Probabilmente le città si arresero agli invasori oppure semplicemente gli abitanti fuggirono nelle città fortificate più vicine, o comunque più abitate, alla notizia dell’arrivo dei nuovi conquistatori. Forse qualcuno provò a vivere in esse sotto i nuovi colonizzatori, ma ben presto dovette comprendere che non vi era altra via che riparare nelle città più vicino alla costa.
Solo a distanza di un millennio e mezzo dal loro abbandono sono state riscoperte e scavate dagli archeologi.
L’invasione islamica fu molto rapida – su quanto segue, cfr. L’invasione araba della Palestina nel VII secolo, di Michele Piccirillo. Già negli anni 629 e 630 Maometto stesso comandò due successivi attacchi contro la Palestina bizantina, arrestandosi una prima volta in Transgiordania, vicino Kerak, ed una seconda volta all’oasi di Tabuk, vicino il Maro Rosso. L’anno successivo alla sua morte avvenuta nel 632, il califfo Abu Bakr, nel 633, proseguendo le direttrici di attacco del Profeta, si spinse fino nell’Arabah e poi vicino a Gaza, dove combatté intorno al villaggio di Dathin, attaccando infine Damasco e Bostra.
Poi gli arabi tornarono ad invadere la Palestina bizantina nell’anno successivo, sconfiggendo le truppe romane nel 634 ad 'Ajnadayn, probabilmente una località tra Beit Gibrin e Lidda, nel 635 a Pella, al di là del Giordano, nel 636 nella battaglia decisiva vicino al fiume Yarmuk, nel 637 a Gaza, giungendo nel 638 ad assediare Gerusalemme che si arrese dinanzi alle forze preponderanti del nemico.
La costruzione della piccola moschea – di cui si è già parlato - a fianco del battistero della chiesa settentrionale di Shivta indica chiaramente, più ancora degli eventi che riguardarono le città maggiori, con la conversione delle principali chiese in moschee (con l’eccezione dell’Anastasis/Santo Sepolcro), l’intenzione dei conquistatori arabi di controllare da vicino la vita degli abitanti della città.
La piccola moschea di Shivta, immediatamente
adiacente al battistero della chiesa meridionale
Il battistero della chiesa meridionale al cui
fianco venne costruita la piccola moschea
Tale controllo si spostò ovviamente nelle città maggiori, come Gerusalemme, dove ben due moschee con i relativi minareti vennero costruiti sui due fianchi della Basilica dell’Anastasis – oggi detta anche del Santo Sepolcro: la prima di esse, quella di Omar, venne eretta già nel VII secolo. Le zone lontane dai grandi centri, come il Neghev, vennero invece abbandonate.
Le sei città del Neghev prosperarono fino all’arrivo degli arabi sia perché costruite vicino a sorgenti d’acqua – vicino ad Avdat è tuttora presente Ein Avdat, uno dei luoghi più belli del deserto del Negehv dove gli ibex vengono ad abbeverarsi ogni giorno, mentre aquile volteggiano sul canyon -, sia perché i nabatei e poi i bizantini costruirono dei terrazzamenti per permettere all’acqua piovana di non disperdersi e penetrare invece più in profondità, senza evaporare immediatamente.
Gli archeologi hanno riportato alla luce i terrazzamenti bizantini costruiti a fini agricoli: a partire dall’esperienza degli antichi il kibbutz di Sde Boker, vicino Avdat, ne ha studiato il funzionamento, riuscendo in alcune zone a permettere nuove coltivazioni senza l’utilizzo di acquedotti che conducessero lì l’acqua da altri luoghi più ricchi di acqua.
La Shivta bizantina, in particolare, venne costruita a partire dalla progettazione urbanistica di una piazza principale che custodisse, sottostante, una cisterna che raccoglieva ogni goccia d’acqua che fosse caduta in città, poiché le vie cittadine confluivano in discesa verso tale luogo sotterraneo di conservazione idrica.
Le città bizantine del Neghev sono dette anche città nabatee, perché esse, prima di divenire parte dell’impero romano di Costantinopoli, vennero fondate dal regno nabateo, che aveva per capitale Petra. La civiltà nabatea fiorì a partire dal III secolo a.C. in Transgiordania ed il sovrano più famoso fu Areta IV (9 a.C.-40 d.C.) probabilmente il re che fece edificare la Khazneh a Petra: fu lo stesso sovrano a far catturare San Paolo, appena convertitisi al cristianesimo, a Damasco, dalla quale l’apostolo dovette fuggire facendosi calare dalle mura in una cesta (cfr. 2 Cor 11,32-33).
A partire dal IV secolo l’intera regione si convertì al cristianesimo, com’è evidente dalle magnifiche chiese che tutte queste città custodiscono. A Shivtà, ad esempio, sono presenti tre edifici cristiani, la chiesa meridionale, che è la chiese cittadina più importante come si è detto, la piccola chiesa detta “centrale” un po’ più a nord, e la chiesa settentrionale, luogo di preghiera del complesso monastico che la includeva. L’affresco ritrovato, come si è già detto, è pertinente a questo complesso.
La chiesa monastica settentrionale
Solo nel VII secolo, infine, la zona dovette essere abbandonata e le città del Neghev scomparvero dalla memoria, fino ad oggi.
Le notti passate all’addiaccio a Shivta, quando ero giovane studente dell’École Biblique, sono state fra le più belle della mia vita: ricordo ancora i colori del tramonto e dell’alba sulle pietre della vecchia città abbandonata, nel silenzio assoluto di quei giorni, quando solo a noi studenti era dato di ridare vita a quelle antiche rovine, insieme al nostro maestro di archeologia, poi prematuramente scomparso, Marcel Beaudry.
In quei lontani giorni trascorremmo ore meravigliose più e più volte anche ad Avdat, ancor più nota di Shivta perché vicina alle moderne vie di comunicazione del Neghev israeliano e perché nelle sue rovine vennero girate alcune famosissime scene di Jesus Christ Superstar, a partire dalle sequenze d’apertura.
In questo video su Shivta, con riprese effettuate da droni, si vedono prima i terrazzamenti volti all’irrigazione agricola, poi la città stessa, con la chiesa settentrionale al centro degli scavi, con la piccola moschea costruita nel VII secolo a fianco del battistero della chiesa stessa, immediatamente prima del definitivo abbandono della città, e con il complesso monastico legato alla chiesa meridionale, anch’essa munita di battistero, che è all’estrema periferia della città: è nell’abside di questa chiesa che è stato rinvenuto lo scoloritissimo affresco con il volto di Cristo.
Al centro della città è evidente la piazza verso la quale convergono le acque piovane per terminare nella cisterna sotterranea.
Note al testo
[1] Cfr. su di esse P. Figueras, Antichi tesori nel deserto. Alla scoperta del Neghev cristiano, Milano, Edizioni Terra Santa, 2013 e H. Fürst – G. Geiger, Terra Santa, Milano, Edizioni Terra Santa, 2017, pp. 644-651.
[2] Cfr. su questo G. Vannini, Il ‘castello’ di Shawbak e la Transgiordania meridionale: una frontiera del Mediterraneo medievale, in P. Peduto – A.M. Santoro (a cura di), Archeologia dei castelli nell'Europa angioina (secoli XIII-XV). Atti del convegno internazionale Università degli Studi di Salerno, Campus di Fisciano: Facoltà di Lettere e Filosofia Aula Nicola Cilento, 10-12 novembre 2008 (Medioevo scavato, 5), pp. 145-157, in particolare, pp. 148-150. Cfr. anche G. Vannini - M. Nucciotti (a cura di), Da Petra a Shawbak. Archeologia di una frontiera. Catalogo della Mostra (Firenze, Palazzo Pitti, Limonaia di Boboli, 13 luglio-11 ottobre 2009), Giunti, Firenze, 2009 e G. Vannini - M. Nucciotti (a cura di), La Transgiordania nei secoli XII-XIII e le frontiere del Mediterraneo medievale (Atti del Convegno di Firenze, Palazzo Vecchio-Palazzo Strozzi, 5-8 novembre 2008 ), BAR, International series, ‘Limina/Limites. Archeologie, storie, isole e frontiere nel Mediterraneo (365-1556)’, Oxford 2012.