Notizie dal Sud Sudan e dal Kordofan dei Nuba 1/ Nuba, al centro del Sudan un popolo dimenticato, di Luca Attanasio 2/ Juba (Agenzia Fides) - Ucciso in Sud Sudan il primo gesuita di nazionalità keniana
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1/ Nuba, al centro del Sudan un popolo dimenticato, di Luca Attanasio
Riprendiamo da La Stampa dell’8/9/2018 un articolo di Luca Attanasio. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Carità e giustizia e Libertà religiosa e persecuzione delle minoranze.
Il Centro culturale Gli scritti (25/11/2018)
La regione del Kordofan, è posta come a formare il nucleo centrale del Sudan, incastonata tra Darfur a occidente, lo Stato del Sud Sudan a meridione e l’area di Khartoum a nord-est, si divide in due grosse sub-regioni - il Nord e il Sud - separate da un confine invisibile quanto cruciale.
La parte meridionale ospita il fiero popolo dei Nuba, un insieme di etnie che parlano più di 50 lingue, in lotta permanente con il governo centrale a cui chiede, senza successo, l’indipendenza. Khartoum, che per secoli ha ritenuto e trattato i Nuba come una riserva di schiavi, si oppone all’autodeterminazione di questa area nota per essere una vera oasi di fertilità in mezzo a zone aride o addirittura desertiche, con un enorme potenziale petrolifero. «La reazione governativa alla resistenza Nuba – spiega padre Kizito Sesana, un comboniano che ha visitato spesso la regione – ha assunto in varie fasi le caratteristiche della campagna genocidaria».
La feroce repressione contro i Nuba scatenata negli anni ’80 dal governo centrale, ha ottenuto, tra gli altri, l’effetto di spingere un gran numero di abitanti verso il cristianesimo e l’ allontanamento dall’Islam a tinte fondamentaliste di Khartoum: ad oggi, si ritiene che il 50% dei due milioni di Nuba, in maggioranza residenti nel Kordofan del Sud (o Nuba Mountains), altri dislocati in Sudan, Sud Sudan e Paesi vicini, sia di fede cristiana mentre i restanti si dividano egualmente tra credo islamico e animista.
Nel corso della guerra civile in Sudan, scoppiata nel 1983 e conclusasi nel 2005 grazie al trattato di pace siglato a Nairobi (due milioni di morti e altrettanti rifugiati, ndr), i Nuba hanno combattuto a fianco dei Sud-sudanesi per affinità etniche, storiche e culturali. Ma a differenza dei loro vicini che hanno ottenuto la possibilità di celebrare un referendum sull’indipendenza e conseguito nel 2011 lo storico distacco da Khartoum, i Nuba restano a tutti gli effetti sudanesi. Monsignor Tombe Trille, vescovo di El Obeid (una delle due diocesi in cui è diviso il Sudan, l’altra è Khartoum), ha la responsabilità pastorale di questo popolo. Lo incontriamo a Roma a margine della visita “ad limina” delle Conferenze episcopali sudanesi e sud sudanesi.
Eccellenza, qual è la situazione al momento?
«Il Kordofan meridionale, se si eccettuano la capitale Kadugli e poco altro, è stato dichiarato dall’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan (Spla) “Area Libera”. Lì funziona un governo autoproclamato con ministeri, un parlamento, un esercito, la polizia. Nello scorso aprile ci sono state le elezioni che hanno visto la vittoria di Abdel Aziz Al Hilu. Il governo centrale, considera tutta la zona una “Rebel Area” e non permette a nessuna Ong, a nessun ente, di entrarci e portare aiuti umanitari. Io stesso, che vivo a El Obeid, nel Kordofan Settentrionale, non sono autorizzato a entrare e se lo facessi, sarei immediatamente espulso dal Paese. Stiamo quindi parlando di due milioni di abitanti che sono sostanzialmente tagliati fuori da tutto: un popolo dimenticato, totalmente ignorato dalla comunità internazionale».
Cosa intende il comandante dell’Spla, Abdel Aziz Al Hilu, quando dichiara: “Siamo in una situazione di no war but no peace”?
«Dal 2015, fortunatamente, vige il “cessate il fuoco” ma i colloqui di pace col governo di Khartoum sono in una lunga fase di stallo che fa presagire venti di guerra. L’esercito non tenta di penetrare nelle zone liberate e non effettua più i terribili bombardamenti che fino a fine 2015 devastavano soprattutto le aree più fertili, creando uno stato di carestia permanente a causa dell’impossibilità per i contadini di lavorare i campi e occuparsi del bestiame. Ma il popolo Nuba vive in uno stato di isolamento totale: il governo considera il Kordofan del Sud una regione a tutti gli effetti del Sudan e ne trae i vantaggi, ma non investe, non si occupa di scuole, ospedali, infrastrutture. In questo modo i Nuba, storicamente abili agricoltori e con una solida tradizione pedagogico-educativa (il primo leader, Yusuf Kuwa, era un maestro di scuola elementare), si ritrovano in una situazione di sottosviluppo».
E la Chiesa?
«È l’unica organizzazione esistente in tutto il territorio. Si occupa di educazione, acqua, scuole, sanità. L’unico ospedale, “Madre della Misericordia”, è nostro. Noi, ovviamente, eroghiamo servizi a prescindere da religione o etnie e rappresentiamo per la stragrande maggioranze dei Nuba, uno sorta di Stato, l’istituzione. Il cristianesimo ha una bella storia di radicamento tra i Nuba. Prima dell’indipendenza (1956), gli inglesi, considerando i Nuba un popolo interamente islamico, non permettevano attività di evangelizzazione. Poi dalla fine degli anni ’50 ci sono state le prime conversioni verso l’anglicanesimo e il cattolicesimo e dalla metà degli anni ’60 c’è stata una fioritura di presenza cattolica autoctona. Quando nel 1983 tutti i missionari, di ogni confessione, furono espulsi (poi riammessi nel 1995), l’intera opera pastorale fu affidata a quattro catechisti, considerati i veri evangelizzatori dei Nuba. Da quel momento, il ruolo dei laici è stato sempre più importante, sono loro che fanno la vera evangelizzazione. Al momento abbiamo 43 preti diocesani e una serie di religiosi e religiose».
Lei non può entrare nella zona, come fa a svolgere la sua attività di pastore?
«Mi sposto continuamente per incontrare preti, religiosi e laici e fare sessioni di pastorale, teologia, e vari altri argomenti. Ci incontriamo in Sud Sudan, a volte direttamente nei campi profughi che sono sotto la mia cura pastorale, altre volte in Uganda, o Kenya. Questi incontri sono per me una occasione anche per informarmi sulla situazione generale dei Nuba. Alcuni sono poverissimi, altri hanno costantemente paura della guerra, mancano medicine e cibo. Ma se mi chiede qual è la prima cosa di cui hanno bisogno, le rispondo l’educazione. Quello che dico sempre a chi ci vuole sostenere è: “Aiutateci a educare, il resto verrà da sé”. I Nuba sono fieri della loro cultura e sono un popolo che non ha mai avuto problemi di convivenza tra varie etnie, religioni, tradizioni – forse anche per questo ci combattono perché siamo agli antipodi del fondamentalismo - con l’istruzione riuscirà ad emanciparsi e a svilupparsi».
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2/ Juba (Agenzia Fides) - Ucciso in Sud Sudan il primo gesuita di nazionalità keniana
Riprendiamo dall’Agenzia Fides un articolo a firma redazionale L-M. pubblicato il 16/11/2018 . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Carità e giustizia e Libertà religiosa e persecuzione delle minoranze.
Il Centro culturale Gli scritti (25/11/2018)
P. Victor Luke Odhiambo è stato ferito a morte nella notte del 14 novembre da un gruppo di uomini armati che ha assalito la comunità gesuita di Cueibet, nello Stato di Gok. Gli altri tre componenti della comunità sono rimasti illesi.
Secondo il Ministro dell’Informazione dello Stato di Gok, John Madol, uno dei presunti assalitori è stato arrestato. “Il governo dello Stato di Gok ha decretato tre giorni di lutto. Tutti stiano a casa, mentre piangiamo il sacerdote” ha detto il Ministro dell’Informazione.
P. Odhiambo è stato il primo keniano a diventare gesuita. Nato il 20 gennaio 1956, è entrato nella Compagnia di Gesù (SJ) il 4 luglio 1978. È stato ordinato sacerdote il 22 agosto 1987 ed ha emesso i voti definitivi il 30 maggio 1993. In Sud Sudan p. Odhiambo era Preside del Mazzolari Teachers College e Vice Superiore della Comunità gesuita di Cuibet dal 30 gennaio 2017.
“Con grande dolore ho appreso la triste notizia dell'attacco dei nostri compagni a Cueibet e della morte violenta di p. Victor-Luke Odhiambo, S.J., Presidente del Mazzolari Teachers 'College (MTC) e Vice-Superiore della comunità” afferma nella sua lettera di condoglianza P. Arturo Sosa, Superiore Generale della Compagnia di Gesù.
P. Sosa sottolinea che “P. Victor Luke Odhiambo lascia un nome, non solo nel Sud Sudan come primo gesuita a morire al servizio della sua gente, ma in tutta l'Africa orientale, come insegnante di migliaia di studenti nel Centro Starehe Boys di Nairobi, Kenya, e nella Loyola High School di Dar Es Salaam, in Tanzania”.
“Era un uomo molto coraggioso, intelligente, premuroso, amministratore creativo e soprattutto un credente nel valore dell'educazione. Non aveva paura di avventurarsi nell'ignoto, anche nei posti più pericolosi, una volta convinto che questa fosse la missione voluta dal Signore. Il suo esempio di dedizione disinteressata come Preside rimane una sfida per molti dei nostri fratelli più giovani nella Compagnia di Gesù. È una luce, che è stata spenta, dopo aver illuminato altre luci. Come un chicco di grano che muore per dare molti frutti. E questa è la nostra consolazione”.
“Fr. Odhiambo ha dato la sua vita per il popolo, i figli e le figlie di Dio, seguendo l'esempio di Gesù. Il nostro Padre misericordioso lo riceverà con cuore aperto. Preghiamo anche per coloro che hanno attaccato i locali del college e ucciso padre Victor, e per coloro che promuovono la violenza: che il Signore converta i loro cuori” conclude il messaggio.