I migranti africani dalla povertà al lager. Dal lager al ghetto e alla prostituzione. La triste trafila dei migranti, di Giovanni Amico
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cf. la sezione Immigrazione e integrazione.
Il Centro culturale Gli scritti (2/9/2018)
Le mafie africane si fanno consegnare tutti i beni che i migranti hanno, promettendo loro un viaggio e un lavoro sicuri.
Li consegnano, invece, alle mafie arabe nord-africane, che li rinchiudono nei lager libici, usano loro violenza, li stuprano e li trattano come schiavi.
Le mafie nord-africane, poi, gestiscono il trasbordo in Italia, dove, ad attenderli, stanno le nostre mafie interessate a sfruttare il denaro pubblico messo a disposizione per il problema immigrazione – si ricordi la famosa frase di Mafia Capitale, intercettata telefonicamente a Salvatore Buzzi nel 2014: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.
Infine, i migranti, usciti dai centri di prima accoglienza, passano alle altre mafie nostrane che li “ospitano” nei ghetti, come quelli del sud, dove finiscono a raccogliere pomodori, o nelle città, dove vengono sfruttati dal racket della prostituzione o del commercio illegale o della mendicanza.
Questa la trafila, con poche eccezioni dovute vuoi ai corridoi umanitari, vuoi alle meravigliose organizzazioni di volontariato della Chiesa o laiche che riescono a salvarne alcuni, ma solo una volta che sono giunti sul territorio italiano.
Le mafie vogliono ovviamente che il “sistema” continui, poiché una riduzione del traffico implicherebbe per loro delle perdite enormi in termini di denaro e di manodopera schiavistica. Sono essi, non appena viene rallentata la direzione di un flusso, a cercare di aprirne un’altra – ad esempio, ora che la via italiana è divenuta molto più difficile, sono le mafie arabe nord-africane che stanno cercando di aprire quella spagnola, tramite Ceuta e Melilla, che prevede un tratto di mare da attraversare molto minore, anche se tale via, più facile in apparenza, è molto più difficile perché i controlli dello Stato spagnolo sono molto maggiori.
L’assurdo è vedere ripetere ciò che avvenne al tempo dello sterminio ebraico. Ancora nel 1944, quando la maggior parte degli ebrei era già stata uccisa nelle camere a gas, vennero mandati a morire nei campi ulteriori gruppi, senza che nessuno li avvisasse di ciò che li aspettava, senza che essi potessero così organizzare una qualche forma di resistenza. Avvenne così, ad esempio, degli ebrei ungheresi – è la deportazione nella quale Perlasca riuscì a salvarne diverse migliaia, tanto per intendersi. Fu una delle ultime deportazioni, poiché il nazismo arrivò in Ungheria solo nel 1944, eppure gli ebrei ungheresi vennero avviati ai lager ignari di ciò che sarebbe loro accaduto.
Ora, cosa aspetta l’Europa – e con essa il mondo intero, compresi i paesi africani – ad iniziare una campagna di informazione perché i migranti sappiano in partenza cosa accadrà loro? Se questo non impedirebbe, ovviamente, la partenza di chi scappa dalle guerre - meno del 10% del totale (sono stati il 5% nel 2016 e l'8% nel 2017, secondo i dati del Ministero degli Interni, ma ad essi si debbono aggiungere il 14% con protezione sussidiaria e il 21% con protezione umanitaria nel 2016 e l'8% com protezione sussidiaria e il 25% con protezione umanitaria – aiuterebbe invece tutti coloro che non hanno problemi di sopravvivenza, ad avere elementi per fare scelte diverse. Aiuterebbe, ad esempio, coloro che anelano semplicemente ad avere un lavoro migliore o sono semplicemente affascinati dal presunto benessere in cui potrebbero vivere (dai dati appena citati risultano essere il 60% dei migranti, mentre la somma di quelli giudicati in una condizione che richiede un esplicito e doveroso impegno dello Stato italiano era del 40% nel 2016 e del 41% nel 2017), a sapere che così non sarà.
Cosa aspetta l’Europa – e con essa il mondo intero, compresi i paesi africani – ad elaborare una politica estera globale che non si preoccupi di discutere semplicemente delle azioni da concertare in mare, ma ben prima di come affrontare la malavita nel corso dell’intera tratta?
Cosa aspetta l’Europa – e con essa il mondo intero, compresi i paesi africani – a stabilire per ogni paese (e non solo quelli europei) la quota annua di quanti nuovi lavoratori è possibile integrare, organizzando poi una accoglienza in loco, in maniera da andarsi a prendere i più bisognosi e i più meritevoli facendoli passare tramite corridoi umanitari e non tramite i trafficanti che dall’Africa, attraverso il deserto e poi in mare, li sfruttano e utilizzano poi il denaro loro estorto per uccidere altre persone in guerre civili come quella libica?
Quando usciremo da una politica assistenzialista, fatta solo di interventi spot ed emergenzialisti, per giungere ad una vera politica internazionale degna di questo nome, attenta al problema nel suo insieme?
Ovviamente questo non vuol dire che non ci si debba preoccupare delle persone che sono nei lager libici o di quelli a cui dai trafficanti di uomini viene permesso di lasciare i lager e di imbarcarsi su scafi. Quello che si intende dire è che bisogna agire sulla tratta stessa, sui lager stessi, sui ghetti italiani stessi nei quali finiscono gli scampati dai lager, altrimenti ogni giorno si avranno nuove centinaia di persone che finiranno in quei lager non appena ne usciranno quelli a cui le mafie arabe consentiranno di prendere il mare per consegnarli alle mafie italiane.