Traccia per l'incontro Pedagogia, scienze e lettere nell'università di sant'Ignazio, presso il Collegio Romano/Liceo Ennio Quirino Visconti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /10 /2018 - 18:21 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito l'antologia di testi preparata per l'incontro Pedagogia, scienze e lettere nell'università di sant'Ignazio, presso il Collegio Romano/Liceo Ennio Quirino Visconti del 19/10/2018. Per altri testi, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (18/10/2018)

La nascita dell’Università

-Universitas=una corporazione

Universitas fabri, lignariorum et muratorum

Universitas mercatorum

Universitas dei pittori e così via

Regole nel Cadore (altomedioevali)

Non aut aut fra Comuni, Impero/Regni e Episcopato/Papato, bensì realtà che si riconoscono vicendevolmente

Universitas degli studenti (Bologna) Universitas dei docenti (Parigi)

Con bolla papale e riconoscimento imperiale Cfr. la falsa immagine data da Fo per il Duomo di Modena

L’Universitas rappresenta la libertà nello studio, la libertà medioevale di darsi propri statuti

-insieme indica una totalità di studi

Cfr. strutturarsi in
Arti del Trivio (artes sermocinales):
-grammatica
-retorica
-dialettica

Arti del Quadrivio (artes reales):
-aritmetica
-geometria
-astronomia
-musica

Arti meccaniche

Arti superiori

Medicina, Diritto, Filosofia, Teologia

Tuttora non si studia teologia senza aver prima studiato filosofia! È l’ancilla

Da Léo Moulin, La vita degli studenti nel medioevo (trad. it. Jaca Book, Milano 1992)

«L’università è una creazione del medioevo, nata dalla sua visione dell’uomo, della natura e di Dio. Qualcosa di esplicito, di originale nella storia delle civiltà quanto per esempio il canto fermo e la musica polifonica. Tutte le grandi civiltà hanno le loro liturgie e le loro cattedrali, i loro santi e i loro vangeli. Tutte hanno il senso del sacro e del religioso. Tutte hanno dato prova della loro creatività artistica, intellettuale e spirituale. Ma solo la civiltà europea del medioevo ha fondato delle università, da Bologna a Cracovia, da Parigi a Toledo, da Oxford a Uppsala. Nel 1600 si contano più di cento università nel mondo: tutte sono racchiuse nell’area socio-culturale dell’Europa [...]. Non è un caso. Infatti l’università è il frutto di un immenso slancio dell’intera società medievale […]. Nella bolla che emana, nel 1388, per esprimere il proprio consenso alla fondazione dell’università di Colonia, il papa Urbano VI scrive che gli obiettivi principali della nuova istituzione saranno quelli di diffondere la scienza per scacciare le nubi dell’ignoranza (“scientia per quam pelluntur ignorantiae nubila”), di porre gli atti e le opere “in lumine veritatis”, alla luce della verità, e infine ciò che definisce la missione sociale dell’università: essa dovrà essere utile “tanto alla comunità quanto ai singoli” (“tam publica quam privata res geritur utiliter”) e “accrescere il benessere degli uomini” (“prosperitas humanae conditionis augetur”)» (pp. 5-6).

-Sulla composizione sociale degli studenti

«Non è facile determinare le origini sociali degli studenti. Alcuni criteri puramente geografici possono indicare tanto una capanna che un maniero (e chi proviene da una capanna può avere delle ragioni per non dirlo). Provenire da un ambiente urbano non significa necessariamente appartenere a un ambiente agiato […]. Il New College (Oxford) fornisce le seguenti cifre per il periodo che va dal 1380 al 1500: “figli di contadini”: più del 61% degli studenti (il cui totale ammonta a poco più di un migliaio); “borghesi e artigiani”: circa il 18%; “piccola nobiltà”: 8,4%; “aristocrazia”: 0,6%. Il numero degli studenti di origine rurale è dunque nettamente superiore a quello degli studenti di origini urbane» (p. 115).

«Il papa Urbano V manteneva, come sembra, 1400 borsisti. A chi gli faceva qualche obiezione riguardo alla sua eccessiva generosità, egli rispondeva innanzitutto che un buon numero dei suoi “protetti” non diventavano preti, ma padri di famiglia, per i quali, anche se dediti a lavorare la terra, gli studi avrebbero avuto effetti benefici» (pp. 54-55).

-Goliardia

Sulle abitudini e gli svaghi degli studenti, sulla disperazione dei genitori, attraverso le lettere private, sugli alquanto vivaci rapporti tra le Nazioni

«Se ci si attiene ai regolamenti dei collegi e ai sermoni dei moralisti, lo studente modello pratica ogni giorno le sei opera scholarium, e cioè: levarsi di buon mattino, vestirsi, pettinarsi, lavarsi le mani, recitare le preghiere e andare con gioia a scuola. È impegnato, studioso, obbediente, casto e serio. Non gioca a scacchi e non fa sport». Ma le regole, si sa, son fatte per essere infrante. Anzi, se vi sono regole è il segno evidente che qualcuno è solito trasgredirle. Così, non senza ironia, Moulin cita un Manuale del perfetto studente (1495), che elenca appunto «ciò che è proibito allo studente», ovvero ciò che lo studente, probabilmente, faceva quasi di norma: «star fuori la notte (che comincia alle 20 in inverno e alle 21 in estate), giocare alla domenica con dei laici, nuotare al lunedì, bighellonare al mercato il mercoledì, non assistere al mattutino, sonnecchiare durante la messa, mancare ai vespri, picchiare i bambini, sporcare i libri quando si canta l’ufficio, incitare al disordine, dire stupidaggini (“insanias”), spezzare alberi, disturbare il boia mentre esegue i suoi doveri, recitare commedie nelle chiese e nei cimiteri…» (pp. 24-25).

«Borbottano: “Tu perdi il tuo tempo a gironzolare a cavallo per la città”, “a giocare a dadi” (gioco generalmente proibito agli studenti), “a carte o a pallacorda”, “ti sei comprato un cane e vai a caccia”, “spendi il tuo denaro in vestiti regali, in morbide pellicce”, dimostri “la tua grande mattezza”. O ancora: “Ho saputo, non dal tuo maestro (precisazione fatta, senza alcun dubbio, su richiesta del maestro stesso), ma da alcune persone di fiducia, che tu non studi seriamente, che ti diverti a suonare la chitarra, che frequenti luoghi sconvenienti (meretricia frequentando)” […]. A volte il padre spiega: “Sono meno ricco di quanto tu creda”, “anche le tue sorelle hanno diritto…”, “la vigna non ha dato nulla quest’anno” […]. Severa risposta di uno studente: “Chi resta a casa giudica gli assenti come vuole, mentre è a tavola, mangiando di buon appetito marmitte di carne e pane a sazietà, dimenticando completamente chi, sottomesso alle dure regole della scuola, è oppresso dalla fame, dalla sete, dal freddo e dalla nudità”. Talvolta la ramanzina paterna assume un tono patetico: “I tuoi genitori sono ormai pieni di pena e degni di pietà… tu accorci la loro vita…”» (p. 101).

«Tutta l’Europa viene messa alla berlina dall’Europa stessa. È ovvio che ogni Nazione abbia delle buone ragioni per combattere con ardore le altre Nazioni – di preferenza le più vicine. Per i polacchi, i mazoviani hanno la caratteristica di essere nello stesso tempo sempliciotti e intriganti. Gli inglesi criticano i normanni frivoli e millantatori, i tedeschi furiosi e osceni, i borgognoni stupidi e collerici. A Parigi, secondo Giacomo di Vitry (1180-1240), i tedeschi sono detti ladri e lenoni, gli inglesi ubriaconi e codardi, i francesi (d’Ile-de-France) superbi ed effeminati, i bretoni volubili e indecisi, quelli di Poitiers traditori e “cortigiani della fortuna”, i borgognoni grossolani e sciocchi, i lombardi avari e maliziosi, i romani sediziosi e violenti, i siciliani tirannici e crudeli, i normanni fatui e orgogliosi, i fiamminghi prodighi ed epuloni, i brabantini incendiati e ladri. I tedeschi sono dipinti dai cechi come “lupi nell’arena, mosche nel piatto, serpenti sul petto e puttane nei bordelli”. “È più facile che un serpente si scaldi nel ghiaccio, che un ceco auguri del bene a un tedesco”. Per i boemi, i teutoni nascono “de culo Pilati” (occorre tradurre?), mentre essi stessi provengono “de corpore Christi”…» (pp. 118-119).

Sull’uso della lingua latina

«La lingua comune a tutti gli studenti, in tutte le università d’Europa, è il latino (questo spiega la facilità con cui, e talvolta con il minimo pretesto, maestri e allievi passano da un’università all’altra). È la lingua della Chiesa e di ogni élite intellettuale […]. I maestri del XV secolo – questa volta siamo in Sassonia – avevano inventato un gioco (“discretio magistralis”) in cui vi era un asino che parlava tedesco (ma quale tedesco?), dunque non come un essere razionale (“velut homo rationalis”), il quale, evidentemente, parlava latino. Gli abitanti di Bologna, esasperati dalle ripetute stravaganze degli studenti, si gettano all’assalto delle loro case, urlando: “Exite foras, ribaldi”, “Uscite, mascalzoni” […]. Gli scolari che avevano a che fare con le guardie, con gli osti e le prostitute, conoscevano il dialetto locale? È lecito dubitarne. Si dice che gli stessi mendicanti e vagabondi conoscevano sufficientemente il latino per esercitare il loro mestiere. Si cita poi il caso del papa Giovanni XXII (di Cahors), il quale, dopo aver studiato a Parigi e a Orléans, dovette farsi tradurre una lettera del re Carlo IV (1294-1328) scritta in francese» (p. 129).

Sintesi

Dalla fede non solo l’accettazione, ma la promozione: studiare è venerare l’opera di Dio ed è servire la comunità

Il discernimento

-nel tempo di Teresa d’Avila (Castello interiore), di Giovanni della Croce (notte spirituale), di Filippo Neri 

dagli "Atti" raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio (Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)
Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati "Vita di Cristo" e "Florilegio di santi", ambedue nella lingua materna. Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso. Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: "E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?". Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo. Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia. Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costatò che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.

dagli Esercizi spirituali

Prima annotazione. Con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima.

dagli Esercizi spirituali [23] PRINCIPIO E FONDAMENTO.
L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo. Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati.

Galileo Galilei

Fu nel luglio 1609, infatti, che Galilei si costruì il primo cannocchiale, dopo aver ascoltato dell’invenzione di tale strumento nelle Fiandre da amici veneziani: utilizzando lenti di Murano realizzò un primitivo modello che andò via via perfezionando[1].

Attraverso quelle lenti, che ingrandivano per la prima volta l’universo ai suoi occhi, giunse alle grandi scoperte che presentò nel Sidereus nuncius, pubblicato nel 1610[2].

Già il gesuita Clavio l’aveva individuata teoricamente come concentrazione di stelle: Galilei con il suo cannocchiale confermava ora che la Via Lattea e altri ammassi di stelle che oggi verrebbero chiamate “nebulose” e che venivano viste da lui per la prima volta, erano “greggi” di stelle[3].

Soprattutto, il Sidereus nuncius divenne noto per una notizia che suonò come assolutamente nuova per l’epoca che conosceva come corpi celesti, oltre alla Terra e alla Luna, solo le cosiddette “stelle erranti”: e cioè, nell’ordine, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno (con il Sole immaginato fra Venere e Marte). Galilei vide per la prima volta quattro nuovi “pianeti” (le ricerche moderne li hanno poi ridefiniti “satelliti”) in orbita intorno a Giove[4]. Galilei li disegnò così come si erano presentati alle lenti del suo cannocchiale nel gennaio 1610.

L’astronomo dedicò la scoperta dei quattro nuovi corpi celesti alla dinastia dei Medici, intitolando a loro i nuovi “pianetini”. I quattro satelliti maggiori di Giove - Io, Europa, Ganimede e Callisto - portano tuttora il nome di “satelliti medicei”.

Inoltre l’astronomo riuscì a scorgere le macchie solari: esse dimostravano che anche il sole era qualcosa di più complesso di un corpo semplicemente sferico e perfetto, come si era fin lì pensato.

Più tardi ancora Galilei, osservando Saturno, giunse ad ipotizzare che avesse due satelliti, che però vedeva apparire e scomparire: solo gli astronomi a lui successivi giunsero a comprendere che si trattava invece di un “anello”[5]

 

Ludovico Cardi, detto il Cigoli, Madonna Galileiana nella Cupola della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore (1610-1612)

Adulatio perniciosa dedicata dal cardinale Maffeo Barberini nell’anno 1620 alle scoperte astronomiche di Galilei:

Quando la Luna rifulge nel cielo, e dispiega
nell’orbita serena, come aureo sfarzo,
le stelle che brillano, attrae
uno straordinario piacere e trattiene gli sguardi. 

Uno alza la testa al cielo e vede Vespero che sfavilla,
e il crudele astro di Marte
e l’orbita colorata dallo splendore del latte;
un altro vede in alto la tua luce, o Orsa Minore. 

O un altro ancora ammira il cuore dello Scorpione,
o il volto del Cane, o i satelliti di Giove,
o del padre Saturno, scoperti abilmente
dal tuo vetro, o Galileo. 

[…]

Tra l’ottobre 1610 e il novembre 1612, infatti, il pittore toscano Ludovico Cardi, detto il Cigoli, affrescò la cupola della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore con l’Immacolata Concezione di Maria. Tradizionalmente l’iconografia dell’Immacolata prevede che la Vergine sia raffigurata mentre calpesta la luna (che rappresenta il fluire del tempo che tutto distrugge e che viene invece ormai “vinto” per l’Incarnazione del Figlio di Dio) e tale luna era stata sempre raffigurata come una mezza luna, per renderla riconoscibile al popolo.

Ebbene la luna della Madonna del Cigoli non è rappresentata come una mezzaluna, bensì in maniera naturalistica, con crateri e rilievi[6]. Federico Cesi, scienziato, fondatore dell’Accademia dei Lincei e amico di Galilei[7], scrisse all’astronomo in una lettera del 1612 un elogio sperticato dell’affresco del Cigoli, il quale «come amico e leale [vostro]», «sotto l’immagine della beata Vergine ha dipinto la Luna nel modo che da Vossignoria è stata scoperta, colla divisione merlata e le sue isolette»[8].

L’affresco venne realizzato su esplicita commissione di papa Paolo V.

Fino a quel momento il “telescopio” era stato chiamato “occhiale”, “cannone occhiale”, “perspicillum” o “istrumento”[9]: fu il matematico del cardinal Gonzaga, Giovanni Demisiani, a proporre il nuovo nome che venne apprezzato dai partecipanti a quella serata e divenne il nome ufficiale. Galilei, mentre riconosceva la propria capacità di perfezionare il telescopio, contemporaneamente ne attribuiva il merito a Dio stesso: «Tutte queste cose sono state scoperte e osservate in questi ultimi giorni per mezzo del “telescopio” escogitato da me, in precedenza illuminato dalla grazia divina»[10].

Già nell’autunno del 1610 il cannocchiale non fosse più un suo unico possesso[11].

Nell’ottobre 1610, infatti, Galilei fornì al gesuita del Collegio Romano Clavio le lenti perché egli si costruisse un suo cannocchiale e quest’ultimo comunicò all’astronomo pisano in data 4 dicembre dello stesso anno che i Clavisi (così si chiamavano allora i discepoli di Clavio) avevano visto anch’essi i “pianeti medicei”, scoperti da Galilei, e le fasi di Venere[12]. Non solo: Galilei coglieva ogni occasione possibile per insegnare ad usare il telescopio ai gesuiti che transitavano da Firenze[13], mostrando via via loro non solo le sue scoperte, ma anche come utilizzare quei primitivi telescopi che, se mal sistemati, non permettevano facilmente l’osservazione del cielo - scriveva Clavio a Galilei: «In vero questo instrumento sarebbe di valore inestimabile, se non fosse così fastidioso in adoprarlo»[14].

Galilei racconta nei suoi scritti come i gesuiti, in principio riluttanti, riconoscessero tramite le osservazioni al telescopio la bontà delle sue scoperte - «et confessati»[15], cioè avevano riconosciuto!

Galilei volle personalmente coinvolgere il Collegio Romano, e tramite esso il papa, nel riconoscere le enormi novità astronomiche che proclamava e decise, per questo, di recarsi a Roma, in ciò sostenuto dal Granduca di Firenze Cosimo.

Lo ricorda Alessandrini, che cita pure la lettera di Galilei a Clavio (la lettera è precedente quella appena citata dell’astronomo gesuita a Galilei) con la quale prometteva di aiutarlo ad utilizzare il telescopio una volta giunto a Roma: «Che la scelta di Galileo fra Padova e Firenze fosse stata, per così dire, funzionale all’autentico obiettivo della battaglia galileiana (cioè la conquista di Roma) è dimostrato, fra l’altro, dalla interessante lettera inviata al padre gesuita Cristoforo Clavio il 17 settembre 1610. Il tono di questa lettera, amichevole e cordiale, rivela un’antica conoscenza e stima reciproca. Galileo si propone di dimostrare personalmente, durante il suo prossimo soggiorno a Roma, la validità delle sue scoperte, ottenute per mezzo di un telescopio efficace e ben manovrato: “… ho inteso come Ella, insieme con uno dei loro fratelli, havendo ricercato intorno a Giove, con un occhiale, de li Pianeti Medicei, non gli era succeduto di potergli incontrare. Di ciò non mi fo io gran maraviglia, potendo essere che lo strumento o non fosse esquisito si come bisogna, o vero non l’havessero ben fermato: il che è necessarissimo, perché tenendolo in mano, benché appoggiato a un muro o altro luogo stabile, il solo moto delle arterie, et anco del respirare, fa che non si possono osservare... Ho voluto dar conto... di tutti questi particolari, acciò in Lei cessi il dubbio, se però ve n’ha mai hauto, circa la verità del fatto, della quale... li succederà accertarsi alla mia venuta costà, sendo io in speranza di dover venire in breve a trattenermi costà qualche giorno...”»[16].

Il viaggio avvenne nel 1611 e Galilei venne ufficialmente invitato dai gesuiti romani. Il 30 marzo 1611, il giorno dopo il suo arrivo a Roma, Galilei si recò una prima volta in visita al Collegio Romano[17] e vi tornò poi per una seduta ufficiale il 18 maggio dello stesso anno[18].

In questa seconda occasione[19] l’astronomo pisano espose le sue scoperte dinanzi ai docenti e a persone convenute da tutta la città. Fra coloro che vennero ad ascoltarlo c’erano anche i cardinali Maffeo Barberini - il futuro papa Urbano VIII - e Roberto Bellarmino, che apprezzarono le tesi scientifiche galileiane[20]. Gregorio di Saint-Vincent ricorda quell’incontro in una lettera all’astronomo C. Huyghens, scrivendo: «Entrò Galileo nella grande aula delle accademie… e noi, in sua presenza, esponemmo a tutta l’Università del Collegio Gregoriano i nuovi fenomeni; e dimostrammo con evidenza, sebbene con scandalo dei filosofi, che Venere gira attorno al sole»[21].

Questo resoconto è avvalorato dal fatto di essere stato scritto quando le polemiche erano ormai pubbliche. I termini utilizzati rendono chiaro che l’opposizione alle nuove scoperte non venisse fin qui dai teologi, bensì dai “filosofi”: è evidente che con tale termine si intendevano, come si vedrà più avanti, gli studiosi delle diverse branche della scienza - e, quindi, anche dell’astronomia -, detti allora “filosofi naturali”. Le scoperte di cui si è fin qui parlato, relative alla luna, ai nuovi “pianeti” di Giove, alle macchie solari, alle fasi di Venere, non riguardavano, infatti, direttamente l’eliocentrismo, che restava sullo sfondo. Eppure erano veramente “rivoluzionarie”, si potrebbe dire più ancora dell’eliocentrismo, poiché per la prima volta era possibile un’osservazione ravvicinata dei fenomeni celesti: tramite questo approccio, prima impossibile, tutta la fisica aristotelica “pagana” che aveva fino ad allora dominato il pensiero entrava in crisi.

La seduta di maggio comportò quella che oggi sarebbe chiamata una laurea honoris causa e fu il padre gesuita van Maelcote a tenere la pubblica laudatio di Galilei, elogiando il Sidereus nuncius[22]: i grandi astronomi gesuiti del tempo, Clavio, Grienberger, Lembo e gli altri, convennero con lui.

La richiesta del cardinal Roberto Bellarmino agli astronomi gesuiti del Collegio Romano di verificare le scoperte di Galilei

Fra il primo e il secondo incontro presso il Collegio Romano non si tenne solo la serata ad inviti organizzata dal principe Cesi, ma anche ulteriori pubbliche dimostrazioni della nuova astronomia galileiana[23].

Di importanza ancora maggiore fu la richiesta del cardinal Bellarmino ai gesuiti del Collegio Romano di un responso per sapere se, a loro avviso, le scoperte galileiane fossero degne di fede. Vale la pena leggere per intero sia la richiesta del Bellarmino che la risposta dei gesuiti che avevano invitato e poi accolto l’astronomo pisano:

 
ROBERTO BELLARMINO ai MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO[24].

Molto Rev.di Padri,

So che le RR. VV. hanno notitia delle nuove osservationi celesti di un valente mathematico per mezo d’un instrumento chiamato cannone overo ochiale; et ancor io ho visto, per mezo dell'istesso instrumento, alcune cose molto maravigliose intorno alla luna et a Venere. Però desidero mi facciano piacere di dirmi sinceramente il parer loro intorno alle cose sequenti:
Prima, se approvano la moltitudine delle stelle fisse, invisibili con il solo ochio naturale, et in particolare della Via Lattea et delle nebulose, che siano congerie di minutissime stelle;

2°, che Saturno non sia una semplice stella, ma tre stelle congionte insieme;

3°, che la stella di Venere habbia le mutationi di figure, crescendo e scemando come la luna;

4°, che la luna habbia la superficie aspera et ineguale;

5°, che intorno al pianeta di Giove discorrino quattro stelle mobili, et di movimenti fra loro differenti et velocissimi.

Questo desidero sapere, perchè ne sento parlare variamente; et le RR. VV., come essercitate nelle scienze mathematiche, facilmente mi sapranno dire se queste nuove inventioni siano ben fondate, o pure siano apparenti et non vere. Et se gli piace, potranno mettere la risposta in questo istesso foglio.
Di casa, li 19 d'Aprile 1611.

Delle RR. VV.

Fratello in Christo


La risposta dei matematici - cioè astronomi - gesuiti è la seguente:


I MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO a ROBERTO BELLARMINO in Roma[25].

Ill.mo et R.mo Sig.r et P.ron Col.mo

Responderemmo in questa carta conforme al commandamento di V. S. Ill.ma intorno alle varie apparenze che si vedono nel cielo con l'occhiale, et con lo stesso ordine delle proposte che V. S. Ill.ma fa.

Alla prima, è vero cha appaiono moltissime stelle mirando con l'occhiale nelle nuvolose del Cancro e Pleiadi; ma nella Via Lattea non è così certo che tutta consti di minute stelle, et pare più presto che siano parti più dense continuate, benchè non si può negare che non ci siano ancora nella Via Lattea molte stelle minute. È vero che, per quel che si vede nelle nuvolose del Cancro et Pleiadi, si può congetturare probabilmente che ancora nella Via Lattea sia grandissima moltitudine di stelle, le quali non si ponno discernere per essere troppo minute.

Alla 2a, habbiamo osservato che Saturno non è tondo, come si vede Giove e Marte, ma di figura ovata et oblonga in questo modo; se bene non habbiam visto le due stellette di qua et di là tanto staccate da quella di mezzo, che possiamo dire essere stelle distinte.

Alla 3a, è verissimo che Venere si scema et cresce come la luna: et havendola noi vista quasi piena, quando era vespertina, habbiamo osservato che a puoco a puoco andava mancando la parte illuminata, che sempre guardava il sole, diventando tutta via più cornicolata; et osservatala poi matutina, dopo la congiontione col sole, l'habbiamo veduta cornicolata con la parte illuminata verso il sole.

Et hora va sempre crescendo secondo il lume, et mancando secondo il diametro visuale.
Alla 4a, non si può negare la grande inequità della luna; ma pare al P. Clavio più probabile che non sia la superficie inequale, ma più presto che il corpo lunare non sia denso uniformemente et che abbia parti più dense et più rare, come sono le macchie ordinarie, che si vedono con la vista naturale. Altri pensano, essere veramente inequale la superficie; ma infin hora noi non habbiamo intorno a questo tanta certezza, che lo possiamo affermare indubitamente.

Alla 5a, si veggono intorno a Giove quattro stelle, che velocissimamente si movono hora tutte verso levante, hora tutte verso ponente, et quando parte verso levante, et quando parte verso ponente, in linea quasi retta: le quali non possono essere stelle fisse, poichè hanno moto velocissimo et diversissimo dalle stelle fisse, et sempre mutano le distanze fra di loro et Giove.
Questo è quanto ci occorre in risposta alle domande di V. S. Ill.ma: alla quale facendo humilissima riverenza, preghiamo dal Signor compiuta felicità.

Dal Collegio Romano, li 24 d’Aprile 1611.

Di V. S. Ill.ma et R.ma

[Seguono le firme dei padri Clavio, Grienberg, van Maelcote, Lembo[26]]

Lo scambio epistolare mostra, senza bisogno di commenti, che il metodo “ sperimentale” era stato pienamente accettato dai gesuiti, così come le scoperte fatte da Galilei e che, anzi, le nuove possibilità offerte dall’utilizzo del cannocchiale ebbero subito una risonanza carica di attese e curiosità: l’astronomo pisano aveva aperto una strada che subito venne percorsa anche da altri, dentro e fuori la Chiesa.

-la questione eliocentrica

Qui la questione è invece la Bibbia

Cfr. Lutero, Calvino, fino a Celsius, condannato ad Uppsala dai luterani nel 1679

Il rifiuto dell’eliocentrismo in ambito luterano vide ulteriori tensioni fino ad oltre la metà del seicento, quando, nel 1679, Niels Celsius venne costretto ad abiurare all’eliocentrismo dai docenti dell’Università di Uppsala[27]: lo studioso aveva difeso la centralità del sole nell’opera De principiis astronomicis propriis.

Cfr. la condanna a Spinoza nel 1656

La condanna di Spinoza da parte della sinagoga di Amsterdam è del 27 luglio 1656 (ben 23 anni dopo quella di Galilei) e recita: «I Signori del ma'amad [consiglio degli anziani] comunicano alle vostre Grazie che, essendo venuti a conoscenza da qualche tempo delle cattive opinioni e della condotta di Baruch de Spinoza, si sforzarono in diversi modi e promesse di distoglierlo dalla cattiva strada. Non potendo porre rimedio a ciò e ricevendo per contro ogni giorno le più ampie informazioni sulle orribili eresie che praticava e sugli atti mostruosi che commetteva, e avendo di ciò numerosi testimoni degni di fede che deposero e testimoniarono soprattutto alla presenza del suddetto Spinoza, egli è stato riconosciuto colpevole; esaminato tutto ciò alla presenza dei Signori rabbini, i Signori del ma'amad hanno deciso, con l'accordo dei rabbini, che il suddetto Spinoza sia messo al bando ed escluso dalla Nazione d'Israele a seguito del cherem che pronunciamo ora in questi termini: Con l'aiuto del giudizio dei santi e degli angeli, noi escludiamo, cacciamo, malediciamo ed esecriamo Baruch de Spinoza con il consenso di tutta la santa comunità, in presenza dei nostri libri sacri e dei seicentotredici precetti in essi racchiusi. Formuliamo questo cherem come Giosuè lo formulò contro Gerico. Lo malediciamo come Elia maledisse i figli e con tutte le maledizioni che si trovano nella Legge. Che sia maledetto di giorno, che sia maledetto di notte; che egli sia maledetto durante il sonno e durante la veglia, che sia maledetto quando entra e che sia maledetto quando esce. Voglia l'Eterno accendere contro quest'uomo tutta la Sua collera e riversare su di lui tutti i mali menzionati nel libro della Legge. E voi restiate legati all'Eterno, vostro Dio, che Egli vi conservi in vita. Sappiate che non dovete avere con (Spinoza) alcuna relazione né scritta né verbale. Che non gli sia reso alcun servizio e che nessuno l'avvicini a meno di quattro cubiti. Che nessuno viva sotto lo stesso tetto con lui e che nessuno legga alcuno dei suoi scritti»[28].

-il problema della “prova” di Galilei

Gli studi sulle maree

Dialogo sui massimi sistemi del mondo

In una lettera a suo proposito, mentre stava lavorano all’opera, Galilei aveva scritto: «Ora sono tornato al flusso e riflusso, e son ridotto a questa proposizione: stando la terra immobile, è impossibile che seguano i flussi e reflussi; e muovendosi de i movimenti già assegnatili, è necessario che seguano, con tutti gli accidenti in essi osservati»[29].

Le quattro giornate del Dialogo avevano nella prova delle maree il loro culmine[30]. L’articolazione dell’opera intendeva preparare il campo per offrire nell’ultima giornata l’argomento decisivo e inoppugnabile.

Come è noto Galilei immaginò nel Dialogo tre personaggi: Giovan Francesco Sagredo - proprietario di una casa veneziana sul Canal Grande nella quale si svolgono le discussioni e che rappresenta l’uomo colto, ma profano di scienza -, Filippo Salviati, nobile fiorentino sostenitore dell’eliocentrismo - che rappresenta Galilei stesso - ed, infine, Simplicio - rappresentante delle posizioni aristoteliche e, quindi, del papa Urbano VIII stesso e degli ecclesiastici contrari all’eliocentrismo.

Confisca dopo il 1870

-ai gesuiti solo la chiesa di Sant’Ignazio mentre il Collegio con le sue aule, la biblioteca e l’osservatorio astronomico, confiscati, divengono proprietà dello Stato

-i gesuiti fondano il nuovo “collegio”, la Gregoriana

-i corpi di San Luigi Gonzaga, San Giovanni Berchmans e San Roberto Bellarmino

(dalla sacrestia si sentiva la festa del Visconti sabato sera, nel corso dello spettacolo su Oscar Arnulfo Romero)

-Merito del classico: la migliore scuola d’Europa e del mondo intero

Non solo perché esistono discipline umanistiche, ma ancor più perché la ricerca e la scienza frutto di intuizioni teoriche: cfr. Galilei

Cultura del popolo: Manzoni

-Museo delle meraviglie (fa veramente onore)



[1] F. Marcacci - W.R. Shea, Intervista a Galileo, Roma, Carocci, 2015, pp. 14-15.

[2] L’opera venne pubblicata, secondo la prassi del tempo, con l’esplicita autorizzazione previa dell’Inquisizione; cfr. su questo F. Marcacci (a cura di), Galileo Galilei. Sidereus nuncius, Città del Vaticano, LUP, 2009, p. 86.

[3] M. Camerota, Prefazione. “Tu purgasti hoculos hominum”. Il nuovo cielo del Sidereus nuncius, in F. Marcacci (a cura di), Galileo Galilei. Sidereus nuncius, Città del Vaticano, LUP, 2009, p. 13-14.

[4] M. Camerota, Prefazione. “Tu purgasti hoculos hominum”. Il nuovo cielo del Sidereus nuncius, in F. Marcacci (a cura di), Galileo Galilei. Sidereus nuncius, Città del Vaticano, LUP, 2009, p. 14-15.

[5] F. Marcacci - W.R. Shea, Intervista a Galileo, Roma, Carocci, 2015, pp. 58-61.

[6] Cfr. su questo M. Bona Castellotti, Dal Rinascimento al Rococò. Percorso di storia dell’arte. 2, Torino, Einaudi, 2009, p. 398.

[7] Federico Cesi accolse Galilei come membro della sua Accademia il 25 aprile 1611. Si parlerà più avanti di questa istituzione, poiché essa permette di comprendere bene quale stretto rapporto esistesse allora in Roma fra ricerca scientifica e ambienti ecclesiastici e come il principe Cesi l’avesse creata perché fosse impregnata sia di spirito scientifico che di spirito cristiano.

[8] Lettera di Federico Cesi a Galileo Galilei del 1612, citata in F. Piazza, La Madonna galileiana. Nell’Immacolata affrescata dal Cigoli per papa Paolo V un anno dopo l’invenzione del cannocchiale c’è la prova che il primo sì della Chiesa alle osservazioni del padre della scienza fu immediato, in “Tempi”, 8/1/2009.

[9] J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, p. 244 in nota.

[10] Quae omnia ope Perspicilli a me excogitati divina prius illuminante gratia, paucis abhinc diebus reperta, atque observata fuerunt (G. Galilei, Sidereus nuncius, Venezia, 1610, fol. 4).

[11] Il gesuita Giovanni Paolo Bembo realizzò, dopo aver saputo del cannocchiale galileiano, un primo rudimentale strumento a quello ispirato e nel settembre 1610 il mercante di Venezia Antonio Santini ne costruì a sua volta uno con il quale riuscì a vedere le stelle medicee (cfr. J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, p. 205). Spazzoli ricorda che anche Keplero ebbe un telescopio di qualità solo grazie a Galilei:«Alla fine dell’estate del 1610 finalmente Keplero poté utilizzare un cannocchiale galileiano, prestatogli dal duca di Baviera, il quale lo aveva avuto in dono dallo stesso Galileo, e vi poté finalmente osservare i “pianeti medicei”, come Galileo aveva chiamato i satelliti di Giove (fu proprio Keplero a chiamarli per primo “satelliti”, dal latino “satellites” che significa “guardie”). Successivamente Keplero spiegò teoricamente il funzionamento del cannocchiale nel trattato di ottica dal titolo “Dioptrice”, pubblicato ad Augusta nel 1611» (O. Spazzoli, L’astronomo e il matematico: Tycho Brahe e Johannes Kepler, 2000, on-line sul sito http://planet.racine.ra.it).

[12] J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, p. 205.

[13] Galilei a G. de’ Medici e a Gualdo, entrambe del 17 dicembre 1610 (G. Galilei, Opere, X, pp. 483-484) e lettere di Welser a Clavio e di Grienberger a Galilei del 7 gennaio 1611 e del 22 gennaio 1611 (G. Galilei, Opere, XI, pp. 14.31-34).

[14] Lettera di Clavio a Galilei del 17 dicembre 1610 in G. Galilei, Opere, X, pp. 484-485, nella quale il gesuita dichiara: «Veramente V.S. merita gran lode» (cfr. su questo J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, p. 205).

[15] Lettera di Galilei a Welser del febbraio 1611 (G. Galilei, Opere, XI, p. 41).

[16] A. Alessandrini, Originalità dell’Accademia dei Lincei, in Accademia Nazionale dei Lincei, Convegno celebrativo del IV centenario della nascita di Federico Cesi, Roma, Bardi, 1987, pp. 120-121).

[17] Le aule dell’Università gesuitica del tempo sono oggi occupate dal Liceo classico Ennio Quirino Visconti, poiché alla presa di Roma nel 1870 il nuovo Stato confiscò tutti i beni dei gesuiti, compresi le aule per le lezioni (che sono appunto oggi le classi del Liceo Visconti) e l’Osservatorio astronomico e meteorologico del Collegio Romano (che aveva nella Torre Calandrelli il suo punto più alto), la raccolta scientifica che venne poi detta Museo kircheriano, poiché gran parte del materiale venne dal lavoro del padre gesuita Athanasius Kircher, studioso di matematica, fisica e lingue orientali (la raccolta venne interamente dispersa dallo Stato unitario appena costituito ed è stata recentemente ricomposta in maniera simbolica nel Liceo Visconti) e l’annessa Biblioteca i cui volumi costituirono il fondo iniziale della Biblioteca centrale Vittorio Emanuele II, oggi nota come Biblioteca Nazionale, mentre i locali della Biblioteca Major, con la Sala della Crociera, sempre confiscati dallo Stato Unitario, appartengono oggi alla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’arte.

[18] Alessandrini ricorda come gli incontri - sia quello presso il Collegio Romano, sia quello tenutosi sul Gianicolo, di cui si è già parlato, vennero accompagnati da “Avvisi” per renderli noti in città: «In uno di questi “Avvisi”, datato al 16 aprile, si trova notizia del “simposio” notturno tenutosi fuori Porta S. Pancrazio, nella vigna di Mons. Malvasia, alla presenza di scienziati e cardinali, per controllare con il telescopio le scoperte compiute da Galileo Galilei “con l’occhiali inventati o più tosto ampliati da lui”, nel quale fu “osservato il Corso delle stelle contro l’opinione di tutti l’antichi...”. Nell’altro “Avviso”, del 18 maggio 1611, è data notizia della riunione al Collegio Romano, organizzata dal marchese di Monticelli, nella quale fu recitata una orazione latina in lode di Galileo “magnificando et esaltando alle stelle la sua nuova osservatione di nuovi pianeti stati incogniti alli antichi Filosofi, facilitata anco con I’ampliatione delli ochiali ritrovati dal Porta Napolitano, onde esso Galileo con questa pubblica demostratione se ne tornerà a Firenze consolatissimo, et si può dir laureato dall’universal consenso di questa Università”» (A. Alessandrini, Originalità dell’Accademia dei Lincei, in Accademia Nazionale dei Lincei, Convegno celebrativo del IV centenario della nascita di Federico Cesi, Roma, Bardi, 1987, p. 121).

[19] Si ritiene che l’incontro del 18 maggio 1611 sia stato organizzato da padre Oddone van Maelcote, belga, con gli aiuti degli alunni di matematica e astronomia, allora chiamati, come si è già detto, gli “accademici del padre Clavio”. Certo è che p. van Maelcote introdusse la seduta e che, oltre a tre cardinali, erano presenti il fior fiore della città e diversi professori gesuiti fra i quali Giovanni Adamo Schall, Paolo Guldin (che difenderà poi Galilei a Vienna contro il gesuita Scheiner) e Nicola Zucchi.

[20] J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, pp. 206-208. Heilbron racconta in dettaglio lo svolgimento dei due incontri presso il Collegio Romano.

[21] R.G. Villoslada, Storia del Collegio Romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1954, p. 198.

[22] F. Marcacci - W.R. Shea, Intervista a Galileo, Roma, Carocci, 2015, p. 16.

[23] J.L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013, p. 208.

[24] È la Lettera 515, in G. Galilei, Opere, XI, Firenze, Giunti, 1964-1965, pp. 99-100 (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. III, car. 2. - Autografa la sottoscrizione).

[25] È la Lettera 520, in G. Galilei, Opere, XI, Firenze, Giunti, 1964-1965, pp. 106-107 (Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. III, car. 2bis. - Autografe le firme. A tergo, di mano di GALILEO, si legge: Attestazione de’ PP.i Giesuiti al Rever.mo Card. Bellarmino).

[26] Cfr. F. Marcacci, Galileo Galilei. Una storia da osservare, Città del Vaticano, Lateran University Press, 2015, p. 58.

[27] Cfr. H. Sandblad, The Reception of the Copernican System in Sweden, in Colloquia Copernicana I, Études sur l’audience de la théorie héliocentrique (Studia Copernicana V), Wroclaw, 1972, pp. 241-270, in particolare pp. 251-259.

[28] In H. Méchoulan, Gli ebrei di Amsterdam all’epoca di Spinoza, Genova, ECIG, 1991, pp. 145-146.

[29] Lettera di Galilei al Cesi del 23 settembre del 1624, in G. Galilei, Opere, XIII, p. 307-308. Il testo anche in G. Galilei, Lettere, E. Ardissino (a cura di), Roma, Carocci, 2008, p. 166.

[30] Per una sintesi dello sviluppo del Dialogo che prepara via via l’argomento che più interessava a Galilei, cfr. S. Pagano, Galileo Galilei. Lo splendore e le pene di un “divin uomo”, Firenze, Edizioni Polistampa, 2009, pp. 99-116.