Nel mondo vengono spesi 1.739 miliardi di dollari per armamenti, 262 miliardi di euro per l’acquisto di droga, 147 miliardi di dollari per sigarette, 110 miliardi di dollari per la cura di animali domestici. Si sta modificando la graduatoria dei paesi, con la crescita dell’acquisto di armamenti in Cina e Arabia Saudita
Riprendiamo sul nostro sito alcuni articoli, indicandone le differenti fonti. Per approfondimenti. cfr. la sezione Nord-Sud, occidente -oriente del mondo.
Il Centro culturale Gli scritti (15/7/2019)
N.B. de Gli scritti
La pubblicazione di articoli su differenti capitoli di spesa nel mondo non intende assolutamente equipararli. Ovvia è la distinzione morale fra l’acquisto di armi e l’acquisto di cibo per animali e ovvia è altresì la quantità del denaro utilizzato in queste direzioni:
- 1.739 miliardi di dollari per gli armamenti
- 262 miliardi di euro (non dollari) per la droga
- 147.4 miliardi di dollari per le sigarette
- 110 miliardi di dollari per la cura di animali domestici
La vicinanza dei diversi dati permette, però, di riflettere su ambiti di economia sui quali poco si accendono i riflettori per aprire discussioni.
Inoltre, l’evidente cambiamento dei capitoli di spesa in nazioni come la Cina e l’Arabia Saudita, aiuta a pensare in maniera nuova il vecchio cliché Nord-Sud del mondo, mostrando quali siano i paesi oggi in grado di “investire”, ad esempio, in armi.
1/ Cina e Arabia guidano il boom della spesa militare: ecco il nuovo ordine mondiale (e non è una bella notizia). Mentre gli Usa (che restano i più armati) riducono le spese militari i cinesi le accrescono. La corsa al riarmo diventa forsennata in tutto il Medio Oriente. I sauditi spendono il 10 per cento del PIL in armi. E il business vale in tutto il mondo 1.739 miliardi di dollari, di Maurizio Sgroi
Riprendiamo da Linkiesta del 7/5/2018 un articolo di Maurizio Sgroi (https://www.linkiesta.it/it/article/2018/05/07/cina-e-arabia-guidano-il-boom-della-spesa-militare-ecco-il-nuovo-ordin/38000/). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/7/2018)
Il trend più interessante che si osserva analizzando i dati sulla spesa militare globale diffusi dal Sipri è quello che riguarda la Cina, ormai divenuto il secondo paese per spesa militare complessiva dopo gli Stati Uniti, che con oltre 600 miliardi di dollari di spesa conservano saldamente la prima posizione.
Il primato ampiamente scontato degli statunitensi tuttavia ha un significato strategico relativamente importante, che si può apprezzare osservando l'andamento della spesa militare nell'ultimo decennio.
Come si può osservare il dato rilevante è lo straordinario aumento della spesa militare cinese, più che raddoppiata dal 2008 a oggi, mentre gli Usa l'hanno diminuita del 14%. Un evento di portata storica per la semplice ragione che l'emergere della Cina come potenza non solo economica ma anche militare, anche se per adesso a livello regionale, ha avuto un potente effetto gravitazionale sui paesi vicini, dove la spesa militare è cresciuta di conseguenza. Avere un vicino potente non è molto rassicurante. In Cambogia, ad esempio, fra il 2008 e il 2017, la spesa militare è aumentata del 322%, nel Bangladesh del 123, in Indonesia del 123% e ci sono stati aumenti compresi fra il 40 e il 100% in Vietnam, nelle Filippine, in India. Complessivamente la regione Asia-Oceania ha visto crescere la spesa militare del 59% nel decennio considerato, mentre nelle Americhe, compresi gli Usa, è diminuita dell'11% e in Europa è cresciuta appena dell'1,4%. Il dato illustra bene come le linee di tensione militari si stiano spostando verso Oriente da Occidente.
Più difficile avere dati completi sul Medio Oriente, a causa della difficoltà ad avere informazioni da Qatar, Siria, Emirati Arabi e Yemen. Tuttavia il Sipri osserva che laddove i dati sono disponibili si rileva che la spesa militare è aumentata continuamente dal 2009 al 2015 per un incremento totale del 41 per cento, fino a quando il crollo del prezzo del petrolio non ha determinato il raffreddamento della spesa fra il 2015 e il 2016, quando si è registrato un calo del 16%. Nel 2017 c'è stata una ripresa del 6,2, ma l'area rimane sotto il livello del 2015.
In questa regione il primato spetta all'Arabia Saudita, che ha visto crescere la sua spesa militare del 74% fra il 2008 e il 2015, raggiungendo un picco di 90,3 miliardi nel 2015, per declinare del 29% nel 2016 e risalire del 9,2% l'anno scorso per fissarsi a 69,4 miliardi. Dietro ai sauditi si osserva la Turchia, la cui spesa militare è aumentata del 46% fra il 2008 e il 2017, arrivando a superare i 18 miliardi l'anno, un importo che colloca il paese al 15esimo posto nella graduatoria globale. In generale sette sui dieci paesi che hanno la percentuale di spese militari più alta sul pil appartengono all'area mediorientale. Primeggia l'Oman, con spese militari pari al 12% del pil, seguito dall'Arabia Saudita con il 10.
Se guardiamo il quadro globale, il 2017, proseguendo un trend ormai ventennale, ha registrato un aumento complessivo della spesa militare, arrivata a 1.739 miliardi di dollari di valore complessivo (dollari del 2017), pari a circa il 2,2% del pil mondiale, poco sopra il picco minimo registrato nel 2014, quando la spesa militare arrivò al 2,1% del pil globale, mentre il massimo si registrò nel 1992, quando sfiorò il 3,3% del pil.
In sostanza, calcola il Sipri, è come se ogni persona al mondo spendesse 230 dollari per acquistare armi. Potendo scegliere magari acquisterebbe altro.
2/ Onu, il business del crimine globale è di 710 miliardi. Dalla droga al traffico di donne (da un articolo di Lettera22)
Riprendiamo da Il Fatto Quotidiano del 16/7/2012 un brano da un articolo di Lettera22 (https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/lettera22-per-il-fatto/ptype/articoli/). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/7/2018)
“Il crimine organizzato transnazionale raggiunge ogni regione e ogni Paese in tutto il mondo”, ha spiegato Yury Fedotov, direttore esecutivo dell’Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime) durante il lancio della nuova campagna Onu di sensibilizzazione contro la criminalità organizzata.
Niente, ritengono all’agenzia Onu per la lotta al crimine con sede a Vienna, è più efficace che spiegare al pubblico il danno economico dei traffici, le cui cifre hanno ormai superato di sei volte la spesa per gli aiuti allo sviluppo in tutto il mondo. Il crimine organizzato è lontano dagli stereotipi e dalle idealizzazioni di Hollywood, scrive l’Unodc. È un’economia fatta di reti “fluide” e complesse i cui profitti minano lo sviluppo sociale, culturale, economico e politico dei Paesi.
Il più proficuo tra i traffici continua a essere quello di droga, per un valore di oltre 262 miliardi di euro, con i mercati di cocaina e oppiacei che nel 2009 hanno fruttato rispettivamente 69 miliardi e 55 miliardi. Nel 2010 si legge nell’ultimo rapporto dell’agenzia sulle droghe, pubblicato a maggio, il 5 per cento della popolazione mondiale tra i 15 e i 64 anni ha fatto uso di qualche sostanza illecita, vale a dire 230 milioni di persone.
L’anno scorso la produzione globale di oppio ha raggiunto le 7mila tonnellate, in aumento rispetto ai dodici mesi precedenti, quando invece il segno fu un meno. L’Afghanistan ha giocato la parte del leone con un incremento del 61 per cento passando dalle 3.600 tonnellate del 2010 a 5.800. I prezzi elevati hanno inoltre reso l’oppio un coltura appetibile anche per il Sudest asiatico dove i campi di papavero si estendono per 48mila ettari (+16 per cento).
Per quanto riguarda la cocaina, il rapporto segnala invece un calo costante della produzione tra il 2007 e il 2010. I mercati principali rimangono Stati Uniti (che risentono del minore afflusso di merce dalla Colombia, rimpiazzata da Perù e Bolivia) ed Europa, ma il consumo è in aumento sia in Australia sia in America Latina. In aumento sono anche i sequestri di anfetamine e stimolanti, a livello globale secondi per uso soltanto alla marijuana e all’hashish. In due anni, tra il 2008 e il 2010, i sequestri di metanfetamine sono più che raddoppiati passando da 21 a 45 tonnellate. Lo stesso in Europa, vale per l’ecstasy, 1,3 tonnellate sequestrate nel 2010 contro i 595 chilogrammi dell’anno precedente.
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3/ Quanto vale il mercato della sigaretta? Tutti i numeri di un business che fa milioni di morti e miliardi di utili, di Andrea Franceschi
Riprendiamo da Il Sole 24Ore del 3/2/2014 un brano da un articolo di Andrea Franceschi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/7/2018)
Una settimana fa un cancro ai polmoni si è portato via Eric Lawson, conosciuto come "Marlboro Man" perché testimonial negli anni '70 del famoso marchio americano di sigarette. Una vittima eccellente di un vizio, il tabagismo, che ogni anno uccide circa 6 milioni di persone secondo le ultime stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che avverte: senza misure di contrasto i decessi collegati al fumo potrebbero arrivare a 8 milioni entro il 2030.
Oltre al pesante dazio in termini di vite umane, il tabacco ha dei costi enormi sulla spesa sanitaria pubblica. Per gli Stati Uniti il "Centers for Disease Control and Prevention" ha stimato un danno di 193 miliardi di dollari all'anno per l'economia equamente suddiviso in spese sanitarie e perdita di produttività. In Italia uno studio dell'università Cattolica ha calcolato 7,5 miliardi di euro. Ma il tabacco, oltre ad essere una minaccia per la salute umana e un costo sociale non indifferente per i conti pubblici, continua ad essere soprattutto un business miliardario che né la crisi economica, né le campagne salutiste dei governi di tutto il mondo hanno potuto scalfire.
Un business miliardario
Lo dicono prima di tutti i bilanci delle multinazionali del settore: l'americana Altria (nuova denominazione di Philip Morris dopo lo spinoff del 2008) e la controllata Philip Morris International; la giapponese Japan Tobacco e le britanniche British American Tobacco e Imperial Tobacco che insieme alla non quotata China National Tobacco si spartiscono oltre l'80% del mercato mondiale della sigaretta. Cinque colossi che messi insieme macinano 25 miliardi di dollari di utili netti su un giro d'affari di 147,4. La banca dati S&P Capital IQ calcola che i profitti netti dei 5 big del tabacco siano cresciuti del 9,1% negli ultimi 3 anni. Ed il trend è destinato a continuare ancora dato che il consensus degli analisti stima una crescita media del 3,5% degli utili per azione nei prossimi due anni.
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4/ Animali domestici, la pet economy supera i due miliardi [in Italia], di Guido Minciotti
Riprendiamo da Il Sole 24Ore del 17/5/2018 un articolo di Guido Minciotti . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/7/2018)
Nutrire un esercito costa. Esattamente 2 miliardi e 51 milioni di euro, se la gavetta è una ciotola e i soldati sono cani e gatti. Tanto vale il mercato del pet food fotografato dal Rapporto Assalco-Zoomark 2018, compendio annuale sul mondo dei pets diffuso dall’Associazione nazionale tra le imprese per l’alimentazione e la cura degli animali da compagnia e da Zoomark International (salone annuale dei prodotti e delle attrezzature per pets a Bologna). Sono 60 milioni gli animali che abitano le nostre case, di cui metà vive sotto la superficie dell’acqua (30 milioni di pesci), un quarto vola (o volerebbe: 13 milioni di uccelli) e l’altro quarto si divide ancora a metà tra gatti (7,5 milioni) e cani (7). Un mercato che ci vede al primo posto tra i Paesi europei per numero di pets in rapporto alla popolazione: in totale sono 50,3 pets ogni 100 abitanti, davanti a Francia (46,5), Polonia (41), Spagna (40,2), Germania (39,8) e Regno Unito (30,3).
Il cibo industriale, segmento principale della categoria, ha messo in moto un giro d’affari di 2.051 milioni di euro nel 2017, con un tasso di crescita del +3.8% e superiore a quello del largo consumo confezionato (+2,3% nel 2017). In crescita del +2,4% anche i volumi, con 573.940 tonnellate commercializzate: gli alimenti per gatti da soli valgono più di un miliardo mentre quelli per cani pesano 969 milioni. Tutti i principali segmenti (umido, secco, snack & treat) hanno registrato una crescita a valore. In evidenza gli snack funzionali e fuoripasto (per l’igiene orale o i “premietti”) in crescita del +7% a valore. Si conferma il trend in salita degli ultimi anni, con un mercato 2014-17 che si è sviluppato con un tasso di crescita annuo composto pari a +3,6% a valore e +1,6% a volume. Malino gli alimenti per altri animali da compagnia, che nella grande distribuzione valgono 15 milioni di euro (-6,1%) confermando il trend di flessione già registrato lo scorso anno.
Per quanto riguarda il mercato degli accessori (prodotti per l’igiene, giochi, guinzagli, cucce, ciotole, gabbie, voliere, acquari, tartarughiere e utensileria varia) nel 2017 le vendite sono stabili in termini di volumi nei supermarket con una leggera flessione del fatturato del -2%, per un totale di circa 72 milioni di euro. Il segmento dei prodotti per l’igiene (shampoo, spazzole, deodoranti) è in crescita anche quest’anno, +15% a valore rispetto al 2016.
Per quanto riguarda i canali di vendita il “grocery” la fa da padrone e canalizza il 55,9% del fatturato complessivo del mercato pet food per cani e gatti (1,14 miliardi) e il 74,4% dei volumi mentre le “catene petshop” (261 milioni di euro) hanno continuato a crescere a due cifre con dinamiche del +17,8% a valore e +17,1% a volume. I “petshop” tradizionali (circa 5mila punti vendita) rappresentano il principale canale del trade–non grocery in cui sono distribuiti i prodotti per animali da compagnia in Italia. Coprono solo il 17,3% dei volumi ma generano il 31,3% a valore (642 milioni di euro). Per il terzo anno consecutivo il canale continua a mostrare una crescita del fatturato (+2,1%); in ripresa i volumi che mostrano un incremento di +0,5 per cento.
Gianmarco Ferrari, presidente di Assalco, è ovviamente soddisfatto: «In termini complessivi, il mercato del pet care conferma i trend positivi registrati negli ultimi anni. Un andamento che va di pari passo con la sempre maggiore cura e attenzione che gli italiani riservano ai propri pets. In particolare, gli acquirenti riconoscono nel pet food industriale la soluzione più pratica e conveniente per nutrire i propri amici animali in modo equilibrato, bilanciato e completo, come raccomandano i veterinari. I prodotti sono sicuri, formulati da nutrizionisti esperti e differenziati in base a età, razza e stile di vita e contribuiscono al benessere degli animali d’affezione».
N.B. de Gli scritti
L’articolo di Guido Minciotti si riferisce alla situazione italiana. Il sito Euromonitor International indica, invece, in 110 miliardi di dollari la spesa mondiale per gli animali da casa. Così al link https://blog.euromonitor.com/2017/09/state-global-pet-care-trends.html dove è scritto: Euromonitor International presented “The State of Global Pet Care: Trends and Growth Opportunities” at PIJAC Canada’s National Pet Industry Trade Show in September 2017. Below are key trends and insights that were highlighted at the Show.
The global pet care market is projected to reach sales of $110 billion in 2017, which is a major milestone for the industry. The industry has also grown a healthy 3% on average over the past five years, adding $14 billion in incremental growth.