[Che cos’è la Mitteleuropa]. La terza alba della Mitteleuropa, di Claudio Magris
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Riprendiamo dal Corriere della Sera del 9/4/2013 un articolo di Claudio Magris. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Storia e filosofia e Letteratura.
Il Centro culturale Gli scritti (2/9/2018)
Mitteleuropa è una parola che assomiglia a un chewing-gum malleabile a piacere, dai significati ambivalenti e talora contraddittori, che si affidano più alla vaga suggestione che a una precisa definizione. Quando Marieluise Fleisser, la possente scrittrice amata e tartassata da Brecht, veniva definita «il più bel seno della Mitteleuropa», non era ben chiaro fin dove di estendeva quel suo invidiabile primato, quali Paesi o città potessero vantarsene come di una propria gloria: certamente Vienna, Praga, Cracovia, Budapest, Lubiana, Zagabria, forse Trieste; più difficilmente Berlino o Norimberga.
Come ha studiato Arduino Agnelli nella sua fondamentale Genesi dell’idea di Mitteleuropa, il termine nasce a metà Ottocento per indicare uno spazio politico-economico egemonizzato dagli austrotedeschi e dagli ungheresi. Quando si dice Mitteleuropa anziché usare l’espressione meramente geografica Europa centrale, si intende un mosaico plurilingue e pluriculturale attraversato da elementi comuni sottostanti alle diversità nazionali.
A creare questa civiltà parzialmente comune è stato certo in parte l’Impero absburgico, ma sono stati soprattutto due elementi sovranazionali: la lingua tedesca, parlata anche in tutti i Paesi non tedeschi di quel mondo, e la civiltà ebraica, presente in ognuno di essi. La Mitteleuropa è stata essenzialmente la simbiosi ebraico-tedesca, finita con lo sterminio di una delle sue componenti da parte dell’altra, con quella Shoah che è stata non solo una inaudita barbarie ma anche un suicidio della Germania e del suo ruolo centrale in Europa.
La parola «Mitteleuropa» ha potuto indicare molte cose, anche opposte: ha potuto essere un programma nazionalista tedesco come nel libro di Naumann o addirittura un’Europa centrale unificata dal nazismo, come per Srbik. Ha significato soprattutto il contrario, ovvero una cultura sovranazionale contrapposta ai nazionalismi scatenati negli anni fra le due guerre mondiali, ai vari fascismi e in primo luogo al nazismo; un ideale umanistico, il senso di un’appartenenza a una cultura più ampia di ogni identità nazionale.
È stata una metafora di resistenza: dapprima contro fascismo e nazismo, dopo la Seconda Guerra Mondiale contro il dominio sovietico e, più sfumatamente ma sempre, contro uno stile di vita capitalistico-americano. Il kafkiano Josef K o il santo bevitore di Joseph Roth si contrappongono ai Chicago-boys quasi come ai gerarchi fascisti o ai commissari del popolo sovietici.
La Mitteleuropa vive soprattutto nella sua letteratura, di cui un recente e ancor inedito saggio di Igor Fiatti illustra il ricchissimo panorama; letteratura che è insieme coro e dissonanza, «cacafonia», come scrive ironicamente lo svedese Daniel Hjorth giocando col termine Cacania, la definizione musiliana dell’Austria absburgica.
Questa civiltà, che ha tenacemente e ironicamente resistito a Hitler e a Stalin, rischia per la prima volta di scomparire, travolta da uno sgangherato anarco-capitalismo che imperversa in tanti suoi Paesi, accompagnato da violente regressioni nazionaliste e razziste che sono la più cupa e pacchiana negazione della Mitteleuropa.
E invece oggi c’è bisogno più che mai di quella civiltà mitteleuropea così sensibile al disagio, così diffidente nei confronti di tutti i sistemi politici e filosofici totalizzanti che pretendono di far marciare il mondo come un esercito e di interpretare e guidare trionfalmente la marcia della Storia stessa. Ci sarebbe più che mai bisogno di quella cultura e di quella umanità così esperte dell’ombra della vita, dei frammenti in cui la nostra esistenza spesso si disgrega, di ciò che resta al margine del corso arrogante del progresso, di ciò che manca al cuore e della dolorosa e amorosa ironia di cui il cuore ha così bisogno.
La nuova collana «Gli anemoni», creata dall’editore Marsilio, diretta e garantita dalla competenza di Luigi Reitani e Annalisa Cosentino e dedicata ai classici centroeuropei, — di cui stanno per uscire i primi titoli — può essere salutata come un vitale antidoto all’uniforme appiattimento che, sotto l’apparenza di una caotica varietà, sta imponendo su scala planetaria più o meno gli stessi modelli e soprattutto il sentimento che le cose così come vanno sono l’unica realtà possibile, mentre Musil insegna che potrebbero benissimo andare altrimenti.
Non c’è troppo da illudersi, perché nessun Davide, contrariamente a quanto si dice, ha mai vinto nessun Golia, ma intanto si può tirare a quest’ultimo un bel sasso in testa. I nuovi «Anemoni» non faranno certo dimenticare l’insostituibile collana di classici tedeschi «Gli Elfi» — diretta per Marsilio sino a ieri da Maria Fancelli con particolare finezza di scelta, di gusto e rigore filologico.
Da molti anni c’è in Italia un forte interesse per la Mitteleuropa e la sua letteratura. Un contributo essenziale e meno noto di quanto sarebbe giusto è stato dato, qualche decennio fa, dalla casa editrice Marietti in una collezione diretta da Antonio Balletto, promotore pure di fondamentali traduzioni di testi filosofici religiosi ebraici e islamici, tra i quali La stella della redenzionedi Franz Rosenzweig. In quella collana Marietti sono state pubblicate le prime dirette versioni dallo jiddisch di autori classici quali Shalom Aleichem, Mendele Moicher Sfurim o Schalom Asch, curate da Daniela Leoni; sono stati pubblicati ad esempio classici austriaci di Stifter o Lenau e romanzi austriaci notevolissimi e ancor oggi poco noti come L’uomo nel canneto di George Saiko, geniale fusione sperimentale di romanzo politico e psicologia del profondo o Tokeah e la rosa bianca di Charles Sealsfield, western ottocentesco di un bizzarro scrittore, prete cattolico e poi viaggiatore e narratore avventuroso in America; classici cèchi di Neruda o sloveni di Cankar. La Marietti, casa editrice soprattutto scolastica e religiosa, non ha avuto la forza sufficiente per affermarsi sul mercato e la letteratura mitteleuropea è stata diffusa, in una ricca varietà di scelta, specialmente dalla Adelphi, ma quei testi meriterebbero di essere ripresi.
La prima scelta offerta dagli «Anemoni» - autori di lingua tedesca, cèca, polacca - è estremamente stimolante, classica e insieme innovatrice: Il redentore di Musil, grande, originale e autonomo nucleo dell’Uomo senza qualità; le Lettere a Milena di Kafka; I racconti di Malà Strana di Jan Neruda; Maggio di Mácha, l’autore cèco la cui riesumazione pubblica nel 1939 fu una dimostrazione della libertà cèca schiacciata dai nazisti; Hotel Savoy, il primo romanzo di Joseph Roth e forse il suo capolavoro, storia errabonda di lontananza, di esilio e di ritorno, scevra del successivo pathos ideologico, e Il sale della terra di Józef Wittlin, quasi conterraneo di Roth e suo parallelo polacco, anch’egli rapsodo dei confini orientali dell’Impero.
Pure una collana di questo genere può essere un piccolo sale della terra.