“Non mi interessa la storia della teologia, mi interessa il fatto che sono i testi che ti aiutano a capire veramente la vita. Credo veramente che la teologia e l’economia siano le due scienze che prendono alla gola la vita e i suoi aspetti essenziali: il rapporto con gli altri, il coraggio e la paura di morire, l’amore, l’eros, il dolore, il piacere. Mi è sempre spiaciuto che spesso la Chiesa, che è sempre a un livello altissimo dell’esposizione del suo pensiero, sia debole nell’esposizione media, nella divulgazione, che invece è importantissima”. Un’intervista a Claudio Magris di Monica Mondo per Soul
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione dell’intervista televisiva di Monica Mondo a Claudio Magris andata in onda per Soul su TV2000 il 16/7/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Storia e filosofia e Letteratura.
Il Centro culturale Gli scritti (2/9/2018)
Un torinese di Trieste. O un triestino di Torino, sospeso su due città al confine.
“Sono le due città della mia vita, non ne scelgo nessuna, come non scelgo tra i miei due figli” dice Claudio Magris, ospite di Soul sabato 16 luglio.
Il nostro più grande germanista, maestro di letteratura, pena frenetica e di rara potenza espressiva, nei romanzi, negli articoli. Senatore della Repubblica, per un solo biennio.
Claudio Magris durante l’intervista
con Monica Mondo
“Quel periodo per varie ragioni ha coinciso con il periodo più difficile della mia vita personale. L’ho fatto con passione, credendo e pensando di doverlo fare, ma contro la mia natura: io non sono fatto per rappresentare, la mia era una scelta soltanto morale, e quindi aveva un qualcosa di terribile. Shakespeare ha detto: qualunque cosa facciate fatelo sempre secondo la vostra natura, e non è questa la mia natura. Poi ho fatto quello che potevo, sono grato di aver imparato in quei due anni quello che ho imparato, e non attribuisco al mondo le mie défaillances; posso essere non scontento di me se penso alle enormi difficoltà soggettive che avevo. E poi ci sono stati anche aspetti umoristici, perché formalmente al Senato rappresentavo un movimento in cui ero l’unico iscritto, una lista di diverse formazioni che andavano dai liberali ai cattolici, e ho vinto solo perché la destra si era spaccata in due. Quando c’erano le crisi di governo il Presidente della Repubblica, che allora era Scalfaro, doveva convocarmi, perché io ero il mio capogruppo”.
L’hanno candidato al Nobel, e lui ci scherza, come scherza spesso per sprezzatura, parrebbe, per mitigare uno sguardo tragico sulla realtà, nonostante l’apparenza così leggera e ironica, appunto.
“Qualcuno dei brokers a Londra scommette su di me, e gliene sono grato, ma è una cosa che non esiste..”
Ogni suo libro è il libro dell’anno, e ce lo invidiano in mezzo mondo. Magris, nato il 9 aprile, ma che diceva a tutti il 10, data, nel 1863, della fine della guerra d’indipendenza americana, cioè dello schiavismo. Non a caso il suo cane, compagno di passeggiate all’alba, si chiama Jackson.
“Un cane a cui devo la fama. L’altro giorno ero al mare a Triste con questo grifoncino, una signora mi si è avvicinata e io banalmente credevo mi chiedesse l’autografo. Invece mi fa: L’è suo sto can? Sì, rispondo, Allora lei deve essere Magris”.
C’è anche il grido di dolore dei neri d’America in questo romanzo Garzanti, Non luogo a procedere, che come una matrioska raccoglie tante storie, che si aprono l’una dentro l’altra, e compongono una polifonia d storie. C’è anzitutto un professore, realmente esistito, ossessionato dalle armi e deciso a realizzare un museo della guerra, raccogliendo fucili e archi, veleni e divise, elmetti e carriarmati, vessilli, …perchè ama la pace e vuole ricordare l’orrore. Così diventa testimone di una verità scomoda, terribile, dei tradimenti che portarono ai forni tanti concittadini nella atroce risiera di San Sabba. E muore, in circostanze misteriose, in un rogo del magazzino dove dormiva con questi oggetti insensati che aveva raccolto. Un dito nelle ferite della storia.
“Mi interessava che quest’uomo cercasse scritte sui muri del lager, non dei carnefici, ma di quei complici passivi, quelli della zona grigia, avrebbe detto Primo Levi. Poi ogni oggetto del museo diventa un po’ come la lampada di Aladino, che strofinati raccontano storie”.
Due voci narranti, il collezionista detective e una donna, Luisa, figlia di una donna ebrea coinvolta in modo torbido nella Shoa e di un sergente afroamericano arrivato con l’esercito alleato nel 45.
“Sono i due popoli che possono cantare l’esilio, gli ebrei e i neri, dicendo “come possiamo cantare in terra straniera…” Lo storico accerta i fatti la letteratura cerca di capire come gli uomini li hanno vissuti.”
Siamo di nuovo in tempo di guerra, anche se fingiamo che non ci riguardi. Qualche volta guerre necessarie.
“Oggi non siamo come spesso si dice nella terza guerra mondiale, ma nella quarta. La terza l’ha vinta l’occidente e l’ha persa il mondo sovietico, la cosiddetta guerra fredda. Che ha avuto, ricordiamoci, quarantacinque milioni di morti fra il 1945 e l’ottantanove o il novantuno, per nostra fortuna non sulle nostre teste ma in altri luoghi. La differenza adesso è che c’è una guerra, ma non si sa di chi e contro chi, non si sa chi è alleato e chi è nemico. All’orrore della guerra si somma il caos. La guerra poi ha questo terribile potere di seduzione, si pensa sempre che sia l’ultima. Che poi qualche volta sia necessario farla c’è poco da dire: la seconda guerra mondiale si sarebbe potuta evitare prima, ma nel 39 entrare in guerra contro la Germania nazista era necessario. Le democrazie potevano scegliere il disonore o la guerra, aveva ragione Churchill, scelsero il disonore, ma non per questo evitarono la guerra.”
Adesso stiamo accentrandoci sui problemi del Pil…?
“Abbiamo una marea di informazioni, ma ad esempio , di quel che succede veramente in Afghanistan , dove la guerra sta durando tre volte la seconda guerra mondiale, non sappiamo nulla, chi governa, chi muore, chi controlla al governo e contro il governo…Bisogna essere naturalmente ottimisti con la volontà, ma temo che tra deci anni il mondo sarà peggiore”.
Il passato però non è stato migliore, e Dio non ama meno questo tempo di quelli che l’hanno preceduto.
“Nessuna nostalgia del passato, basti pensare a quante categorie di persone sono state misconosciute, offese nella storia. Il passato è stato persecutorio, pieno di pregiudizi e violenza. C’era il cabarettista, maestro di Brecht che diceva, il futuro una volta era migliore, cioè la speranza di poter creare un futuro di pace”.
Sei riconosciuto unanimemente come il più grande studioso di cultura mitteleuropea. Cosa significa Europa oggi? Apertura, col rischio che ti tolgano del tuo? In quest’Europa dove aumentano i suicidi per il non senso del vivere o per le banche.
“Io sogno un momento in cui possa esistere uno Stato europeo, perché credo che dovremmo vivere le nostre identità come matrioske. Così come sono triestino o torinese e questo non è in contraddizione col mio essere italiano, così essere italiani è essere europei. Sogno uno Stato decentrato, federale, ma con delle leggi cogenti per tutti, esattamente come oggi le regioni rispetto allo Stato italiano. Che hanno autonomia, competenza legislativa, però non possono fare leggi che, per esempio, dicano che le donne non possono andare a scuola. Credo, e lo dico contraddicendo quello che ho scritto tutta una vita, che sarebbe stato meglio costruire un vero Stato dove io, tu, possiamo votare per un presidente del consiglio che si chiami Rossi, Weber, Dupont, sulla base dell’idea primaria degli stati fondatori, e una volta costituito questo Stato ben preciso accogliere poi gli altri stati che vogliano liberamente aderirvi Quando Einaudi fonda una casa editrice nel 33 ,non scende in piazza a chiedere alla gente come la volete, di gialli, di romanzi rosa… C’è un progetto, cui si uniscono coloro che lo condividono. Bisognerebbe poi far sparire l’unanimità, che non è mai democratica ma è sempre quella falsa, finta, dei regimi totalitari.”
Questa Europa orientale accusata oggi di chiusure e razzismo, tu la conosci bene.
“Io credo che atteggiamenti di chiusura come il filo spinato in Ungheria o tra Slovenia e Croazia fanno impressione, tanto più a chi come me è cresciuto con il confine invalicabile, a pochi chilometri da Trieste, e di là c’era la cortina di ferro. Però credo che una ragione ci sia: questi paesi che per lunghi anni sono stati congelati nel mondo sovietico forse sono ancora troppo presi dai propri problemi per potersi veramente interessare a quelli di questi dannati della terra che arrivano. Non è una giustificazione, ma credo che possa essere una spiegazione.
Nel problema dell’immigrazione si riscontrano poi due aspetti: uno è il rifiuto razzista intollerabile e odioso, gretto, poi ce ne può essere un altro, che riguarda i numeri di questa odissea, che la rende drammatica e tragica, perché se tutti i dannati della terra, che hanno esattamente il diritto di vivere come noi, vengono qui da noi non c’è materialmente il posto. Proprio per questo non bisogna aggiungere ai tremendi problemi reali dei pregiudizi cretini, ma nemmeno cadere nel buonismo: non ho mai capito perché, come si pensa oggi in Francia, non si dovrebbero mostrare i presepi per non offendere i musulmani e invece bisognava permettere a Charlie Hebdo, pace all’anima sua, di poter offendere tutti disegnando quelle sconcezze sulla Madonna.”
Tu sei sempre stato un intellettuale di sinistra, poco organico alla sinistra che ha dominato la cultura italiana per cinquant’anni. Hai avuto il coraggio di prese di posizione molto nette, penso contro la legge sull’aborto.
“Come Norberto Bobbio ho scritto editoriali contro la legge sull’aborto, semplicemente in difesa della vita dell’individuo, e questo è un principio generalizzato che non dovrebbe avere a che fare con convinzioni religiose. Quanto alla supremazia presunta di una certa area culturale, ricordiamo che Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti non erano di sinistra, nemmeno i grandi giornali, o chi comandava nelle università… C’è stata una debolezza di altra parte culturale che ha permesso di colmare gli spazi. Così come prima c’era un’egemonia crociana. Sarebbe interessante capire il perché.”
E’ vero che ti sei sempre definito un lettore appassionato delle Scritture e della teologia. Per un interesse culturale?
“Non mi interessa la storia della teologia, mi interessa il fatto che sono i testi che ti aiutano a capire veramente la vita. Credo veramente che la teologia e l’economia siano le due scienze che prendono alla gola la vita e i suoi aspetti essenziali: il rapporto con gli altri, il coraggio e la paura di morire, l’amore, l’eros, il dolore, il piacere.
Mi è sempre spiaciuto che spesso la Chiesa, che è sempre a un livello altissimo dell’esposizione del suo pensiero, sia debole nell’esposizione media, nella divulgazione, che invece è importantissima. Ho sempre creduto molto nei Bignami: la nostra cultura, tranne quella piccolissima parte che possiamo eventualmente studiare direttamente, è fatta di cose di seconda o terza mano. È importante perciò che io abbia letto dei libri di divulgazione buoni, che mi diano, anche se in maniera superficiale, il senso delle cose. E purtroppo la Chiesa, che avrebbe un enorme potenziale liberatorio, non riesce a mutuarlo. Pochissimi sanno ad esempio che la Chiesa considera una cosa negativa avere rispetti umani, cioè essere intimiditi. E’ un potenziale liberatorio, rispetto a quello che ci hanno sempre insegnato, ci hanno tramandato a scuola eccetera.”
Tu per rispetto umano dunque non rinunceresti a fare il presepe.
“Mai, perché il presepe non offende nessuno, esattamente come non offende nessuno la donna con il capo coperto da un velo. C’è una legge che chiede di poter essere riconosciuti, ma vale anche se io domattina andassi in giro vestito e mascherato da clown.
Come diceva Chesterton, il problema di chi non crede in Dio non è che non crede a niente, che sarebbe per certi versi anche un bene, ma che si finisce per credere a tutto.”
Ho capito che ti piace la parola metànoia, una parola dolce, che non è uno sforzo volontaristico, però.
“Amo, cerco il cambiamento, che non significa rinnegare, diventare un altro. Non è una metamorfosi, è riuscire ad essere quello che sei, ma in modo libero, non da schiavo”.
“Aspettiamo sempre qualcosa”, e nel tuo romanzo il senso dell’attesa è fortissimo, non solo di quello che succede giorno per giorno, ma di quello che potrà divenire il domani. Si aspetta per avere o per trovare?
“Sai, mi trovo in una condizione privilegiata, non sono costretto a procurarmi affannosamente il pane per me e la mia famiglia, e portato quindi più facilmente ad abbrutirmi, a castrarmi nelle domande della vita. Ma vorrei aggiungere una cosa
C’è una piccolissima cosa che mi ha conquistato di Papa Francesco, non certo l’unica: una volta ho ricevuto da una casa editrice spagnola le bozze di un libro di Bergoglio, un commento agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio da Loyola. Quello che mi ha colpito è che nella prima pagina, dove di solito ognuno aggiunge una dedica o una frase che gli piace, lui mette due frasi: una è una strofa di una canzone gitana, l’altra una citazione da un celebre canto alpino: “L’ultimo pezzo alle montagne che lo ricoprano di rose e fior”.
Tristissimo canto alpino.
“Sì, però gagliardo, e questa umanità a volte passa poco, raramente è unita al messaggio cristiano. È l’amore alla vita, al gioco, ai fiori, al bicchiere di vino. L’amore di vivere.
E poi, sarà per ragioni di età, il versetto che mi torna alla mente più spesso è il penultimo versetto del Vangelo di Giovani, quando Gesù dice a Pietro, ‘Quando eri giovane ti vestivi da solo la cintura e andavi dove volevi…’”
Come sempre, qualcosa si perde e qualcosa si guadagna, sempre attendendo.