"Pasqua tra i musulmani nella terra di San Paolo" e "Un anno dopo la Turchia chiede verità": due brevi interventi di mons. Luigi Padovese, il vescovo ucciso in Turchia il 3 giugno 2010

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /06 /2010 - 14:31 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 4 giugno 2010 due testi di S. E. mons. Luigi Padovese, il vescovo ucciso in Turchia il 3 giugno 2010. La mano del vescovo e patrologo italiano è chiaramente riconoscibile in molti passaggi della bellissima Lettera dei vescovi cattolici della Turchia che venne pubblicata in occasione dell'Anno paolino; la lettera è disponibile anche sul nostro sito al link Lettera dei Vescovi cattolici della Turchia sull’anno paolino.

Il Centro culturale Gli scritti (12/6/2010)

1/ Pasqua fra i musulmani, nella terra di san Paolo, di Luigi Padovese

Quello che segue è un testo scritto da mons Luigi Padovese l'8 aprile 2009 per l'agenzia Asianews in occasione dell'anno Paolino.


La Pasqua di quest’anno in Turchia è tutta speciale perché si celebra l’Anno Paolino e san Paolo è colui che ha portato l’annuncio di Gesù morto e risorto nella nostra terra.

In un ambiente saturo di religiosità, com’era il mondo antico, l’apostolo di Tarso ha concentrato l’annuncio nella fede in Dio, mediata dalla realtà concreta della morte e resurrezione di Gesù. Nessuna religione ha tratti più coinvolgenti di questa fede che crede nella nascita di Dio come povero e morto da crocifisso. Questo annuncio che ci richiama alla concretezza della fede cristiana è un messaggio nei confronti dei poveri e dei sofferenti, come delle vittime dell’ingiustizia. Esso è divenuto il leit-motiv della catechesi verso i nostri cristiani, fin dalla mia prima lettera pastorale.

Come ai tempi dell’apostolo viviamo nella sua terra in una società non cristiana. Siamo un gruppo minoritario che corre il rischio di smarrire la propria identità attraverso un concetto generico di fede in Dio. Per questa ragione gli eventi della Pasqua che celebriamo sono importanti: ci rimandano a contemplare l’evento fondativo della nostra fede.

Una richiesta al governo per la chiesa di Tarso

Un fatto che ci conforta è vedere che proprio in questi giorni vi è un flusso continuo di pellegrini, anche stranieri, ad Antiochia e nei luoghi di san Paolo. Questa regione era al di fuori dei tour dei pellegrinaggi; invece quest’anno è stata battuta da migliaia di pellegrini. Non sono turisti, ma fedeli alla ricerca del contatto con i luoghi in cui l’apostolo ha vissuto. Paolo è nato a Tarso, ma ha fatto parte della comunità cristiana di Antiochia e ad Antiochia è sempre ritornato per il suo ministero. In Turchia egli ha percorso almeno16 mila km!

La Pasqua perciò qui da noi deve avere per forza una marcatura paolina. A questo proposito, noi speriamo in un grande dono pasquale: il ritorno della chiesa di Tarso ai cristiani. La conferenza episcopale turca e quella tedesca, le autorità del governo tedesco e la segreteria di stato vaticana hanno richiesto di avere a Tarso una chiesa dove i pellegrini di qualsiasi confessione cristiana possano radunarsi a pregare. A Tarso vi è una chiesa cristiana antica, che però è stata trasformata in museo. Per quest’anno le autorità turche ne hanno permesso l’uso, senza pagare il biglietto del museo. Ma si tratta di una misura che sta per scadere.

Invece noi desideriamo che a Tarso vi sia un punto dove i cristiani possano sempre fare memoria dell’apostolo, non in un museo, ma in una chiesa. E aspettiamo una risposta da parte delle autorità. Mi auguro che questa risposta positiva ci venga data almeno entro la fine dell’Anno paolino (il 29 giugno 2009). Il dono della chiesa sarà anche una sorta di cartina di tornasole per misurare quanto le autorità turche vogliono fare per garantire la libertà religiosa. Abbiamo bisogno di fatti concreti per credere che qualcosa sta davvero cambiando in questo Paese.

Nessuna gelosia fra cattolici e ortodossi

Qui in Turchia le celebrazioni della Pasqua hanno anche un carattere ecumenico. Noi latini siamo una piccola comunità. Quest’anno la data della nostra Pasqua anticipa di una settimana quella ortodossa. È bello vedere come fra le diverse comunità cristiane non c’è opposizione, ma condivisione: ci sono ortodossi che vengono alle nostre funzioni e cattolici che vanno alle funzioni degli ortodossi. Da parte degli ortodossi, soprattutto i giovani, c’è desiderio di gustare la nostra liturgia, anche perché quella latina è in lingua turca, mentre quella ortodossa è in lingua araba e questo crea problemi di comprensione. Fra le due comunità non c’è assolutamente alcuna gelosia. C’è invece un sostenersi reciproco. Molti bambini ortodossi vanno nelle nostre parrocchie per la catechesi, tenuta anche da insegnanti ortodossi. Non c’è volontà di proselitismo, ma desiderio di aiutarci reciprocamente a seconda dei mezzi e delle possibilità di cui ciascuno dispone. Tutto è legato alla situazione comune di essere una minoranza religiosa e questo ci permette di superare tante prevenzioni e chiusure.

Il nostro essere minoranza rende la nostra situazione molto simile a quella degli inizi del cristianesimo, quella in cui si è trovato Paolo nel suo annuncio. L’apostolo, nato in un ambiente di pluralismo religioso, ci insegna ad avere un atteggiamento di rispetto nei confronti degli “altri” e questo comportamento positivo sentiamo di doverlo applicare al mondo islamico. Nonostante tutto, il nostro atteggiamento è molto positivo anche nei riguardi dell’islam. Qui io trovo tanta gente di buona volontà, coscienziosa. E san Paolo mi ha davvero insegnato questa novità della coscienza come il luogo della profondità della persona di fronte a Dio.

I martiri e le conversioni

Devo però aggiungere che per alcuni miei cristiani la Via Crucis è un fatto di oggi, non una cosa del passato. All’interno del vicariato di Anatolia ci sono davvero situazioni difficili. L’esperienza del martirio di don Andrea Santoro e altri fatti hanno lasciato il loro strascico. Ci sono ancora cristiani vicini alla sofferenza di Gesù.

Ma vi sono anche musulmani che si avvicinano al cristianesimo proprio attraverso le sofferenze di Gesù. Un piccolo numero sono divenuti cristiani. La loro è stata una scelta sofferta e meditata per le conseguenze, i rischi, le fatiche che porta nella loro vita. Eppure divengono cristiani proprio partendo dal fascino di Gesù che ha sofferto [nel Corano Gesù sfugge alla morte e fa morire un sostituto – ndr]. Del resto, anche in passato l’umanità di Gesù è stata esaltata da alcune personalità musulmane come il poeta Mevlana e altri mistici sufi.

2/ Mons. Padovese: un anno dopo la Turchia chiede verità... Intervista di Giorgio Paolucci a mons. Padovese

Intervista rilasciata da S. E. mons. Luigi Padovese per Avvenire del 30 Gennaio 2007.

È passato un anno dalla morte di don Andrea Santoro, il sacerdote italiano assassinato mentre pregava nella sua chiesa di Trabzon. «Una testimonianza esemplare di umanità e di fede, la sua, che ha dato nuovo vigore alla Chiesa in Turchia, anche se c'è un'esigenza di verità da colmare e molte ferite restano ancora aperte - spiega monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia - . Nuovo vigore è arrivato anche dalla visita di Benedetto XVI, che ha contribuito a superare pregiudizi e disinformazione nei confronti del cristianesimo. Ma molto resta ancora da fare perché in questo Paese la libertà di coscienza e i diritti dell'uomo trovino l'accoglienza che meritano in un Paese che ambisce a entrare nell'Unione Europea».

Da più parti sono state notate inquietanti somiglianze tra l'assassinio di don Santoro del 5 febbraio scorso e quello recente del giornalista turco-armeno Hrant Dink. Un gruppo ultranazionalista - le Brigate delle vendetta turca, frazione dei Lupi grigi - ha rivendicato entrambi gli omicidi con una e-mail indirizzata al giornale di Dink, in cui si dice: «Dopo il prete Santoro, abbiamo eliminato un altro nemico della Turchia». Lei che ne pensa?

 Non voglio sostituirmi alla magistratura, ma certamente esistono motivi di preoccupazione molto fondati. È significativo il fatto che anche l'assassino di Dink provenisse dalla zona di Trabzon, dove operano gruppi che appartengono all'area del radicalismo nazionalista e islamico. Pochi giorni fa la famiglia del giornalista armeno assassinato ha detto che se fosse stata piena luce sull'omicidio di don Santoro, forse Dink non sarebbe morto. Parole emblematiche, che personalmente condivido. Niente teoremi, per carità, ma è innegabile che c'è chi alimenta sentimenti di odio e di ostilità nei confronti dei cristiani, degli armeni e di chiunque venga ritenuto colpevole di atteggiamenti sbrigativamente definiti come «contrari agli interessi della nazione».

A questo proposito, proprio ieri il premier Erdogan ha dichiarato la volontà di rivedere (ma non di abolire) l'articolo 301 del codice penale, che punisce le «offese all'identità turca», una norma spesso usata per mettere a tacere qualsiasi opposizione.

Sull'argomento c'è una forte pressione dell'opinione pubblica, che chiede maggiore libertà di pensiero e di espressione. Anche la Ue sollecita provvedimenti in questa direzione. Vedremo se saranno cambiamenti sostanziali o di facciata.

La massiccia partecipazione popolare ai funerali di Dink indica che qualcosa si muove anche nella società civile?

Mi hanno colpito quelle scritte «Siamo tutti armeni», e la presenza di tanti musulmani. Segni eloquenti dell'insofferenza che cresce tra la gente comune, del desiderio di una svolta vera. Come pure mi ha colpito la decisione del ministro dell'Interno di rimuovere il prefetto e il capo della polizia di Trabzon, che avevano minimizzato la portata della morte di Dink e i collegamenti degli esecutori con gli ambienti del nazionalismo radicale. Come si vede, siamo in presenza di segnali contrastanti. La grande partecipazione popolare ai funerali evidenzia che la società è nel complesso una pianta sana e capace di reagire - anche pubblicamente - alle minacce portate alla sua coesione. Ma non bisogna sottovalutare che alcune radici della pianta sono malate, c'è il pericolo di un contagio.

Cosa si può fare perché il contagio non si diffonda?

Da parte delle autorità civili è necessaria un'azione più rigorosa perché, oltre a individuare gli esecutori, si risalga agli ambienti dove maturano simili gesti. Ci sono cattivi maestri che educano all'intolleranza e hanno un forte ascendente sui giovani. Da parte delle autorità religiose islamiche serve una condanna più esplicita del fanatismo e di chi usa la religione per giustificare la violenza. La stampa turca ha pubblicato una frase dell'assassino di Dink che è atroce nella sua eloquenza: «Ho fatto la preghiera del venerdì e poi ho colpito».

Che ne pensa dell'esito del processo per la morte di don Santoro, che si è concluso con la condanna a 18 anni dell'omicida?

Personalmente sono insoddisfatto e amareggiato. Ritengo che non sia stata fatta luce sul movente e sui mandanti del gesto, attribuito «solo» all'azione di un giovane squilibrato. Il processo si è svolto a porte chiuse perché l'imputato era un minorenne, sappiamo solo ciò che è filtrato attraverso la stampa. Si è in attesa del testo scritto della sentenza, non ancora trasmesso alle competenti autorità italiane, anche per valutare gli eventuali passi da fare in sede giudiziaria. La verità totale non è l'esigenza di una parte, ma un bene per tutta la Turchia.

Qual è la situazione oggi nella chiesetta di Trabzon di cui era parroco don Andrea?

Ora lì c'è un sacerdote polacco, insieme a una famiglia di collaboratori romeni. La vita è piuttosto difficile, i cristiani sono pochi e un po' isolati, ma si continua nel solco tracciato da don Santoro, che ha portato frutti: condivisione della vita quotidiana in semplicità e umiltà, testimonianza e accoglienza di chiunque si avvicina per curiosità o per desiderio di conoscere il cristianesimo.

Quale eredità ha lasciato la visita di Benedetto XVI?

Il clima è più disteso e meno ostile. La stima che ha espresso per il popolo turco, il rispetto per i musulmani e la loro fede, la semplicità e cordialità con cui si è rivolto a loro chiamandoli amici, sono stati determinanti per superare molti dei pregiudizi che circolavano prima del suo arrivo. E anche il comportamento delle autorità ha permesso che la visita non venisse turbata in alcun modo. Mi permetta di aggiungere che ritengo fondamentali le preghiere che da molte parti del mondo hanno accompagnato quel viaggio che si presentava così rischioso: abbiamo ricevuto tante testimonianze di gente che ha affidato quei giorni alla Provvidenza. E credo che… abbia fatto un buon lavoro.

Quali sono le difficoltà principali con cui deve misurarsi la Chiesa?

Scontiamo le conseguenze degli incameramenti di beni fatti dallo Stato: chiese, ospedali, scuole, collegi. Sarebbe opportuna la creazione di una commissione bilaterale che affronti il nodo della restituzione, arrivando a un onorevole compromesso. Il fatto che la Chiesa non ha personalità giuridica rende tutto più difficile. Per questo pochi giorni fa il Papa, ricevendo il nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede, è tornato a chiedere il riconoscimento giuridico della Chiesa. Poi ci sono problemi legati al modo con cui il cristianesimo viene presentato sui libri di testo, e un'ostilità presente in una parte della società, che spesso nasce da ignoranza o da pregiudizi.

Cosa si può fare per superarli?

Anzitutto costruire rapporti di amicizia nella vita quotidiana, nei quali emerga la bellezza della fede cristiana e il desiderio di costruire insieme il futuro della Turchia. Poi, presentare il cristianesimo per ciò che autenticamente è con l'ausilio di mezzi di comunicazione promossi dalla Chiesa. L'anno scorso abbiamo dato vita a un sito Internet e stiamo lavorando alla costruzione di una radio con la quale trasmettere programmi di informazione. La visita del Papa ha modificato anche la posizione dei media turchi, ma dobbiamo ancora fare i conti con letture riduttive e fuorvianti del cristianesimo e della presenza dei cattolici. Bisogna far arrivare la nostra voce nelle case della gente senza che venga filtrata e deformata.

Non teme l'accusa di proselitismo?

Macché proselitismo, ci sta a cuore solo dire chi siamo. Senza secondi fini, ma senza timori reverenziali. E comunque la Turchia deve accettare di misurarsi con la sfida della libertà religiosa: è un passaggio necessario per continuare il cammino verso l'Europa.

Un cammino, quello verso la Ue, che appare ancora lungo e in salita…

Episodi come l'assassinio di don Santoro o del giornalista Dink testimoniano che c'è chi si oppone al processo di avvicinamento all'Unione Europea in nome di una malintesa difesa dell'identità turco-islamica della nazione. Noi riteniamo che la Ue debba essere esigente ma non chiusa rispetto all'ingresso di Ankara. Gli aspetti economici delle trattative in corso non sono tutto. Devono arrivare segnali più forti nel campo dei diritti umani e della libertà religiosa e di pensiero. Insomma, credo che ci voglia un «sì» con molti «ma».