Il diario (1930-1943). De Gasperi, l’antifascista in Vaticano. Criticava i vescovi vicini al regime. Gli appunti dello statista trentino, ora pubblicati dal Mulino a cura di Marialuisa Lucia Sergio, dimostrano che fu avverso a Mussolini anche quando la Chiesa lo appoggiava, di Paolo Mieli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /11 /2018 - 15:52 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal Corriere della Sera del 27/5/2018 un articolo di Paolo Mieli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Novecento: fascismo e nazismo, resistenza e liberazione.

Il Centro culturale Gli scritti (18/11/2018) 

Alcide De Gasperi, all’epoca capo del governo 
accompagna la figlia Maria Romana al suo
matrimonio nel 1947

Susciterà interesse il Diario 1930-1943 di Alcide De Gasperi, curato da Marialuisa Lucia Sergio, che è stato dato adesso alle stampe per i tipi del Mulino. Riferisce, nella prefazione, la figlia dello statista trentino, Maria Romana, che negli anni Venti, quando «il potere fascista» era agli inizi, un ex deputato del Partito popolare, Giovanni Maria Longinotti, accompagnandolo a San Pietro, aveva domandato a suo padre: «Quanto credi che durerà questo regime?». E lui, senza esitazione, gli aveva risposto: «Venti anni».

Colui che nella seconda metà degli anni Quaranta e nei primi Cinquanta avrebbe guidato la ricostruzione in Italia da presidente del Consiglio, due decenni prima era stato dunque tra i pochi a non farsi illusioni circa una breve durata del regime mussoliniano. E ad azzeccare la previsione.

Durante gli anni Trenta, dopo aver conosciuto il carcere, De Gasperi era stato impiegato alla Biblioteca apostolica vaticana; apparentemente si era appartato dalla politica, ma aveva preso nota di quel che andava leggendo e aveva annotato su un taccuino incontri, conversazioni, riflessioni. Taccuino che adesso viene pubblicato nella sua integrità e con il corredo di un apparato scientifico (a cura della Sergio) davvero eccellente.

Con il risultato, scrive Marialuisa Lucia Sergio, di far emergere quanto fosse in errore «la storiografia costruita sul paradigma togliattiano della fondamentale adesione di De Gasperi alla posizione della Chiesa che non rifiutava in blocco il fascismo e non ne condannava i connotati antidemocratici». Viene così smentito «il luogo comune di un De Gasperi in stato d’isolamento, relegato al catalogo stampati della Biblioteca apostolica vaticana, o — al contrario — di un protégé dell’autorità ecclesiastica». De Gasperi, come emerge nitidamente dal diario, non fu né una cosa né l’altra.

Il politico di Pieve Tesino all’epoca in cui iniziò a scrivere il diario era già adulto: un uomo che dai 49 anni fino ad oltre i sessanta dovrà «arrangiarsi con lavori modestissimi», ha notato Alberto Melloni. Ma aveva una notevole esperienza politica alle spalle: era stato un parlamentare di rilievo del Partito popolare ed aveva raccolto l’eredità di don Sturzo quando, nel 1924, quest’ultimo era stato costretto ad emigrare.

Nell’estate di quello stesso 1924, dopo l’uccisione di Matteotti, all’epoca dell’Aventino aveva caldeggiato un’alleanza con i socialisti di Filippo Turati e per questo era stato duramente redarguito dall’organo dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica». Il suo riferimento era stato all’epoca il partito Zentrum tedesco del teologo Heinrich Brauns. In ciò sostenuto dal nunzio apostolico a Berlino Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII) che nel 1925, proprio al fine di non destabilizzare lo Zentrum, aveva sconsigliato al pontefice Pio XI di pronunciarsi apertamente contro il socialismo (salvo poi doversi scusare con il capo della Chiesa indispettito per quella sollecitazione).

Successivamente De Gasperi è presente all’ultimo congresso del Partito popolare (giugno 1925), subisce lo scioglimento del partito (novembre 1926), viene rinchiuso a Regina Coeli per un presunto tentativo d’espatrio clandestino (a Trieste). 

«Diario 1930- 1943» (il Mulino, pagine . 272, euro 22) 
di Alcide De Gasperi; volume, curato da Marialuisa Lucia Sergio,
prefazione di Maria Romana De Gasperi, figlia dello statista

Uscito di prigione, De Gasperi giustifica i Patti lateranensi del 1929, ma solo perché chiudono una volta per tutte la «questione romana». Spesso, soprattutto nel 1931 al momento del contrasto tra fascismo e Azione cattolica, si trova ad essere polemico con Giuseppe Dalla Torre direttore dell’«Osservatore Romano» per quelli che considera come «cedimenti al regime».

Regime che lo tiene d’occhio e in più di un’occasione chiede a Pio XI di intervenire per metterlo in riga. Finché il papa, proprio nel 1931, trasmette a Mussolini il seguente comunicato: «Il S. Padre non si pente e non si pentirà di aver dato ad un onesto uomo e onesto padre di famiglia un poco di quel pane che voi gli avete levato. Dell’azione antifascista di lui risponde il S. Padre; tanto è sicuro che non farà nulla di meno censurabile a questo riguardo».

In quello stesso anno — se ne trova conferma nel diario — Pio XI ha frequenti scatti contro il regime mussoliniano. Contro il «negoziatore», padre Pietro Tacchi Venturi: il Papa gli avrebbe risposto battendo il pugno sul tavolo per poi esclamare «Mussolini è il demonio!». E contro padre Agostino Gemelli che gli propone di stringere un rapporto con il fratello del Duce, Arnaldo Mussolini (il quale morirà alla fine del 1931): «Quegli è Tartufo», avrebbe detto il Pontefice.

Non mancano, nelle annotazioni degasperiane, giudizi poco lusinghieri (ancorché riferiti a terzi) nei confronti dello stesso Tacchi Venturi — «fuori dei libri non capisce niente»; «accetta cospicue elemosine per messe» — o di qualche eminente prelato come monsignor Enrico Pucci, definito «figura miserabile».

«L’Osservatore Romano», a suo avviso, è eccessivamente corrivo, nel 1932 con le celebrazioni del decennale della marcia su Roma; «rifrigge incontrollate affermazioni sul crocifisso nelle scuole». C’è una reazione indignata a padre Gemelli che ha accompagnato gli studenti della Cattolica ad una Mostra della rivoluzione fascista al Vittoriano e ha reso omaggio al re e al Duce.

De Gasperi, nota Marialuisa Lucia Sergio, «censisce gli interventi più plateali dei vescovi locali a favore del fascismo». De Gasperi se la prende con l’arcivescovo di Napoli, cardinale Alessio Ascalesi, che nel settembre del 1932 ascrive alla protezione divina l’invulnerabilità di Mussolini di fronte ai vari attentati contro la sua persona, a suo dire investita di un’ «alta missione» per il bene del «mondo intero». È infastidito dall’amministratore apostolico della diocesi di Velletri, monsignor Giuseppe Marrazzi, il quale ricorda di essere stato tra coloro che applaudivano in piazza all’epoca della marcia su Roma e sostiene essere Mussolini un «uomo mandato da Dio». E anche dall’arcivescovo di Torino, cardinal Maurilio Fossati, che parla del Duce come di qualcuno «messo da Dio a reggere questa nostra cara Patria, con saggezza, prudenza e fortezza».

Secondo De Gasperi, né Pio XI né il cardinal Pacelli gradiscono le manifestazioni di consenso al fascismo tant’è che, nel maggio del 1933, Pacelli interviene per correggere il discorso d’insediamento del nuovo arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa perché eccessivamente filofascista.

Allo stesso modo viene mal considerato un intervento del cardinale Schuster al duomo di Milano nell’ottobre 1935. All’epoca della guerra d’Etiopia poi le lodi degli alti prelati alla missione civilizzatrice del fascismo si moltiplicano mettendo in imbarazzo la Santa Sede. De Gasperi riferisce di una confidenza di Bernardo Mattarella secondo cui l’arcivescovo di Palermo Luigi Lavitrano nel settembre 1935 avrebbe ricevuto dal Papa la seguente ingiunzione: «Tacere, tacere, tacere!».

Tutti questi cedimenti della Chiesa al regime provocano a De Gasperi acuta sofferenza. Come quando nel 1932 le suore della scuola Pio X a cui sono iscritte due sue figlie pretendono che le ragazze prendano la tessera del Partito fascista: lui non accetta e le sposta all’Istituto francese delle suore di Nevers («lacrime», appunta sul diario). Nel 1934 annota sconsolato: «L’adattamento ha fatto passi da gigante. Nessuno si pone più la domanda di nuovi o possibili rivolgimenti. Lo stato d’animo di opposizione va tramutandosi in rassegnazione». Nell’inverno del 1935 scrive delle «grandi umiliazioni sofferte» e aggiunge: «Se un giorno le mie figliuole leggeranno queste righe, sappiano che ho sopportato soltanto per la famiglia e per loro».

Pio XI, però, nelle pagine del diario degasperiano resiste (e con lui il cardinale Pacelli) a questo «codinismo» dei vescovi e della stampa cattolica. «Sì, sì, il fascismo è il nemico», avrebbe detto il pontefice dispiaciuto perché l’arcivescovo di Firenze Dalla Costa aveva «esagerato in prudenza»: «non mi stanco di ripeterlo da mesi a quanti lo vogliono sentire».

Però il papa delude De Gasperi per il rifiuto di appoggiare lo Zentrum tedesco ancora all’inizio degli anni Trenta che vedono l’avvento di Hitler al potere (1933). Qui, nota la Sergio, De Gasperi salva solo Pacelli, che detta all’«Osservatore Romano» una nota in difesa del partito cattolico centrista. Nota che però, a limitarne l’effetto, compare sul giornale della Santa Sede «come corrispondenza da Karlsruhe». E, in quanto tale, anonima. Pio XI avrebbe detto in quei giorni: «Hitler è il primo e unico uomo di Stato che parla pubblicamente contro i bolscevichi. Finora era stato unicamente il Papa».

De Gasperi che pure da giovane era stato affascinato dal cristianesimo sociale (e antisemita) di Karl Lueger appare sconcertato e segnala la «meraviglia» del cardinale Michael von Faulhaber per la circostanza «che nei circoli ecclesiastici di Roma si comprendesse così poco la perniciosità del movimento hitleriano».

Secondo voci riferite da De Gasperi, Pio XI avrebbe confidato all’ex cancelliere della Repubblica di Weimar Heinrich Brüning la propria intenzione di condannare sia il fascismo che il nazismo (quasi un’anticipazione dell’enciclica Mit Brennender Sorge). Ma Brüning, come nota la Sergio, non menziona quest’episodio nelle proprie memorie pubblicate nel 1977.

Quando nel 1938 la Germania nazista annette l’Austria, De Gasperi annota il proprio stupore al cospetto di una dichiarazione dell’episcopato austriaco in favore dell’intervento hitleriano. E condivide questa sua ansia con «il solo cardinale Pacelli» e con Montini (futuro Papa Paolo VI) che gli confida: «Così va perso il senso della Chiesa!». Poi, nel 1938, scrive che Pio XI avrebbe avuto parole di fuoco sia contro Mussolini che contro Hitler.

Secondo la Sergio il diario di De Gasperi «non ci consegna alcun verdetto su Pio XI». Trattandosi di «annotazioni giornaliere, con un carattere di spontaneità e di immediatezza», esse «hanno il vantaggio di accompagnare il lettore lungo l’itinerario del pontificato di Papa Ratti senza la tentazione di tracciare una linearità prestabilita che razionalizzi la complessità di quell’epoca storica riportandola a uno schema interpretativo». Ciò che da queste pagine sembra emergere con chiarezza «è piuttosto l’identikit della vittima del conflitto regime-Chiesa, ossia un laicato cattolico posto nella condizione quotidiana di dover chiedere alla gerarchia il permesso di pensare».

Poi verranno il pontificato di Pio XII, la Seconda guerra mondiale e, a seguito dell’intervento degli Stati Uniti nel conflitto (fine 1941), De Gasperi riprende fiducia. Anche se compare qualche sconsolata allusione alla sua anzianità (l’uomo aveva all’epoca poco più di sessant’anni): «Inverno lungo, 1941-1942; per la prima volta sento gli attacchi dell’età e mi spavento degli anni, perché tutti, parlando d’altri sessantenni, dicono spesso: è un uomo finito, troppo vecchio». Accenna anche a un «esaurimento nervoso che mi durava da quindici giorni», ma subito si rinfranca: «Va migliorando con iniezioni, uova, riposo».

Si compiace di alcune (riservate) prese di posizione di Pio XII ostili a Hitler, nota che il cardinale Pacelli fin dal 1942 è favorevole ad una soluzione repubblicana dal momento che non ha alcuna fiducia in casa Savoia. Si accorge che lo stesso Pacelli in qualche modo protegge l’amendoliano Meuccio Ruini. Adesso, avvicinandoci al 1943, De Gasperi non è più un isolato, anzi è l’uomo cardine della ricostituzione politica postfascista e antifascista.

Nello stesso tempo si comprende come ritenesse già allora indispensabile, osserva Marialuisa Lucia Sergio, «l’alleanza con i partiti laici, indipendentemente dalla maggioranza di governo, come condizione per impedire al Paese fratture di tipo confessionale e per resistere alle pressioni della destra cattolica».

Pagine preziose che contengono una lezione su come sia possibile mettere a frutto gli anni in cui si è costretti alla marginalità e al silenzio per riproporsi in tempi migliori come fulcro di un grande rinnovamento politico.

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